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Vacanze doloMITICHE di un
redattore
Nel leggere i significati delle parole su di un vocabolario non c'è mai tanto da correre con la fantasia. La vacanza, per esempio, altro non è che un "periodo di riposo di una certa ampiezza previsto per chi lavora o studia, spesso con riferimento alle ferie estive". Proprio così vivevo le ferie, cioè la mia vacanza, parecchi anni fa quando lavoravo in officina metalmeccanica nell'hinterland bolognese e, rigorosamente ad agosto per il tempo di settimane tre, partivo per i monti (più precisamente per Pecol di San Tomaso Agordino) con la Fiat 500, strapiena di bagagli. Oggi, trascorsa quasi una vita da allora, oramai in pensione e quindi non più con l'assillo di orari e obblighi lavorativi, mi sono chiesto cos'è diventata la vacanza per me in queste mie abbastanza recenti dimensioni di pensionato. Beh, ne ho trovato facilmente la risposta al termine di dieci giorni trascorsi, guarda il caso, tra i monti: dieci giorni volati, senza un programma preciso, senza la necessità di fuggire da qualcosa di costrittivo come possono essere i muri di un'officina metalmeccanica o di un ufficio, decidendo giorno dopo giorno assieme agli amici che sono arrivati alla Baita di Andraz, cioè al "campo base", luogo indispensabile presso il quale darsi appuntamento e dal quale partire verso mete decise giorno dopo giorno. Così ho scoperto di essermi allontanato prima di tutto dagli "angoli", quelli delle strade intendo dire, angolo Via Nicolini - IV Novembre, angolo Via Veneto - Corso Piave, angolo Via Piave - Corso Isonzo, angolo Corso Isonzo - Viale Cavour per esempio, il percorso che faccio per andare alla sede del CAI il martedì sera in un zig zag che appare costrittivo e un po' sclerotico, sempre delimitato dai muri delle case, alla ricerca del percorso più breve.
Ritrovare il piacere di salutare le persone che incontri e sai che condividono la tua passione, magari "attaccare pezza" a chi sta arrampicando sulla tua stessa via, scambiare gli indirizzi di posta elettronica per inviarsi le foto scattate insieme, guardare rocce strane e immaginare volti pietrificati, o nuvole che sembrano animali, fotografarne di questi animaletti che ti vengono a trovare uscendo dal loro mondo sul quale tu cammini ogni giorno mettendovi i piedi spesso senza curarti, liberare la fantasia insomma, proprio quello che impediscono di fare gli angoli delle strade delle città, i muri delle case che imprigionano gli occhi e costringono la mente, la vita frenetica e gli stimoli di tutti i giorni che ti portano verso il superfluo e più spesso inutile. Vacanze DoloMITICHE, per dirla con due parole, e forse le immagini della digitale aiuteranno a capire il concetto.
Giovedì 18 agosto 2011 Sono sufficienti due ore per raggiungerne la vetta partendo dal Passo Giau, dopo avere abbandonato la folla che ne anima i dintorni e il rumore dei mezzi motorizzati di ogni tipo che lo valicano provenendo o andando verso Cortina d'Ampezzo, e ci si troverà nel silenzio a godere il panorama vasto e imponente tutt'intorno.
A un certo punto del sentiero compare una roccia stranissima, sembra la testa di un prigioniero della montagna, condannato all'immobilità da qualche maleficio, che grida al cielo la sua disperazione; girandomi all'indietro, più lontano verso il Passo Giau, ammiro l'Averau, il Nuvolau e la Gusèla con a fianco una nuvola che sembra un cammello, ma ricorda anche una tartaruga che alza la testa fuori dal guscio, giusto il tempo di pensare a quale dei due assomigli di più e la nuvola si è già sfilacciata e scomposta, ritornando semplice accumulo di vapore acqueo.
Poco dopo, seguita la grande freccia direzionale e percorsi i due tratti ferrati e la calotta sommitale ghiaiata mi ritrovo sulla cima a fianco della solita immancabile croce, nelle vicinanze un gracchio, che finge indifferenza, vigila sulla valle.
Sabato 20 agosto 2011 Sono arrivati alla spicciolata, uno la sera prima direttamente da Monaco di Baviera (riuscite ad indovinare chi sia?), altri due, una coppia, poco dopo le nove di mattina, partiti sul far dell'alba da Bologna a bordo di una Smart.
