Un
tranquillo week-end di picche
di Maurizio Caleffi
Sono arrivato oggi dopo
tre giorni intensi di montagna: sono andato via con Francesco. Lui è un
tipo instancabile, un atleta che corre le maratone!! Ha una gran passione
per la montagna e nonostante le sue grandi qualità fisiche che gli
consentirebbero di fare chissà cosa, il suo dono migliore sta nel fatto
che accetta ogni cosa anche la più banale con il massimo entusiasmo. Ho
conosciuto tantissime persone che solo perché sono forti fisicamente
affrontano la montagna sempre di corsa come se si trattasse di una gara:
cuore in gola per la fatica e adrenalina a mille!!
NO NON FA PER ME!!! La montagna è magica perché grazie ad essa
ritroviamo i veri valori della vita e riusciamo a capirne la giusta
importanza!. Arrivare di corsa in cima solo per dire che ci hai messo metà
tempo di altri e non riuscire a trovare nemmeno un minuto per apprezzare
il dono del panorama circostante è un vero delitto!! Francesco vive di
questi piccoli attimi e li assimila durante le sue gite ed escursioni: non
solo ... a casa elabora il tutto, prende appunti. Cataloga le foto e anche
dopo tanto tempo descrive ogni gita con lo stesso entusiasmo di quando
l'ha fatta.
Gli sto insegnando un po' di "cascate"... ad arrampicarle quando
sono ghiacciate intendo!
E' bravissimo non tanto fisicamente ma soprattutto è entrato fin da
subito in piena sintonia con tutto l'ambiente. Preciso, riflessivo, mai a
strappi ma sempre con la massima leggerezza...sono doti fondamentali per
arrampicare sul ghiaccio senza che si rompa sotto i tuoi colpi!!
Sabato l'ho messo a contatto con l'ambiente magico, misterioso e
affascinate dei boschi: abbiamo risalito le ripide pendici della montagna
dietro casa mia per raggiungere la nostra cascata. Arrivati alla base
abbiamo dovuto attendere che alcuni ragazzi (volontari del soccorso alpino
in esercitazione) terminassero le manovre di discesa. Siamo rimasti alla
fine io lui e il bosco. Abbiamo salito la prima lunghezza di corda (50 m)
su ghiaccio buono ma non eccezionale visto il caldo dei giorni scorsi.
Raggiuntomi alla sosta era come se avesse fatto la cosa più naturale del
mondo. L'anno scorso sulla stessa salita ho recuperato Simone e la Chiara
(sua sorella) i quali nonostante la loro esperienza pluriennale
denunciavano la durezza della salita tant'è che siamo subito discesi!!
Con Francesco dopo un breve scambio di battute e chiesto la sua
approvazione abbiamo affrontato il secondo tiro di corda.
Questa volta dovevamo risalire un "pindolone" di circa 10 m di
altezza ma estremamente impegnativo!!
Come tutti i pindoloni aveva una forma conica, stretta sotto a larga
sopra, ciò vuol dire strapiombante.
In più questo tipo di conformazioni ghiacciate (candele) sono
caratterizzare da un tipo di ghiaccio detto a canne...praticamente come se
fosse un enorme mazzo di grossi spaghetti. Sulle canne è difficile
piantare bene le piccozze e i chiodi di protezione non sono sempre
affidabili. Ben quattro ne ho messi per superare quella candela e sono
stato molto fiero di me quando sono arrivato alla sosta anche in virtù
del fatto che non sono per niente allenato!! Il contatto con questo tipo
di arrampicata genera in me un "non so cosa" che mi fa tirare
fuori il meglio di me stesso. Ho dato a Francesco alcuni consigli e
raccomandazioni e infine il comando per partire. Quando mi ha raggiunto mi
ha fatto i suoi complimenti: "Bela Mauri!!" Ma quello bravo era
stato lui. Era la sua prima cascata vera e la sua prima candela in
assoluto. Come sempre siamo scesi con il buio. Devo confessare che lo
faccio spesso e a volte mi attardo perché ciò avvenga: nulla è più
magico che rientrare sotto un bellissimo cielo stellato.
E' come se tutte quelle stelle fossero il miglior premio della tua
giornata!
