Le magie del laghetto delle Anguane
foto di Alessandro Vitali
testo a cura di Gabriele Villa
Si impara anche a non avere fretta, in certe situazioni e con particolari "personaggi", quando li si conosce bene.
Uno di questi è "Sandrino", il taciturno ex bibliotecario del CAI Ferrara di qualche anno fa.
Nell'agosto del 2009 abbiamo condiviso pochi giorni di vacanza assieme, all'albergo La Baita di Andraz, compiendo qualche escursione e affrontando alcune divertenti arrampicate di media difficoltà.
Una sera lo vedo "smanettare" con l'inseparabile macchina fotografica e do una sbirciatina alle immagini.
Sono molto "originali", con sagome di paesaggi che si specchiano nelle acque di un laghetto assolutamente privo di qualsiasi increspatura, proprio come fosse uno specchio.
"Belle! Sai che se me le mandi ci faccio un Diario Fotografico su intraigiarùn?" - gli dico.
"Le ho fatte la scorsa settimana alle Piccole Dolomiti Vicentine" - mi risponde senza aggiungere altro.
Hai voglia di aspettare e, ogni volta che lo vedevo alla sede del CAI, gli chiedevo "Allora... mi mandi quelle foto?".
Vabbè... non immaginavo che da quell'agosto sarebbe dovuto passare più di un anno.
Un pomeriggio, tra Natale e Capodanno, apro la posta e vedo una mail, mittente Alessandro Vitali:
Mercoledì 29 dicembre 2010 Ore:16.38
Oggetto: Scusa il ritardo!!!
Ciao, ti invio alcune foto tra cui i paesaggi che ho fatto nell'estate del 2009 dove si vede la Bella Lasta riflessa nel lago, come ti avevo promesso. Scusa ancora il ritardo.
Spero, per l'anno prossimo, che i miei orari di lavoro mi concedano un po' di tempo per venire qualche volta al Cai.
Tanti Auguri
Alessandro
Appena lo vedo, gli ripeto che le foto sono molto belle, ma che mi serve un minimo di testo per inserirle e che quindi mi scriva una mail con qualche nota di descrizione dei luoghi e delle montagne riprese nelle immagini.
Passano dieci mesi e una sera capita alla sede del CAI, è martedì 11 ottobre 2011.
Non mi lascio sfuggire l'occasione, così prendo carta e penna e improvviso una specie di intervista per avere finalmente le informazioni che mi servono per realizzare il Diario Fotografico.
Mi racconta che quello delle foto è il “suo lago”, poco conosciuto perché lo si individua poco facilmente e per questo vi si incontra poca gente.
E’ un lago a rischio perché la montagna che lo forma è soggetta a franamenti e quindi potrebbe sparire, prima o poi.
E’ piccolo e sono presenti pesci o per meglio dire “fauna ittica”, come è scritto in un cartello.
Si chiama lago delle Anguane, che sarebbero streghe secondo le leggende locali.
Poi, prende carta e penna e mi fa pure uno schizzo per spiegarmi meglio come si forma, raccogliendo acque di fusione di nevai e i motivi idraulici per i quali potrebbe seccarsi e scomparire.
Infine conclude dicendo che trova in alta Val di Creme ed è facilmente raggiungibile, però non ci sono cartelli, bisogna trovare la traccia nel bosco.
Le due montagne che si specchiano nel lago sono la Bella Lasta e il Monte Gramolon.
Lui ci va spesso, compiendo un giro ad anello per passare di lì, dopo avere lasciato l’auto a Malga Podeme.
Ciò che mi aveva colpito nelle immagini erano quei "sassi nel cielo" di cui non capivo bene il significato, al di là dell'effetto sorprendente che racchiudevano e di cui gli chiesi l'origine.
"Ho fatto le foto e poi le ho girate intenzionalmente." - mi rispose.
"Un'idea che ti è venuta così, spontaneamente?" - avevo insistito.
"Nella casa di vacanza che prendevamo in affitto alle Piccole Dolomiti, avevo visto appesa a una parete una vecchia foto di Venezia, fatta da mio zio che è un buon fotografo. Ritraeva un canale, la superficie dell'acqua era liscia e si vedeva una casa riflessa. Da lì ho avuto l’ispirazione."
"Essendo un laghetto poco profondo, hai notato i sassi che affioravano e ti è venuto lo spunto."
"Sì, anche perchè quando ho fatto le foto ho trovato condizioni di acqua liscia che sono molto inconsuete.
