Never Stop Exploring
di
Francesco Pompoli
Dicono che ormai la scoperta tra le
nostre montagne non sia più possibile.
Dicono che l’evoluzione dell’alpinismo sia la difficoltà.
Dicono che sia necessario bucare la roccia con un trapano affinchè
l’evoluzione abbia luogo.
E io dico di no.
Non mi rassegno a questa resa senza appello e senza speranze. Non mi
adeguo a questa moda di pensiero.
Non mi andrò ad allenare in falesia per "aumentare il grado a
vista", né mi procurerò un perforatore da roccia per offendere le
montagne.
E poi…. L’avventura e la scoperta ci saranno sempre, anche se non
eclatanti come un tempo.
Bisogna solo cercarle, come abbiamo fatto io e Abe in un sabato di Marzo.
Cerchiamo la variante diretta ad uno
degli itinerari di misto più belli delle Piccole Dolomiti.
Saliamo un canale nevoso e superiamo un primo tratto di rocce impegnativo.
Secondo la nostra foto per terminare la variante manca solo un ultimo
salto di roccia, in verità poco invitante.
Una salita sognata sulla carta per tutta la settimana, da quando cioè
avevamo scattato la foto alla parete, e sulla quale Abe aveva addirittura
già tracciato l’itinerario e scritto il nome: Hypermosca…. tra i miei
scongiuri.
Tocca a me partire.
Mi avvicino al tratto roccioso, solcato da due repulsive fessure.
Sulla mia sinistra, invitante, si apre uno strettissimo canale tra rocce
gialle strapiombanti, altissime sopra le nostre teste.
Sembra la porta per un viaggio dentro la montagna (Intramosca, decideremo
poi), un che di primordiale sembra chiamarmi irresistibilmente a varcare
l’accesso.
"Abe, qui c’è un canalino stupendo…. Vediamo dove va ?"
Il mio compagno in sosta non lo vede e aspetta che io superi l’ultimo
tratto di rocce per la hyper-variante.
La richiesta gli deve giungere strana, ma accetta di buon grado la
deviazione.
Mi inoltro dentro la montagna, tra pareti aggettanti su ogni lato.
Avanzo impaziente, il cuore in gola e il respiro spezzato dalla foga, ma
scruto le rocce attentamente pensando che forse sono il primo essere umano
a vederle così da vicino, a toccarle, a cercare sopra la testa l’esile
striscia di cielo che compare tra le rocce.
L’emozione è fortissima. La sensazione incredibile di scoprire
qualcosa, per quanto piccola. La comprensione di cosa veramente significhi
esplorare, di cosa abbia spinto per migliaia di anni gli uomini a viaggi
lunghissimi, imprese impossibili, rischi immensi: l’emozione.
Lo stretto budello curva leggermente; cambio prospettiva e di lontano,
verso l’alto, si intravede inequivocabile la luce diversa di una cresta
inondata dal sole. Capisco che la nostra avventura finirà bene e lo
comunico con gioia al compagno che giunge in vista.
Mi avvicino emozionato verso l’uscita: un ripido accumulo di neve
ventata che termina su una stretta forcella, non più larga di 4 metri, in
prossimità della cima.
Sento il caldo del sole sul viso, mentre le mie mani spingono sul bordo di
neve per issarmi oltre la cresta.
Abbraccio forte Alberto, che felice mi raggiunge. Sono incredulo per la
bellezza dell’itinerario ancora inesplorato.
Campogrosso 2003, mica Himalaya…. in una delle province più ricche,
popolose, industrializzate, ipersfruttate di questo nostro paese
maltrattato.
Eppure, di lì nessuno ancora era mai passato.
Ecco l’avventura. Ecco la scoperta.
Non c’è grado francese o spit che tenga.
L’alpinismo non ha bisogno di evoluzione, ma di gente che lo pratichi
fino in fondo con fantasia e passione.
E siccome ancora non siamo sazi… scendiamo per il nostro canale e
finiamo anche l’hyper-variante.
Never Stop Exploring… ma per davvero.
Francesco Pompoli
Marzo 2003 |