Bibì & Bibò e l'anabasi
di
Angelo Bolognesi e Michele Pifferi
INTRODUZIONE ALL’OPERA
Come Senofonte, il nostro illustre collega del Club Alpino Greco Antico
(C.A.G.A.), stendiamo questo scritto per chiarire, contro ogni insinuazione e
calunnia, gli aspetti più veri e a tratti eroici della spedizione.
Come lui, abbiamo tenuto un’attenzione incuriosita verso l’esotico e
il “diverso” in senso etnografico; tratti, questi, tipici pure
dell’elaborazione di Erodoto (mica un pirla qualunque), che progettava
la storia anche come indagine di usanze, di particolari locali ed eruditi,
di gesta esemplari di uomini da sottrarre all’oblio.
La nostra Anabasi, però,
si inserisce di diritto anche nel solco tracciato da Tucidide (mica quello
col cappello con le orecchie da somaro), avendo scelto come sfera
d’indagine la contemporaneità, smaltata dall’obbiettività data dal
meccanico resoconto di dati esatti, entità delle tappe, forze numeriche,
perdite di tutti i generi, anche ematiche e soprattutto emetiche,
ricognizioni accurate dei terreni di marcia, rituali funebri e quant’altro.
La nostra prosa, come
quella del vecchio Senofy, registra e documenta la superficie degli
eventi.
Profili nitidi, nessuna sbavatura, non c’è retorica. Solo l’eloquenza
nuda dei fatti, degli oggetti, degli ambienti.
Come l’ateniese, abbiamo suddiviso l’opera in sette parti, come le
porte di Tebe, i re di Roma e i Nani.
E ora basta con le cazzate e cominciamo.
PREMESSA
La notizia della gita riservata agli ex corsisti (dei corsi di
escursionismo del CAI Ferrara N.d.R.) si era diffusa da tempo,
dai Colti Cenacoli Alpini e dai Centri Studi delle Vette, giù fino alle
viscere del vivere quotidiano, in Latteria, in Coda all’ U.S.L., nei
Cessi della Stazione.
Risultato: una folla oceanica, come direbbe Lui, cara lei.
Premettiamo che, nella vita di ciascuno, esistono pieghe oscure,
ossessioni bizzarre.
Ci sono i feticisti dell’alluce, i frequentatori
delle sette Templari e i fanatici delle gite del CAI.
PARTE
PRIMA
Erano le 6 del mattino del 7 ottobre 2007, quando l’Armata si è
ritrovata sul piazzale antistante la stazione ferroviaria. La notizia
della defezione del prode BoarCiro, comandante di tante battaglie, fu
confermata dal carosello festoso formato dalle autobotti per l’espurgo
dei pozzi neri che hanno visto impennarsi all’istante le loro quotazioni
in borsa.
Il fato, maligno, ci aveva privato di un illustre condottiero. L’impresa
non nasceva sotto una buona stella.
Al suo posto Micaelione, evaso notte tempo dal carcere di massima
sicurezza del Falzarego e l’unico in grado di smarrire un esercito in un
garage. L’impresa nasceva sotto una stella marcia.
Le luci dell’alba
sottrassero alle tenebre un titanico mezzo di trasporto che avvicinammo
con la stessa circospezione di chi vede un galeone in mezzo al deserto di
Gobi.
Sfruttando i resti di uno Sputnik cabriolèt, il settore futurista del CAI
ha allestito con invidiabile maestria un UFO con ribaltabile che ci
avrebbe scarrozzati con qualche probabilità di riuscita, lassù sulle
montagne, tra boschi e valli in fior.
Ne è salita una lenta
processione, vera rappresentanza ed esempio di convivenza interetnica e
interreligiosa.
Sulla cascante astronave sferragliante, popolare e promiscua, c’erano
tutti: semiti e indoeuropei, ariani e camiti, tiranni e democratici,
mancavano solo gli Hobbit e il tesoro degli Gnomi, un Khmer rosso, un
rappresentante della dinastia Ming e l’Uomo Ragno. Candy Candy c’era:
con la messa in piega.
Dietro al disgustoso
caravanserraglio, una modesta ma decorosa gabbia, fornitaci gentilmente
dal Circo Medrano, accoglieva, il Biagicus Vorax, con un trolley
contenente scarti di macelleria.