Oggi la parola d'ordine è "arrampicata selvaggia" e se la via Ardizzon al Trapezio del Piccolo Lagazuoi sembra una contraddizione in termini, mica vero, perchè dalla cengia superiore si prosegue risalendo il ghiaione che si stende sopra (uno sterminio ripido di sassi e ghiaie), andando ad infilare uno dei camini che ci porterà sulla cima. Alla fine saranno dieci tiri di corda, circa 400 metri, più 200 metri di ghiaione ripido e selvaggio, quello dove anni fa si insediò un esemplare di stambecco, lo chiamarono Roger, "deportato" dalla Forestale in Croda Rossa, a distanza di tre anni, dopo che ebbe incornato un turista poco rispettoso del suo territorio di appartenenza.
Domenica 21 agosto 2011 Inutile negarlo, la via di ieri, ma soprattutto lo sterminato ghiaione, unito al grande caldo di questi giorni, ci ha fiaccato, abbiamo voglia di arrampicare ma senza impegnarci più di tanto, così finiamo sul versante nord del Sass de Stria che all'inizio presenta un ripido prato con rocce affioranti, poi una sequenza di tre paretine brevi ma verticali, di bella roccia, per un totale di quasi 200 metri con difficoltà di III e III superiore, però tutto da proteggere.
Praticamente è una via "nuova" per cui la battezziamo con l'appellativo di via "Zig Zag" perchè zigzaghiamo per andare a percorrere i tratti di roccia più compatta e divertente e, infatti, ci ...divertiamo. Scoviamo una bella placca "ad arco" e una paretina finale verticale ma di roccia ammanigliata, mentre tutte le sette soste sono realizzate da noi con l'aiuto di clessidre naturali o di dadi e friends.
Un'ultima nota positiva: la nuova inedita cordata che si è formata ieri tra i due ingegneri sembra funzionare e una calorosa stretta di mano al termine della salita suggella il sodalizio alpinistico. A fine giornata c'è chi deve rientrare a casa perchè mica è vero che tutti fanno le ferie in agosto, così l'ingegnere Uno torna a Monaco e l'ingegnere Due riparte verso Bologna con la consorte, mentre intanto alla Baita è arrivato un altro amico, si tratta di un geometra a bordo di una BMW nera e lucida, che dice di arrivare dalla Val Pusteria e che si tratterrà lì qualche giorno, essendo in ferie ancora per una settimana.
Lunedì 22 agosto 2011 Durante la colazione si elabora il programma della giornata e, vagliate varie possibilità, decidiamo di trasferirci con la BMW nera e lucida a Passo Gardena e da lì raggiungere la vetta del Grande Cir per il percorso attrezzato. Al Passo esistono solo parcheggi a pagamento (4 euro per l'intera giornata) ed è un brulicare di persone vestite in tutte le fogge, che parlano un po' tutte le lingue e pure i sentieri sotto ai Cir sono un formicaio molto attivo: insomma, ci rendiamo conto che sarà una giornata di turismo "estremo" e con quello spirito partiamo, zaino in spalla.
Il percorso attrezzato che porta sul Grande Cir è assai semplice e quindi vi si cimentano anche famigliole con i figli al seguito e quasi tutti sono attrezzati di tutto punto con caschetto, imbragatura e dissipatore. Il panorama dalla vetta è veramente notevole, guardando verso il basso, invece, un po' meno: stanno realizzando nuovi impianti sciistici e due vasche sotterranee per l'accumulo di acqua per gli impianti di innevamento artificiale. Quando tutto sarà finito e coperto, forse l'impatto visivo sarà meno traumatico, ma per ora lascia quasi sgomenti.
Martedì 23 agosto 2011 Non paghi del turismo "estremo" del giorno prima, elaboriamo un programma ancora più micidiale: discesa in auto ad Alleghe, salita in cabinovia a Col dei Baldi per raggiungere il Lago Coldai e inoltrarci nella Val Civetta. Fortunatamente un lampo di rinsavimento ci coglie al bivio per il Belvedere di Colle Santa Lucia e così deviamo a sinistra per la Val Fiorentina e risaliamo al Passo Staulanza dal quale potremo arrivare a Col dei Baldi rigorosamente a piedi passando per Malga Fontanafredda.
