NOTIZIE.
03/04/2006 - Silenzio dei
media su Lafaille, scomparso e rimasto per sempre sul Makalu
È
scomparso in montagna e in pochi hanno potuto stupirsene. Rischia d'essere
il destino di chi sfida le vette a quei livelli, sedici tentativi a un
ottomila in quattordici anni, spesso in solitaria, d'inverno,
concatenamenti al limite dell'impossibile. È scomparso in montagna,
Jean-Christophe Lafaille, ma è scomparso anche dai media, specializzati e
non. Nella ristretta cerchia degli "ottomilisti" - quelli veri,
non i tanti turisti d'alta quota - era un personaggio di primo piano,
conosciuto anche dal pubblico italiano dopo le polemiche con Simone Moro
per la primogenitura della salita invernale allo Shisha Pangma: salito
l'11 dicembre 2004, da solo, il francese la pretendeva per sé nonostante
la stagione non fosse ancora ufficialmente cominciata (lo era da un punto
di vista meteorologico, diceva). Ma in realtà la prima è da ascrivere a
Moro e al polacco Piotr Morawski, riuscita il 14 gennaio seguente.
Qualche mese di contestazioni, poi Lafaille è tornato
in Himalaya, nell'inverno vero questa volta, per tentare ancora da solo il
Makalu, in tecnica alpina. La via era quella normale, l'impresa di nuovo
azzardatissima. Da metà dicembre l'alpinista è in Nepal. Lo attende a
casa la moglie Katia, che gli fa da manager e gli parla ogni giorno con la
radio. Il 24 gennaio lascia il campo base, il giorno dopo è a 7.600
metri, è l'ultimo contatto con la moglie. Non tutte le speranze sono
perdute, il gran freddo - 30 gradi sotto zero dentro la tenda - potrebbe
aver scaricato le batterie, la nebbia impedito la ricarica con i pannelli
solari. Un giorno, due, ma Katia non demorde. Ricorda che nel 1992, sulla
parete sud dell'Annapurna, suo marito era rimasto solo, senza più
attrezzatura, dopo il volo mortale del suo compagno Pierre Béghin. Un
passo dietro l'altro era riuscito a scendere, per riapparire cinque giorni
più tardi al campo base, quando nessuno più pensava di rivederlo vivo.
Katia attende, il 29 gennaio un elicottero e un piccolo
aereo sorvolano a lungo la montagna, ma nulla. Disperso, un eufemismo per
lasciare ancora spazio all'idea che lui possa essere vivo. Solo quello
dice il sito di Jean-Christophe, www.jclafaille.com, per qualche tempo. Poi Katia prende
coraggio, il primo febbraio parte anche lei per il Nepal, una nuova
ricognizione in elicottero, anche per recuperare il materiale, per
conservare un ricordo. L'11 febbraio alle 11 sulla home page appare un
comunicato in cui si ringraziano gli amici rimasti vicini a lui, alla
coppia. In testa un distico: "La vita ha delle ragioni che la ragione
ignora".
Fin qui il ricordo di un fuoriclasse che ha lasciato la
firma, perlopiù da solo, su alcune vie di altissima difficoltà sulle
Alpi, in Himalaya e nel Karakorum. Rimane lo stupore per il silenzio di
giornali e televisioni. In Francia, Le Monde ne ha scritto il 28 gennaio,
Libération due giorni dopo. In Italia nessuna fra le testate più
importanti (anche Repubblica, ahinoi). È vero, incombeva l'Olimpiade, ma
è perlomeno singolare che per la scomparsa d'un simile personaggio non
sia stata trovata nemmeno una notizia. Ma non si è trattato solo della
negligenza di una stampa poco attenta alle cose della montagna, perché la
scomparsa di Lafaille non è arrivata neppure sulle pagine delle riviste
specializzata, né gli hanno dedicato più di poche righe i vari siti
d'alpinismo. Finché la settimana scorsa non se n'è ricordata Meridiani
Montagne, che gli ha ritagliato una mezza pagina. L'alta quota ha i suoi
misteri.
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