Primi sorrisi di stagione
di
Gabriele Villa
Anno
nuovo, vita nuova.
Chi di noi non ha mai pronunciato o pensato più volte questo detto?
Credo esistano poche altre frasi così banali, scontate e per nulla
rispondenti al vero.
Perché la vita di ciascuno di noi non ha interruzioni, né discontinuità
con il finire di un anno e l’iniziare del successivo.
Sì, è vero: ogni fine anno ripetiamo a noi stessi qualche buon proposito
perché ci pare l’occasione giusta per ridarci qualche stimolo perduto,
salvo poi renderci conto ben presto che tutto procede come prima, se non,
a volte, pure peggio.
Per esempio, io, considerato il mio recente e inedito status di
pensionato, mi ero detto qualche tempo fa: con l’anno nuovo mi dedico
alle cascate in maniera sistematica aggregandomi al “treno” degli
amici ghiacciatori.
Bene: il capogruppo di questi ha scelto di dare una svolta alla sua vita,
decidendo di rilevare la gestione di una baita in montagna, lasciando il
gruppo orfano dell’elemento trainante. L’avrei mai solo potuta pensare
una cosa del genere?
Allora, ben venga la continuità con tutte le solite cose che per
noi arrampicatori senza particolari ambizioni vogliono dire, ad inizio
stagione, le calde pareti del comprensorio dell’alto Garda con le sue
rocce lisce e solari.
Niente cascate? E allora, vai con le placche.
E’ così che, agli inizi di febbraio, si forma un quartetto inedito per
la prima arrampicata della stagione, con Stefano Ti, Stefano l’altro
e Valentina.
Andremo alle Placche di Baone per raggiungerne la cima per la via del
Centenario, un percorso facile e discontinuo che presenta difficoltà di
secondo e terzo grado e, al massimo, un paio di passaggi di terzo
superiore.
L’ideale per chi, come Stefano Ti, desidera iniziare a fare il
capocordata dopo la sua prima stagione di vie in montagna, o per chi come
Stefano l’altro e Valentina si appresta ad assaporare la prima
esperienza di arrampicata “vera” dopo avere frequentato il corso di
alpinismo sezionale.
Con loro ero legato in cordata nell’ultima uscita di quel corso, quella
su ghiacciaio; assieme alle altre cordate abbiamo raggiunto la cima della
Presanella in una giornata magnifica. Era stato naturale, dopo avere
condiviso quell’esperienza così intensa, scambiarci i numeri di
telefono, così, perché … non si sa mai che non capiti l’occasione
di andare assieme in montagna, prima o poi …
Il Garda non è montagna, ma va bene ugualmente.
Del resto, anche la via del Centenario non è una via, bensì un sentiero
alpinistico dal quale si staccano due varianti che, aumentandone un
pochino la difficoltà, lo fanno diventare una facile arrampicata. Tra
l’altro, ora che siamo arrivati all’attacco, ci accorgiamo dei
cartelli nuovi che sono stati posizionati e scopriamo che non si chiama
nemmeno via del Centenario, bensì del 92° Congresso. Il congresso in
parola dev’essere quello della SAT, la società alpinisti trentini,
svoltosi in quel di Arco qualche anno fa, ma questo poco importa.
Valentina si legherà con Stefano Ti, mentre Stefano l’altro
con me.
Un breve ripasso di nodi ci consente di rimettere a fuoco le manovre di
cordata e poi si comincia superando due tiri di corda sull’avancorpo
alto poco meno di cento metri sulla cui sommità possiamo godere del
tiepido sole.
Camminando, ma sempre legati, scendiamo alla forcella che adduce al corpo
principale del Monte Baone, sul quale proseguiamo di conserva fino a
raggiungere la prima variante, chiamata Luisa. La roccia è molto bella,
rugosa e lavorata; la vegetazione, pur rigogliosa, non interferisce più
di tanto con l’arrampicata.
Arriviamo finalmente sotto alla paretina di terzo grado, verticale ma
super ammanigliata, superata la quale compaiono i primi sorrisi
soddisfatti.
Proseguiamo camminando nella vegetazione seguendo le indicazioni bianche e
rosse e in breve raggiungiamo un salto di rocce verticali dove troviamo il
primo chiodo della via, sul quale facciamo sosta. Strapiombino e paretina
sovrastante sono di un divertente unico e qui c’è pure esposizione
perché siamo sul bordo della parete est che va giù un buon centinaio di
metri. Il livello del buon umore del gruppo è in deciso rialzo e i
commenti soddisfatti si sprecano.
Superata una forcella rocciosa, quasi sopra il vuoto della parete e al
margine del bosco, camminiamo fino a ritrovare la bella roccia pulita.
Da qui traversiamo verso destra per una quindicina di metri (è facile, ma
ci sono i chiodi di protezione) fino ad un’altra paretina verticale. Una
spaccatura inviterebbe a salire facilmente, ma una freccetta nera indica
più in là, proprio dove la parete è più dritta (è la variante
Giuliana). La superiamo con gran soddisfazione di tutti.
Chiacchierando e scherzando ci muoviamo fra roccette e vegetazione,
risaliamo un ultimo salto di roccia per arrivare in vista della cima che
raggiungiamo in breve.
Ci accoglie la croce di vetta, con quel crocefisso “metalmeccanico”
che è un piccolo capolavoro d’ingegnosità e fantasia, realizzato
assemblando una molla per farne il corpo, un grosso dado per la testa e
vari tondini di ferro per le braccia e le gambe.
Ci scambiamo le classiche strette di mano, i volti sono sorridenti e
soddisfatti; i compagni mi ringraziano per la bella arrampicata nella
quale li ho condotti.
E grazie di che cosa? Sono io che ringrazio loro.
Dopo oramai trent’anni di alpinismo, di tante cime raggiunte, di
centinaia di scalate (qualcuna anche difficile e impegnativa) il fuoco
sacro non divampa più in me come agli inizi ed allora la mia passione si
alimenta anche dei loro sorrisi soddisfatti.
Guardando i loro volti e i loro occhi rivedo me stesso tanti anni prima
con i pantaloni di velluto alla zuava, gli scarponi di pelle a suola
rigida, il casco Boeri luccicante e senza un graffio e quella voglia
infinita di scalare che ancora non mi è andata via.
Gabriele
Villa
Ferrara,
26 febbraio 2004
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