“Like a cat in the corner“ come direbbero gli americani.
PARTE SECONDA
Con la proverbiale euforia che contraddistingue l’avvicinamento delle
truppe alla prima linea, il viaggio ha avuto inizio. Morfeo ha presto
steso il suo velo sui partecipanti e, cullati da una melodia di rantoli,
sibili e rumore di mascelle in pieno furore agonistico, proveniente dalla
gabbia, il viaggio è continuato.
La consueta
devastazione di un Autogrill ha visto i più precipitarsi nei bagni
finanche ad incastrarsi irrimediabilmente,
mentre il nutrimento era dispensato solo a coloro che avevano già perso
conoscenza, ai raccomandati e ai figli di alti prelati. Il
cafarnao di varia umanità, rifocillati i ventri e sollevate le vesciche,
è risalito a bordo.
Dopo aver sorvolato l’Impero delle Mucche, il pilota dell’UFO,
azionando il pulsante “ Ribaltabile” ci ha espulsi in località San
Giorgio. Sui Monti Lessini. Una via di mezzo tra un Villaggio Alpitur
abbandonato e un Lager in piena efficienza. Erano le 9.00. Temperatura 3
gradi. Vento da Est-Nord-Est, anche un po’ Sud. E Ovest, chi è? Il
figlio della gattina nera? Anche Ovest, vamo là! Canale di Sicilia molto
mosso. Mossi i restanti mari.
PARTE TERZA
Sul piazzale, l’armata si è ricompattata come poteva. I miracoli non li
fa nessuno.
Indossate le divise d’ordinanza, stipati gli zaini, pregati
gli dei, rassicurati gli indigeni che, alla nostra vista hanno subito
pensato all’invasione degli Ultracorpi, la processione si è mossa come
un lungo, schifoso serpente in direzione del Rifugio Pertica, travolgendo
carrozzine e spaventando i bambini.
Dopo un frenetico
saliscendi tra faggi frondosi e aspre rupi, che ha provocata una prima
inesorabile selezione tra gli enfisematosi e i lardosi, l’esercito si è
raccolto per la prima, piccola sosta.
Dai primi dati, i
nostri Aruspici cominciavano ad interrogarsi sulle ragioni che avrebbero
spinto i nostri capi a mettere in piedi una tragedia che si preannunciava
di proporzioni bibliche.
Le conclusioni erano che tali ragioni,
probabilmente, restavano misteriose ai capi stessi.
Superati i territori
dei Mohicani, l’ultimo dei quali è stato inghiottito dal Biagicus con
la sola aggiunta di origano, un plotone attardato da problemi di
incontinenza, agli ordini del nobile Claudisio di Tebe, ha eroicamente
sbagliato sentiero. La vista del pennacchio di fumo che fuoriusciva lento
dal Vesuvio, ci ha consigliato una pausa di riflessione. Due cozze veloci
a Posillipo mentre si azimutava in qua e in là, e poi, risalita la china,
ci ricongiungevamo con il resto dell’Armata. Questo, dopo aver dato
civilmente e compostamente alle fiamme la pira sulla quale giacevano i
resti dilaniati di Claudisio di Tebe.
La vista del Rifugio
Pertica ha provocato svenimenti, conversioni, pentimenti e giuramenti. A
ridosso delle sue accoglienti mura, l’armata si è divisa in due gruppi,
allo scopo di sorprendere la mèta attaccandola da due parti
contemporaneamente. Un gruppo di circa tre
milioni di anime belle si è messo in marcia verso la Ferrata
Poiesi, agli ordini di Tiziosofo di
Alicarnasso, Davidippo di Trapezunte e del Beniaminide di Efeso.
L’altro gruppo,
formato da virginee vestali e qualche satiro, si immetteva, con regolare
Viacard, sull’Autostrada per
la Vetta, ai comandi di Beatrade di Mileto che, con un abile colpo di mano,
disertava il primo gruppo per aggiudicarsi la guida del secondo, facendo
ripetutamente a nostro indirizzo, il gesto dell’ombrello.