Sua maestà, il Civetta, appare in tutta la sua eleganza e noi ci avvicineremo a lui prima attraversando boschi, poi risalendo piste da sci e, raggiunta Malga Pioda, inizieremo ad inoltrarci nel suo regno di rocce e di torri. A Col dei Baldi ci accorgiamo che la cabinovia che avremmo dovuto prendere è ancora in costruzione, sarà terminata per la prossima stagione invernale e andrà ad "arricchire" le proposte turistiche per gli sciatori; il geometra intanto mi spiega alcuni particolari tecnici di costruzione del manufatto, ma non bado molto ai suoi plinti e alle tensostrutture. Ci mescoliamo agli escursionisti vocianti, davvero tanti anche qui, e seguiamo il flusso che risale al rifugio Coldai dove riposiamo un po' prima di proseguire fino alla forcella e scendere all'omonimo laghetto.
Tre ragazzi si tuffano dalle rocce nella parte più profonda del laghetto, poi nuotano lungamente, mentre sulle "spiagge" la gente si spoglia ed entra nelle acque limpide, qualcuno è in tenuta da mare, qualche cane abbaia qua e là mentre, là in alto, le torri osservano questo campionario umano che sta approfittando del caldo sopra le medie stagionali degli ultimi anni per rinnovare tra i monti i riti propri del mare.
Camminiamo ancora fino ad affacciarci sulla Val Civetta,
la voglia sarebbe quella di arrivare al rifugio Tissi, ma non ne rimane
il tempo per cui ritorniamo sui nostri passi allontanandoci dal regno
del Zuìta.
Mercoledì 24 agosto 2011 Probabilmente la vista delle pareti del Civetta ha stimolato in noi la voglia di arrampicare, così propongo la via Centrale al Trapezio del Piccolo Lagazuoi, una creazione di Eugenio Cipriani, che non percorro da alcuni anni e il cui tratto iniziale rimane all'ombra per quasi tutta la mattinata, vantaggio non trascurabile in questi giorni nei quali il termometro alla Baita, quota 1.600 metri, posizionato all'ombra, è arrivato a segnare 29.8°C. Percorro i primi due tiri un po' "legnoso" e non sono affatto contento quando dalla sosta, mentre recupero i miei due compagni, osservando lo strapiombino che ci aspetta sopra, mi accorgo che il chiodo che lo proteggeva è stato tolto, anche perchè (e me lo ricordo bene) il passaggio è assai "antipatico". Mi pento di non avere portato con me il martello e qualche chiodo, ma è inutile recriminare.
Quando riparto provo a mettere una protezione "veloce", ma non trovo la soluzione e così decido di traversare in obliquo a sinistra; anche lì c'è lo strapiombino, ma mi ispira di più, anche perchè riesco a posizionare un buon "excentric", poi più sopra rientro sopra la verticale della sosta con un'altra traversata obliqua verso destra. Ho arrampicato per venti metri e sono dieci metri sopra i miei compagni, un tiro di corda che è un perfetto triangolo equilatero di cui ho percorso i due cateti, quindi attrezzo la sosta e aspetto... gli eventi. Come avevamo messo in preventivo, lo strapiombino costa un volo alla maestrina, ma la strategia "antipendolo", sfruttando la corda del terzo di cordata, ha funzionato e non ci sono conseguenze significative, se si fa eccezione per un "vaffanculo" che echeggia perentorio tra le verticali pareti circostanti.
Il geometra, negli ultimi anni, arrampica molto meno di quanto non facesse un tempo, ma non ha dimenticato la tecnica di arrampicata e segue tranquillo, poi la salita prosegue più facile, con ancora pareti di ottima roccia (fantastica una placca di roccia nera e verticale), caminetti da superare in ampia ed elegante spaccata, placche di calcare quasi bianco che il sole fa riverberare. Quando arriviamo alla cima del Trapezio, inchiodati dal sole, abbiamo solo voglia di scendere, quindi ci portiamo al terrazzino di calata e scendiamo in corda doppia e poi per la cengia più bassa raggiungiamo il ghiaione e rientriamo alla Baita.