Domenica siamo andati in Val Badia. Un ambiente completamente diverso:
siamo nella parte più settentrionale del grandioso Gruppo del Sella. La
neve è abbondante e il freddo intenso: se non fosse per la pista da sci
che scende dal passo sembrerebbe di essere in Canada! (mai stato… ma
credo che sia proprio così!). La cascata che abbiamo scelto si chiama
"Lujanta" un nome molto affascinante che all'inizio credevo
significasse "lucente" in lingua ladina.
Ma parlando al nostro rientro con una signora del posto abbiamo imparato
che si tratta del nome di una donna protagonista di un’antica leggenda
Ladina del posto. Lujanta è comunque una cascata bellissima: si forma
all'interno di una stretta gola fra le rocce strapiombanti e sale per
cento metri verso il cielo blu. Forse proprio per questa ragione il colore
del suo spesso ghiaccio tende all'azzurro: quasi come se fosse la strada
che conduce dalla bianca e candida neve del suolo al cielo blu, questo
nastro di ghiaccio azzurro vince la verticalità delle rocce circostanti
annullandone l'ostacolo. Anche qui abbiamo dovuto attendere molto tempo
prima di incominciare a salirla.. Una cordata di tre ragazzi di Verona
erano impegnati a salirla e ciò rendeva molto pericolosa la nostra
arrampicata in quanto tutti i pezzi di ghiaccio che si staccavano (ed
alcuni erano molto grossi!!!) ci avrebbero inesorabilmente colpito. E poi
una così bella salita dovevamo godercela senza il minimo patema. Dopo due
ore di lunga attesa i tre di Verona se ne andarono e come la giornata
precedente rimanemmo io, Francesco e Lujanta. La bella e misteriosa dama
ladina così come nella leggenda ci fece uno scherzetto!! Alla seconda
lunghezza di corda su ghiaccio molto fragile (colpa del freddo intenso)
due pezzi si staccarono da sotto le mie piccozze nel giro di pochi minuti.
Il primo colpisce la mano di Francesco il quale pur di non distrarmi dalla
mia impegnativa salita non disse nulla affogando il dolore in una smorfia.
Ma il secondo pezzo, ancor più grande, lo colpì al ginocchio e il suo
grido di dolore questa volta non poté fare a meno di esplodere. Rimasi
malissimo nel sentirlo lamentarsi e subito gli chiesi se tutto era ok.
Bloccato in precario equilibrio in quel tratto che guarda caso in quel
momento era verticale e delicato, lo guardai in basso attraverso le mie
gambe divaricate.
" Andava meglio prima!!" mi gridò rannicchiato per il
dolore"...il ginocchio...mi ha colpito al ginocchio!!!"
"Come va Franz .....mi fermo?"
"NO....NO vai avanti che ti tengo!!!"
" ...Ma sei sicuro ...se vuoi...."
"....No!... Sali... adesso mi passa!!"
" Ok vado...scusami!!: "
Arrivato alla sosta quanto prima possibile mi sono attivato subito per
recuperarlo. Non vedevo l'ora che mi raggiungesse per assicurami sulle sue
reali condizioni.
"...Un male da vomito! Ma adesso va un po' meglio" ...furono le
prime cose che mi disse non appena fummo a vista. In sosta mi disse anche
del primo pezzo di ghiaccio sulla mano ed io mi sentii ancora più in
colpa. Lo aiutai a sistemare il materiale che aveva recuperato durante la
sua salita e una volta chiesto la sua approvazione mi apprestai a salire
l'ultimo tratto. Arrivammo a fine cascata quando il sole tramontando
tingeva di rosso tutte le crode che ci circondavano. Nonostante il male
era entusiasta del panorama e non perse l'occasione di fare alcune foto.
Io intanto avevo già attrezzato la corda per la discesa e con tre calate
dopo circa venti minuti eravamo alla base della cascata. Ci aspettava il
rientro alla macchina che fortunatamente avvenne senza particolari
problemi da parte del suo ginocchio: ancora una volta sotto le stelle!!!!
La sera, ormai giunti a casa mia, abbiamo fatto la conta dei danni: un
ginocchio ammaccato, una mano gonfia e un piccolo taglio sul mio naso a
causa di una scheggia di ghiaccio.
Sull'altro piatto della bilancia... la misteriosa dama ladina: "Lujanta".
"Domani Mauri cosa facciamo?" mi chiese dopo cena.
"Dimmi piuttosto ...il tuo ginocchio?"
Francesco non sembrò preoccuparsene più di tanto e allora decidemmo di
provare a salire la mitica "Cascata del Pordoi".