Di solito la superficie è increspata e a volte l’acqua è torbida, probabilmente a causa di alghe."
Delle Anguane avevo letto in un libro di storie e leggende dolomitiche, così come ricordavo un quadretto di legno intarsiato appeso ad una parete del Cant del Gal, nel quale erano rappresentate "streghe" attorno ad un pentolone sul fuoco, mi aveva molto colpito il particolare dei piedi girati con le dita all'indietro.
Mi è stato facile effettuare una ricerca per saperne qualche cosa di più.
Dal sito LESSINIA VICENTINA
Le figure leggendarie più presenti in queste tradizioni sono indubbiamente le Anguane.
La tradizione più consolidata vuole che le Anguane siano donne selvatiche e bellissime, dalla chioma fluente, che indossano lunghe vesti, spesso nere, sotto le quali forse nascondono piedi caprini.
Vivono in comunità esclusivamente femminili nei boschi e nelle grotte, nei pressi di sorgenti, cascate o corsi d’acqua.
Le Anguane non erano le uniche donne selvatiche: talvolta si sentiva parlare anche di Guandane o di Fade.
Ormai si è persa la differenza e queste creature tendono ad assomigliarsi.
Si raccontava di loro...
Le Anguane mettevano paura e soggezione, ma ci sono anche racconti di pacifica convivenza tra esse e gli umani.
In contra’ Repele, un'anziana afferma che un'Anguana era stata a servizio in questa contrada... ed aveva i piedi rovesciati.
Ad esse, molto spesso associate all’acqua, si attribuiscono molti saperi insegnati agli uomini, ad esempio nell’ambito dell’uso dei prodotti alimentari e delle erbe delle quali sono esperte conoscitrici; grazie alle loro proprietà curative possono vivere rimanendo belle e in forze anche duecento anni. Non si mostrano volentieri, ma talvolta è possibile scorgerle quando la notte sono intente a lavare ampie lenzuola bianchissime nei ruscelli o nelle sorgenti e a stenderle lungo fili invisibili tra gli alberi.
La mitologia
Il legame delle Anguane con l’acqua è forte e ricorrente. Infatti, queste figure mitiche sono l’evoluzione di antiche divinità o ninfe dell’acqua latine, chiamate anticamente Acquane.
Recenti studi hanno tolto da queste splendide leggende l’etichetta di sciocche superstizioni montanare, che la modernità vi aveva appiccicato con arroganza, e donato loro una nuova dignità culturale.
E’ stato scoperto che esse hanno origini antichissime e che sono state tramandate oralmente di generazione in generazione per secoli e millenni. A noi può sembrare impossibile, ma dimentichiamo che in passato la società non aveva media e anche la stampa era scarsa o assente, perciò la dimensione del racconto era centrale per tramandare la cultura.
Neanche una settimana dopo quel colloquio/intervista alla sede del CAI ecco arrivare un'altra mail.
Lunedì 17 ottobre 2011 Ore:16.59
Oggetto: Foto laghetti
Sono a farmi vivo per inviarti altre foto in altre condizioni del laghetto delle Anguane.
Le ultime due non sono un laghetto vero e proprio ma un allagamento da disgelo.
Ciao
Alessandro
Per concludere non poteva mancare un divertente racconto sulle creature leggendarie abitatrici delle acque.
Le Anguane di San Pietro Valdastico
A sentir parlare delle “Anguane”, vien fatto di chiedersi quale sia la versione che meriti il credito di una certa autenticità d’origine. Di interpretazioni ce n’è che basta per offrire il destro a uno studio di favolistica popolare, adatta alle esigenze di tutti.
Belle o brutte, bionde o corvine, filiformi o grassocce, benefiche o malefiche, canore o gracchiose...
Le Anguane erano tutto questo e anche peggio, se l’eccedenza degli aggettivi fosse qui ripetibile.
Custodi delle valli, dei monti, dei torrenti, dei boschi, dei laghi, dei fiumi; su questo nulla da eccepire.
E’ sul loro “temperamento”, semmai, che non riesce sempre facile intendersi. [...]
Se ne incontrano un po’ dovunque: a Lugo, a Calvene, a Chiuppano, a Caltrano, a Rocchette, a Meda, a Scalini, a Pedescala. Ma quelle tipiche, tipiche in senso assoluto, sono indubbiamente le Anguane di San Pietro Valdastico.[...]
Per le Anguane ogni cosa filò liscia fino a quando non arrivarono i preti a piantarvi le loro tende. [...]