Giovedì 25 agosto 2011 Visto che "in montagna c'è caldo ma in pianura si schiatta" decidiamo tutti insieme di posticipare il rientro e valutiamo altre possibilità escursionistiche che, fatte le opportune scremature, ci portano sulle rive del lago di Misurina e in vista delle Tre Cime di Lavaredo. La marea di gente che c'è dappertutto ci sconsiglia sia le Tre Cime come pure il Monte Piana (tra l'altro non ci sarebbe nemmeno un po' di ombra) e così ritorniamo al Passo Tre Croci e parcheggiamo la BMW nera e lucida. Abbiamo deciso per il lago e il rifugio Vandelli e, entrati nel flusso umano, ci incamminiamo per il sentiero. Ho dei lontanissimi ricordi di questi luoghi, datati 1976, perchè fu la mia prima gita sociale CAI, proprio la traversata del massiccio del Sorapis attraverso la ferrata Vandelli, la Croda del Fogo, il bivacco Comici per arrivare alla Forcella Piccola e poi scendere al rifugio San Marco e quindi a San Vito di Cadore, dove aspettava il pullman. Fu un massacro fisico per almeno una buona metà dei partecipanti, in difficoltà su alcuni tratti di roccette che scavalcavano forcelle impervie, tanto che, oramai in vista di Forcella Piccola, quando la Guida alpina ingaggiata dai dirigenti della Sezione, (tal Sisto) si avvide dei ritardatari e tornò indietro, fu ricoperto di male parole, soprattutto da alcune signore esasperate dallo stress a cui le difficoltà le aveva sottoposte.
Al di là di questi ricordi mi sono reso conto che del sentiero di accesso al rifugio Vandelli non ricordavo praticamente nulla, mentre mi erano rimaste impresse le forme particolari di una montagna dei dintorni, la Cesta, e i colori decisamente inconsueti e particolari del laghetto ai piedi del Dito di Dio e delle Tre Sorelle del Sorapis.
Prima di rientrare, con il geometra, ci siamo concessi il lusso di un caffè al rifugio e poi ci siamo incamminati che già c'era un po' di fila e ci attendevano ancora sorprese e difficoltà, come il superamento di un gitante colto da un attacco di dissenteria sul tratto attrezzato, il quale non aveva fatto in tempo a raggiungere una zona di mughi tra i quali potersi appartare, il tutto con conseguenze irreparabili, assai imbarazzanti (per lui ovviamente), anche perchè portava i pantaloni corti. Appena ripresici ci siamo trovati nel bosco a passare di fronte ad una creatura inquietante formata dallo scheletro di una pianta rinsecchita, la fantasia ci ha fatto pensare ad un animale preistorico e abbiamo immaginato l'impressione che avrebbe potuto fare passando nei pressi con l'oscurità. Giunti stanchi al Passo Tre Croci, scendendo verso l'auto, avevamo pensato di svaccarci su di un prato ma, ahinoi, lo abbiamo trovato già occupato da chi aveva avuto la stessa idea prima di noi.
Venerdì 26 agosto 2011 Le previsioni del tempo annunciano un forte peggioramento per l'indomani e ce ne rallegriamo perchè tornare verso la pianura con il fresco che ti segue e ti accompagna dopo giorni di canicola è da considerare una botta di fortuna. Non abbiamo voglia di girare in auto, nemmeno di impegnarci più di tanto in un'arrampicata, neppure di camminare per ore come abbiamo fatto nei giorni precedenti e rimaniamo sospesi nel dubbio amletico fino a che risolve la situazione il geometra: ha sentito parlare più volte delle "viette" del versante nord del Sass de Stria e ne è curioso. Detto fatto, optiamo per una ripetizione delle via Zig Zag, così potremo anche andare a cercare un dado con cavetto metallico di cui l'ingegnere Uno ha lamentato la perdita dopo la salita della domenica precedente.
Ci vuole lo spirito giusto per ripetere queste vie di
arrampicata che si potrebbero alpinisticamente definire "vie del
cavolo": bisogna salirle con l'idea e la voglia di fare ginnastica
all'aria aperta, divertirsi a inventare soste con dadi contrapposti o
spuntoni,
fare attenzione alle rocce friabili, voler defaticare il corpo e lo
spirito.
Sabato 27 agosto 2011 Dopo colazione, prima di metterci in viaggio, ce ne stiamo a chiacchierare un po' davanti alla Baita. Il cielo è grigio, in alcune zone addirittura plumbeo, e noi abbiamo indossato felpa e giacca sopra la maglietta che per dieci giorni è stata sufficiente a garantire il bilancio termico corporeo. Infine, inizia a piovere e viene giù a sèci revèrs, come dicono quassù, cioè a secchi rovesciati, tanto che giù in valle agordina a un certo punto fermo l'automobile a lato strada perchè non ci si vede un accidente. Il tutto mitiga il dispiacere che "sia finita" e un pensiero va a chi con la presenza, l'allegria e l'amicizia ha fatto sì che queste vacanze diventassero "doloMITICHE", come da tempo non mi succedeva.
Gabriele Villa Ferrara, agosto 2011
Un grazie riconoscente a Roberto Belletti, Monica Comani,
Stefano Toninel, Rita Vassalli, Alessandro Vitali. |