Al solo pensiero confesso che non ho dormito tutta notte! La cascata non
è difficilissima ma vista l'esposizione (sud), la quota. la posizione e
le condizioni della neve è molto pericolosa per le valanghe!!!
Alle cinque mi alzo, faccio una doccia, telefono al centro valanghe di
Arabba per sentire il bollettino: "pericolo 3, marcato sopra i 2000mt
possibili distacchi spontanei di neve a lastroni o accumuli da
vento". "NON BUONO!!!" dissi... La cascata è a 2600 m
circa al sole e allo sbocco di un ampio canale di scolo di un vasto pendio
di neve sormontato da rocce...niente di peggio!!
"Francesco... è meglio non andare!"
" Va bene Mauri ....ma allora cosa si fa?"
A Campitello quando si esce dalla pasticceria dopo aver fatto una mega
colazione, l'occhio attento di chi come me cerca sempre cascate non può
fare a meno di vedere una riga di ghiaccio che solca l'intera parete:
"Rio Pelos".
Come quasi tutte le cascate di quel versante non ci sono grossi problemi
di pericolosità dovuta alle valanghe: sono in mezzo al bosco!
Alle 8,30 di mattino con -14° armati di tutto punto chiudiamo la "Scudiello"
(il mio furgone) e ci avviamo per il ripido bosco alla base della cascata.
In meno di mezz'ora siamo alla sua base e Francesco mi espone i suoi dubbi
sul suo ginocchio: gli fa molto male nonostante il Voltaren!! Il comune
accordo è di provare a salire almeno il primo tiro di corda. Per salire
quei trenta metri ci ho messo 50 minuti!!! Mai avevo trovato del ghiaccio
in quelle condizioni!! Lo stillicidio e gli spruzzi caduti dall'alto
avevano creato quello che noi cascatisti chiamiamo "cavolfiori".
Praticamente degli enormi funghi di ghiaccio dove, come per le canne,
diventa difficile piantare bene le picche e avvitare dei chiodi
affidabili. Mi ha veramente dato molto filo da torcere questa salita ed in
più non ho trovato la sosta attrezzata ed ho dovuto autocostruirmela con
tre viti da ghiaccio. A fatica Francesco riesce a raggiungermi a causa del
ginocchio dolorante che lo costringe ad arrampicare senza una gamba!! Ma
il problema che più mi preoccupava era la corda: era assolutamente rigida
e ghiacciata. Scendere con essa voleva dire dargli dei grossi strattoni
per far si che il discensore scorresse nonostante gli ostacoli dovuti alla
assoluta mancanza di manovrabilità della corda stessa. Questi strattoni
si sarebbero scaricati sulla mia sosta autocostruita la quale non aveva
assolutamente le caratteristiche per resistere: il risultato sarebbe stato
il cedimento della sosta con noi appesi e quindi.......!!!!!
Eppure la sosta ci doveva essere: la relazione sulla guida la segnala! E
se la relazione fosse sbagliata!! Decidiamo di provare a salire ancora per
vedere di trovarne un'altra magari un po' più in alto. Parto e Francesco
fin da subito mi dice che ha grosse difficoltà nel sfilarmi la corda a
causa del ghiaccio: salito una decina di metri mentre mi appresto ad
avvitare il secondo chiodo scorgo sotto uno strato di ghiaccio, dentro ad
una nicchia a pochi metri sotto di me la tanto sospirata sosta
attrezzata!!! "...Eccola!!! L'ho trovata!!! Scendo la raggiungo e poi
ti recupero!"
Così fu e dopo pochi minuti ci trovammo a lottare con la corda per
riuscire a scendere in doppia: io non tanto, visto il mio peso, ma il
povero Francesco saltava come un grillo per riuscire a scendere.
Immaginiamo se la sosta non fosse stata quella da noi trovata ma quella
attrezzata sui quei cavoli (nel vero senso del termine!!!) di cavoli!!
Tornati allo Scudiello ci siamo permessi una siesta al sole: abbiamo
raggiunto il paesino di Pian che si trova al lato opposto della valle al
sole. Seduti su alcuni sassi abbiamo dato fondo alle scorte viveri in
compagnia di un gatto affamato e sotto un cielo cobalto, sotto di noi la
valle e di fronte la riga ghiacciata di "Rio Pelos".
Abbiamo salito solo il primo tiro, ma la prossima volta....!!!
MaurICE
Gennaio 2001
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