PARTE QUARTA
Mentre Beatrade di Mileto e le sue Vestali si incamminavano verso Cima
Madonnina con il loro candore quasi carmelitano, il grosso dell’Armata
arrivava all’attacco della Ferrata Poiesi. Una degna rappresentazione
della colossale mistificazione che è l’alpinismo nella sua fase
Alzheimer. Delirante e impotente. Scale mobili, montacarichi e ascensori
con bella vista erano sistemati nei punti “critici”. Le vere difficoltà
erano date dagli ingorghi di gente.
Nelle numerose soste
che hanno caratterizzato il procedere, utili anche per la conta dei
dispersi, si poteva musicalmente apprezzare la colonna sonora della
tragedia, un mix formato dagli scatti continui e contemporanei di milioni
di moschettoni e dai lamenti dei moribondi. In una di queste soste,
durante la consueta ispezione orale del Biagicus, è stata notata, tra due
molari, la presenza di un bidet e di un paraurti da furgone. Nella norma.
Chi vi scrive si
trovava nelle retrovie a parlare del più e del meno. Soprattutto del
meno. Davanti a noi, una delle più efficaci rappresentazioni del caos mai
vista sotto i cieli. L’alpinista che ci precedeva, un creolo normolineo
rispondente al nome di Maurinho e che ricordava Tita Piaz con il mal
d’aereo, è entrato in risonante vibrazione, avendo superato con
l’operazione di attacco-stacco dei moschettoni le frequenze di un
diapason.
Gli abbiamo prestato i primi soccorsi ricorrendo all’ipnosi e
alle arti marziali. Prostrati dalla fatica
e dagli eventi abbiamo assistito ad un fenomeno indimenticabile.
Il Beniaminide di Efeso, devoto di Eolo, si è avvicinato a noi con lo
sguardo allocchito. L’espressione denotava o un moderno nichilismo alla Beckett (niente ha
senso) o solo un banale problema tecnico (si è inceppato). Entrambe le
ipotesi sono cadute nell’istante in cui ha gaudiosamente liberato lo
spirito, quasi a commemorare il Nostro Glorioso Capo Culo Tonante. Che gli Dei lo proteggano et maneat semper per omnia saecula saeculorum.
Amen.
Una diffusa ilarità ha
contagiato l’armata che vagava tra le nubi. Il frizzante buonumore
intaccava anche i vostri
corrispondenti. E’ ancora presto per capire cosa questo significhi.
Fondamentalmente, rimangono in piedi
due ipotesi: o emette gas esilarante o, forse, si stanno allentando le
nostre difese immunitarie.
Invece di lapidarlo, come vuole la legge, ci sono venute le convulsioni.
Comunque, si è stabilito, con decisione unanime, di inserire nel
Beniaminide un depuratore dalla forma evocativa, per farlo rientrare nelle
norme previste dagli accordi di Kioto.
Il paesaggio nebbioso e
la fatica tanta, ci hanno portato ancora una volta a rivolgere ai nostri
capi l’interrogativo che si ripresentava periodicamente e
prepotentemente sul baratro dei nostri cervelli.
Quali le ragioni della scelta di quell’itinerario? A questa precisa ed
esplicita richiesta, i nostri capi, pur non capendo loro stessi, con il
consueto stile cordialmente catatonico hanno cercato di spiegarsi
aiutandosi con la mimica.
Le ragioni, a tutt’oggi, rimangono oscure.
Vagando come
flagellanti in fuga tra le nubi, abbiamo raggiunto il camino finale che ci
avrebbe portato fuori dal percorso attrezzato. Con un fiammeggiante colpo
di reni collettivo abbiamo superato anche l’ultimo ostacolo, lasciando
anche la mancia al ragazzo dell’ascensore. Lo
smottamento di una frana seconda solo a quella del Vajont ha
caratterizzato gli abili movimenti
degli alpinisti più esperti. Il susseguente e sensibile cambiamento della
morfologia della zona, non ci ha impedito di ritrovare il sentiero che ci
avrebbe portato sulla cresta del Costa Media. O sulla Costa del Cresta Media. O sulla media del Costa Cresta. Andiamo
avanti.
L’ultimo tratto di
cammino veniva tecnicamente percorso con la tipica espressione assorta di
chi cerca di evitare le cacche di mucca. Sulla
cresta, sotto il garrire di mille bandierine, dopo aver analizzato i suoi
bravi aspetti tecnico-giuridici e pure le sue brave concause politiche,
con un colpo di Karaté è stato giustiziato Tiziosofo di Alicarnasso.
