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Ho
quindi dimenticato le sue avventurose salite così avanti, molto più
avanti rispetto al livello degli altri, degli altri che non sono e non
saranno mai “maghi” come lui. Ho dimenticato quanto si dice e
si scrive di questo personaggio, tanto “diverso” proprio nel senso
etimologico di “chi si dirige in direzione opposta”. Bene. Adesso non ricordo più niente. Adesso
gli parlo e capisco tutto, alla scoperta di non so cosa ma di chi sapevo. Già il luogo è speciale; proprio di fronte alle grotte, visitate di giorno da centinaia di turisti, l’atmosfera viene suggerita e tratteggiata dalle grandi figure dipinte da Mario Nebiolo sulla roccia massacrata dagli scavi e dalle estrazioni. Già, Mario Nebiolo. Anche su di lui ci sarebbe da scrivere a lungo. Medico ortopedico, arrampicatore instancabile, ma soprattutto artista/pittore sopraffino che sa vedere nella parete profili e volti, tirandoli fuori dalla montagna, stando appeso davanti alla roccia. Magari un’altra volta… Stasera
sono qui per Manolo, che proverà come attore della performance
messa in piedi da Nebiolo. Nel
buio umido, inseguito dalla colonna sonora del frinire di cicale, mi
inerpico con incedere cinghialesco lungo una traccia appena abbozzata; mi
fa compagnia l’armata Brancaleone di svitati e simpatici locals,
dotati di tamburi, conghe e bonghi che fungeranno da commento alla salita
del Mago. Arriviamo così ad una trentina di metri sopra il livello della
cava, su di una cengia lunga una cinquantina di passi e larga venti
spanne. Da lì la vista spazia sullo spiazzo sottostante, verso le
dirimpettaie grotte ormai abbandonate dalle torme di turisti, mentre in
lontananza, verso l’orizzonte che non si vede più, si intuisce lo
sciabordio delle ultime onde del mare. Tutto
pronto: taccuino, matita, domande studiate, corrette, abbandonate e
riprese, limate e smerigliate. Il kit del perfetto apprendista
giornalista. Mentre scambio qualche parola con i forsennati e con le forsennate che picchiano a più non posso sulle percussioni, il Re Mago si mostra, in un’epifania dove non mancano pastori (quasi veri), asini (apparentemente calzati e vestiti), buoi (ruminanti mantra e trasudanti new age). Si prepara per la prova generale, già bardato con il costume di scena (travestimento da lucertola fatto in casa, nel pieno rispetto della ovvia, inossidabile, inattaccabile e storica parsimonia ligure). Mentre
la moglie lo assicura, lui parte. Ostia, non se vede niente. Speremo in
ben! Oh Mario [Nebiolo n.d.r.], alsa il rifletore, che qui xe buio.
Comincia ad arrampicare – meglio dire a camminare – sulla roccia
verticale; salta il primo spit perché non lo vede, poi viene preso dal
ritmo ritmato dei tamburi e si muove ad appoggio e ad appiglio di danza.
Moschettona, toglie la corda dal rinvio, ri-moschettona, sempre procedendo
in sintonia con la mezza dozzina di percussioni, tallona e gigioneggia,
divertito in traverso ascendente verso sinistra fino alla sosta. Difficile chiedere qualcosa a Manolo. Impossibile essere innovativi, brillanti, unici: le domande sono sempre quelle. Cos’è la difficoltà? Forse ero un po’ incosciente, ma la difficoltà non mi ha mai interessato. Gradi o non gradi, l’importante era scoprire nuove linee, liberare vecchie vie aperte in artificiale. Ho notato grande differenza, per esempio, arrampicando in Verdon, dove gli spit in mezzo alle placche mi hanno fatto una strana impressione. In più, abituato alla roccia marcia ed instabile dei miei posti, il calcare compatto e sicuro mi è subito sembrato essere di un altro mondo.
Pausa. Manolo si rivolge a Nebiolo, chiamandolo “Barolo” in un enologico tripudio sfottitore. Poi riparte sulla via. Ostia che caldo, con questo costume di plastica (preparato con i sacchetti della spazzatura – vedi nota sopra n.d.r.)
Nuova rapida calata e nuove domande al volo (battuta involontaria n.d.r.) Bene,
parliamo del tuo rapporto con gli sponsor. Ne ho alcuni storici, che mi
seguono fin dall’inizio della mia carriera; altri si sono aggiunti
successivamente. Principalmente perché mi hanno consentito di vivere di
arrampicata. Da tutti ho avuto molto. A tutti penso di aver dato tanto. Quanto
c’è di fisico e quanto di mentale nell’arrampicata? Difficile fare
dei numeri (in questa risposta c’è tutto Manolo, che infatti mai o
quasi ha gradato le sue vie n.d.r.). Direi comunque che la parte
mentale copre il 60%. Ed infine: com’è il tuo rapporto con la paura? Al nostro interno ci sono gli stimoli necessari per riuscire, nell’arrampicata come nel mondo di tutti i giorni. Bisogna valutare al meglio le proprie potenzialità, guardarsi dentro senza remore, senza scrupoli e senza reticenze. Poi scegliere cosa fare. Ok, è andata. Si ritorna sulla terra in senso stretto, ripercorrendo la traccia da cinghiale fino allo spiazzo della cava.
Tra battute al vetriolo in dialetto ligure-veneto [irriportabili pena la chiusura del sito n.d.r.] e bicchieri di vino, la notte volta pagina. Zanolla
il Mago [u Magu] e Nebiolo il medico [u megu] mettono a
punto gli ultimi particolari della serata. Mauro
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