Confessione di un "Ice-climber"
di
Maurizio Caleffi
"L’effimero
mondo del ghiaccio”.
Un modo di dire assai comune se si parla di cascate.
Altre volte mi è capitato di salire colate effimere e corsi d’acqua
dove, credo, mai nessuno ha piantato le sue piccozze; ma Vertigo
è stata per me una cosa molto speciale: una di quelle che sembrano dare
un senso a tante altre.
A mesi di distanza da quel giorno di febbraio, nasce la voglia di
raccontare cosa può succedere fra tre appassionati di cascate di ghiaccio.
Francesco,
il capocordata, giovane e assolutamente catalogabile come fuoriclasse nel
mondo degli alpinisti.
Di una città di pianura, ma con gli attributi
giusti per superare un esame di aspirante guida alpina, qualche anno fa.
Episodio del tutto irrilevante se non fosse perché, credo, sia il primo
di una cittadina come la sua!
Mauri,
vecchio ed irriducibile spiccozzatore, che a capacità deve stringere i
denti, ma a passione non è secondo a nessuno! A lui si deve la scoperta
di Vertigo.
Cristhian,
l’asso nella manica, il locale, conosce il territorio come le sue tasche
ed in esso si muove come un camoscio, conoscendo ogni anfratto del
bosco… tranne Vertigo!
Questa
è la storia di come
nasce una prima salita, la storia di come si può fermare in un attimo la
passione, su una materia, come il ghiaccio, che di concreto non ha
nulla: acqua e freddo, una miscela instabile e affascinante.
Dal
libro di Malga Sorgazza:
- 2
Febbraio
2005 - Finalmente, dopo settimane di caccia spietata, trovo l’accesso ad
un megacandelone che appena si intravede dalla strada di accesso alla
malga. Ci vado sotto da solo e quindi non la salgo, ma ci tornerò di
certo con i compagni giusti. È sicuramente la più difficile che io abbia
mai visto qui nel Tesino! 40 / 50 metri di verticalità continua, non so
se mai salita, ma mi piacerebbe chiamarla Vertigo…
se lo merita!
Provai
varie strade: non avevo capito che quella gola nascondeva la cascata.
Ma dopo averla trovata mi diedi dello stupido: è ovvio che un flusso
d’acqua di quel tipo non poteva sparire nel bosco, solo
quella forra poteva contenere quell’acqua… e quindi quel ghiaccio.
Io mi reputo una specie di rabdomante invernale, un criofungaiolo.
Passatemi il termine: se gli appassionati di micologia vagano per boschi alla ricerca
dei loro preziosi frutti, io d’inverno faccio la stessa cosa.
Solo che “le mie muffe” sono ghiacciate e, quando sono fortunato,
superano di molto le dimensioni di un mega-porcino!
La neve era abbondante e la vegetazione anche: mi arrampicai in parte nel
ripido pendio boschivo e mi districai fra i fitti rami di vegetazione
varia, ma alla fine fui premiato.
Dal basso la colata apparve assolutamente verticale e a destra una frangia
sospesa gocciolante era come una grossa “fauce bavosa” pronta ad
inghiottirti: poco rassicurante!
Fatto positivo e determinante: sapevo dov’era e potevo tornarci. Sapevo
quali potevano essere i giusti compagni di cordata, ma mai immaginavo che
sarebbero stati proprio quelli.
Qualche giorno dopo ricetti una telefonata da Checco: aveva appena
acquistato le piccozze e ramponi.
“Vieni qua prima possibile; so io come battezzarli a dovere! Ti ricordi
di quella colata che ti avevo detto? Ho trovato l’accesso”.
Poi passò in malga Cristhian: avevo iniziato ad arrampicare su
ghiaccio con lui da poco, ma già avevo notato le sue capacità e,
soprattutto, apprezzato la sua profonda conoscenza del territorio. Anche a
lui confessai il mio progetto e lo invitai: accettò subito!
Il mio accesso era alquanto faticoso e contavo che lui conoscesse una via
più sbrigativa.
Ci trovammo la mattina, pronti alla partenza dalla malga: Checco arrivò
la sera prima, Cristhian la mattina stessa, abitando a Pieve, il paese
all’ inizio della valle.
Spiegai a Cristhian dove era la cascata ed insieme decidemmo di accedervi
con un traverso, dalla base di un’altra
colata visibile e di cui conoscevamo bene l’avvicinamento.
Arrivati all’attacco c’era da decidere chi avrebbe fatto da
capocordata: in ballottaggio eravamo io e Checco. Decidemmo di comune
accordo per Francesco: piccozze e ramponi nuovi, come detto prima, erano
una buona scusa per farlo andare avanti. Io, da parte mia, mi incaricai di
assicurarlo, mentre Cristhian ebbe il compito di fare foto.
Con la digitale
si appostò in cima alla cresta che chiudeva la gola alle nostre spalle.
La giornata era grigia e già incominciava a nevicare: Checco procedeva
lentamente, ma senza esitazioni.
Stava affrontando, fin da subito, un muro
a novanta gradi di pendenza, quindi assolutamente verticale.