Abbattuto mentre si teneva i pantaloni all’altezza dei suoi unici due
alleati rimastigli fedeli. Abbiamo rivendicato la paternità del colpo di stato con un comunicato
alla rubrica radiofonica “Uomini e Camion”. Durante le libagioni
seguite al linciaggio, abbiamo dovuto fronteggiare una inaspettata
moltiplicazione di culi, provvisti ciascuno di regolare lettera
dell’alfabeto, che assemblandosi in mutevoli forme, davano origine a
frasi inneggianti a
chicchessia. Ciò ha suscitato in noi uno di quei commenti che facevano (e
che forse ancora fanno) le nonne di fronte ad un mondo che si complica al
di là del prevedibile: “Non sanno più cosa inventarsi”.
Una gara di Karaoke ha chiuso i festeggiamenti.
Seguendo le indicazioni degli astri è cominciata la lenta, penosa
discesa.
PARTE QUINTA
Desolatamente, il coacervo di affaticati e disperati si è mosso lungo il
precipizio che congiungeva la cresta al sentiero per il Passo Pertica.
Solo Bin Laden, presumibilmente, potrebbe trovare agevole quel posto.
Aggirandoci tra i resti dell’Armata, raccoglievamo lamenti, propositi e
speranze per il futuro.
Qualora si fosse riusciti, inaspettatamente, a
giungere a casa, si vaneggiava di rifugiarsi in un residence a Honolulu,
di fuggire a bordo di un Tir slovacco, di ritirarsi a governare renne in
Lapponia. Un’armata allo sbando.
A peggiorare la già
precaria situazione, contribuiva anche Gisellimaca di Cesenaio, aggravata
da un pazzesco body di pelle nera che la intrippava crudelmente. La
sopportazione era al limite.
Una piccola sosta a metà
percorso tra le aspre rupi e i rivi d’argento, ci ha permesso di
ascoltare, echeggiante, un canto d’amor. Oltre che di estrarre un larice
secolare, accidentalmente finito tra le fauci del Biagicus,
in evidente calo di zuccheri.
Mentre le prime frontali si spegnevano, esauste, ecco scorgere dall’alto
il vecchio, caro Sputnik. Felici, abbiamo comunicato le nostre posizioni sfruttando i più moderni
mezzi di telecomunicazione, tenendo cioè le mani a conchetta e urlando.
PARTE SESTA
Ad attenderci, sul piazzale, le Vestali di Beatrade, discese con ogni
probabilità in mongolfiera come si conviene.
Un impianto di fari da stadio se, da un lato, illuminava un rinfresco che
da solo sarebbe bastato a sfamare una borgata romana, dall’altro
accecava, a colpi di Watt, scoiattoli, ghiri, mufloni e cristiani nel
raggio di 30 chilometri.
Nel caos gastronomico
che è seguito, notizie come lo scoppio della Terza Guerra Mondiale o
l’atterraggio dei Marziani, avrebbero faticato a trovare un varco. A tarda notte, una
ruspa ha riempito il pullman di quello che restava di esseri un tempo
umani, mentre noi, cercavamo di rianimare il Biagicus, caduto per
l’inedia in un buco spazio-temporale, colpendolo ripetutamente con un
baccalà.
Confessiamo che avremmo
voluto giustiziare tutti i nostri capi ma, considerando che si tratta di
singoli casi umani, ci auguriamo solo che le loro cure
medico-psichiatriche non siano mutuabili.
PARTE SETTIMA
Il ritorno è avvenuto tra rantoli e agonie. Il pilota, certamente sotto
l’influsso di Bacco, prendeva i tornanti in controsterzo. Un silenzio di
terrore, scendeva pian piano sull’astronave e sul suo delirante, sfinito
e orrendo contenuto. Ad occhi sbarrati si sognavano le mura domestiche.
Dietro, nella gabbia, avvolto dall’oscurità complice, il Biagicus
dirigeva un traffico clandestino di ciccioli.
PENSIERINO FINALE
Ci sono gite in cui si fatica la metà ma sono belle il doppio.
Non è l’abito che fa il monaco. E’ il manico.
Vamo là !
Bibì & Bibò
Piccole Dolomiti Vicentine
Domenica 7 Ottobre 2007.
|