NOTIZIE. 07/02/2007 - Reinhold
Messner vince la causa: sarà censurato il libro che lo diffama
La
notizia, di pochi giorni fa, riporta sotto i riflettori una polemica
durata più di trent'anni, che si è risolta solo un anno e mezzo fa,
quando
il ritrovamento dei resti di Guenther Messner provò definitivamente e
senza ombra di dubbio che lo scalatore altoatesino aveva sempre detto la
verità. Ma, nel frattempo, di cose se ne erano dette e scritte molte.
Alcune di queste accuse erano contenute nel libro "Die
Uebershreitung" (L'eccesso) di Max Von Kienlin, che accusa
esplicitamente Reinhold Messner di aver lasciato morire di
sfinimento il fratello.
Messner gli fece causa, e oggi il giudice gli ha dato finalmente ragione,
riconoscendo come diffamatori 12 dei tredici passaggi del libro che
Messner aveva contestato; la sentenza prevede che questi passaggi siano
censurati.
Ricordiamo che i fatti si riferiscono alla salita del Nanga Parbat, la
montagna di 8125 metri, effettuata dai
fratelli Reinhold e Guenther Messner il 26 giugno del 1970, risalendo la
parete del Rupal, nell’ambito di una spedizione tedesca guidata da Karl
Herrligkoffer.
Durante la discesa era cambiato il tempo e i fratelli furono costretti ad
un penoso bivacco in quota, senza attrezzatura.
Guenther cominciò a denunciare segni di sfinimento e mal di montagna al
punto che Reinhold valutò troppo pericoloso ridiscendere per la difficile
via di salita e decise, guidato da un disperato istinto di sopravvivenza,
di scendere per lo sconosciuto, ma più facile, versante opposto, quello
del Diamir.
Durante la discesa, quasi a metà della parete, quando i due sembravano
oramai avercela fatta Guenther scomparve alla vista del fratello. Così
scriveva Reinhold Messner nel suo “Nanga Parbat in solitaria”, edito
dall’Istituto Geografico De Agostini nel 1980: ”Avevo sceso la
parete Diamir nel 1970 dopo avere fatto la prima ascensione del versante
Rupal; con me era mio fratello Guenther, che durante la discesa fu colto
da mal di montagna. Allora passammo tre giorni col timore di non venir più
fuori da quell’intricato labirinto di roccia e ghiaccio. Riuscimmo a
scendere fino ai piedi della parete senza alcuna attrezzatura da bivacco,
senza bere e senza mangiare. Là mio fratello fu travolto da una
scarica.”
Dopo
avere cercato inutilmente il fratello, Messner proseguì da solo fino a
raggiungere un villaggio di contadini pakistani, oramai allo stremo delle
forze. In seguito, al dolore per la perdita del fratello, si aggiunse
l’accusa dei suoi compagni di spedizione che lo incolparono di avere
abbandonato il fratello per l’ambizione di voler raggiungere la cima.
L'attuale sentenza libera definitivamente Reinhold Messner da ogni
possibile residuo sospetto e censura chi lo denigrò.
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