Non
esistevano spazi per riposare e anche la chiodatura era una faticosa
operazione da farsi appeso fortemente alla piccozza. Anche per il forte
Franz l’impegno era notevole e alla quarta vite decise di appendersi un
momento per rifiatare. Era già a venti metri di altezza e su un tratto
dove la consistenza del ghiaccio non era ottimale.
In certi momenti serve consapevolezza e sangue freddo: la fiducia in ciò
che stai facendo deve essere assoluta e non lasciare spazio a nessuna
incertezza. Appendersi ad una piccozza piantata nel ghiaccio è come essere una foglia che rimane attaccata al suo ramo in
autunno: un colpo di vento ti può portar via!
Ma quel piccolo riposo fu determinante per riprendere le forze e ripartire
per concludere il tiro di corda.
Dal basso cercai di incoraggiarlo:
“ Vai Checco, non mollare! Resisti che ormai è fatta!”
Dal basso il tratto ripido sembrava esaurirsi dopo pochi metri
e chiesi conferma a Cristhian che alle nostre spalle dall’alto, poteva
vedere meglio.
Lui ci rispose che in alto ce n’era ancora e non aggiunse altro.
Era lontano e non ci sentivamo bene, anche urlando ad alta voce.
Nella mia mente la colata finiva poco sopra dove si trovava Francesco o al
massimo proseguiva con pendenze molto più tranquille. Quel piccolo tratto
che avevo sempre visto dalla strada della malga era a mio parere quello
che Checco si prestava ad affrontare e doveva coincidere con la fine della
nostra fatica.
Un monotiro quindi, lungo, impegnativo, faticoso, ma non più
di un tiro di corda!
Poi Franz sparì dalla mia vista; la corda cominciò a scorrere più
velocemente, segno che le difficoltà erano terminate.
“C’è un altro tiro Mauri! È bellissimo!!”
Lo sentii a malapena ed allora chiesi conferma anche a
Cristhian che nel frattempo si era riavvicinato.
Mi disse che la cascata
continuava con un altro salto.
Non potevo crederci; che regalo inaspettato, non vedevo l’ora che
venisse il mio turno per salire e vedere con i miei occhi cosa c’era lì
sopra!
Al comando di Checco mi avviai nella mia salita. Era ormai tardi ed il
tempo che mi rimaneva era ridotto al lumicino. Dovevo rientrare alla malga
a mezzogiorno per aiutare Carla nel servizio pranzo. Avevo ormai solo
un’ora di tempo. Cercavo la velocità e rincuorato dalla corda
dall’alto optavo per lanci leggeri e spesso agganciavo la punta delle
mie becche ai fori lasciati da Franz. Non era sicuramente il mio stile: amo piantare fortemente e saldamente la
piccozza, anche se a volte
sfilarla risulta molto faticoso.
Comunque arrivai molto presto alla sosta dove, dopo essermi complimentato con Checco per la superba salita,
osservai stupefatto il tiro successivo. Una abbagliante e azzurrognola
colata compatta saliva con
discontinuità di pendenza fino al bosco lassù in alto.
Ora era chiaro:
quello che avevo visto dal basso, era la parte
finale di questo secondo tiro.
Ma ormai era tardi, maledettamente tardi! Cristhian, per quanto veloce,
doveva ancora raggiungerci e poi bisognava scendere, cosa che non sembrava
semplicemente risolvibile con alcune corde doppie lungo la nostra salita.
Avevo ormai deciso: sarei sceso non appena i miei due compagni di cordata
fossero stati nuovamente insieme, ed a loro avrei lasciato il compito di finire
quella bellissima cascata.
Chiesi a Francesco solo l’onore di dare il nome
a quella magnifica struttura.
Acconsentì insieme a Cristhian e
dopo averli salutati mi calai per rientrare.
Arrivai in malga con una decina di minuti di ritardo, quando alcuni
clienti erano già seduti a tavola.
Provai a spiegare a Carla che avevo
rinunciato al tiro finale per essere li comunque a quell’ora: la
risposta furono due piatti da servire in sala…. “e veloce, se no si
freddano!”
Dopo due ore ritornarono Checco e Cristhian: nevicava copiosamente ma Vertigo era ormai salita.
Che bel colpo!
Qualche tempo dopo Checco tornò a trovarmi in malga e mi regalò una
bellissima foto di quel giorno: l’aveva scattata Cristhian sul filo
della cresta alle nostre spalle. Incorniciata a dovere ora fa bella mostra
di se all’entrata del bar e tutti non possono fare a meno di ammirarla.
Sotto una nota nella quale è scritto:
“20 febbraio 2005
-
Vertigo - Francesco Pompoli, Maurizio Caleffi, Cristhian
Marchetto”.
Chiedo scusa a tutti del mio nome: forse non me lo meritavo visto che non
ho completato la salita, ma credo che i miei compagni di cordata mi
abbiano perdonato il misfatto.
Comunque sia Vertigo
la sento come se l’avessi salita per intero. È già pregusto
quando questo avverrà!
M.Ice - Settembre 2005
P.S.
ancora, a tutt’oggi, non ci risulta che Vertigo sia mai stata
salita prima. Continueremo ad informarci in merito e attendiamo eventuali
ripetizioni: magari la prima toccasse a me… questa volta, però, fino
alla fine!
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