Fu allora che, da entrambe le parti, si ingaggiò una lotta senza quartiere: i frati aspergendo acqua lustrale senza riserve e le Anguane piroettando in mille forme tentatrici.
A volte, al colmo dell’esasperazione, le maliarde si tuffavano nel “gorgo santo” (N.d.r. Cascatelle della Toretta, affluente dell’Astico, dove, a primavera, l’acqua zampillante che irrompe dal “Cógolo” modella sagome di danzatrici. Di qui più propriamente: “Gorgo delle Anguane”), per ricomparire di lì a poco con una folta schiera di affascinanti sirenette. Le quali, al suono di flauti e di oboi, cantavano e danzavano senza posa, baluginando sulle onde con movenze incantatrici.
Il canto risuonava nella valle come un irresistibile richiamo. Gli uomini, presi da improvvisa vertigine, venivano attirati come allodole. Non c’era verso di trattenerli. E non pochi, annebbiati dalle audaci proposte, rincorrevano le belle ninfe fin presso il gorgo. Era fatale che qualcuno vi si inabissasse per non più comparire.
I soli a restare immuni dagli influssi malefici erano naturalmente i frati e le donne: i primi in virtù dei salmi e dei digiuni, le seconde a motivo della loro stessa natura, che le escludeva in partenza da quel genere di incantesimi.
Fare una rassegna di ciò che escogitarono i tenaci e astuti frati, è veramente fuori di ogni descrizione.
Erano bensì riusciti a scacciare le Anguane dalla “Scafa” incriminata, ma da anni non era possibile snidarle dall’Astico, sulle cui acque caprioleggiavano con estrema libertà e sicurezza. L’acqua era il loro regno indisturbato. Sembravano tutt’uno con essa.
Il padre guardiano che, all’occorrenza, si ricordava di essere considerato un benemerito delle soluzioni drastiche, riunì il capitolo e prescrisse di porre fine alle dotte disquisizioni: o si trovava immantinente il modo di estirpare le Anguane o avrebbe dato un altro giro di vite al già forzato digiuno.
I giorni trascorrevano affaticati e lenti, senza che una decisione convincente emergesse dall’eletto concilio.
La fame pungolava i visceri e ottenebrava le menti dei poveri frati. Specie, quando a mezzogiorno, dall’attiguo ospizio giungeva sino a loro un impertinente profumo di zuppa, misto ad un allegro acciottolio di stoviglie.
Fu così che i buoni frati rivolsero un pensiero all’umile e trascurato frate converso, addetto alla cucina dei pellegrini. Mai come in quel frangente l’illetterato servo fu cordialmente invidiato. Ma, un giorno, anche lui venne chiamato in capitolo, per esprimere un qualsiasi parere sull’intricata questione.
"Se il loro regno è l’acqua – disse frate Cuoco, che era la più semplice creatura di questo mondo -, la natura delle Anguane è logicamente acquatica. Ora l’acqua è nemica del fuoco, che è violento e vorace, come pure lo è il fuoco con l’acqua, che non sempre è umile e casta. Se prevale l’acqua, il fuoco si estingue. Se prevale il fuoco, l’acqua svapora. Alterna è la loro sorte. Provate il fuoco..."
Fece uno svelto inchino e sgattaiolò fuori con gran sollievo: aveva i suoi pellegrini da rifocillare.
Il padre guardiano e tutto il capitolo trovarono che l’idea di frate Cuoco, per quanto semplice, non era affatto balorda. Anzi, tanto semplice quanto logica. Decisero per il fuoco, e il giorno dopo, che era la festa di Santa Walpurga (N.d.r. Protettrice contro le arti magiche. La notte tra il 30 aprile e il primo maggio – Notte di S. Walpurga – fervevano danze e fiaccolate che si protraevano fino all’alba), ordinarono alle donne di munirsi di torce resinose e di essere puntuali all’ora del vespro.
A certe imprese le donne ci stanno con tutto l’ardore dell’anima e del corpo. Affluirono al monastero con ghirlande di torce resinose e con l’animo deciso a stravincere.
All’ora convenuta lasciarono la chiesa e processionalmente risalirono l’Astico. Come sempre, nel preciso istante in cui il sole era appena sceso dietro il Bècco di Filadonna, le Anguane balzarono improvvise e snelle sull’onda.
Svariavano di sfumature biancorosa, ammaliando gli uomini che accorrevano da ogni dove, attratti dal loro canto e dal fascino delle loro danze.
Quello che avvenne in quella sera è presto detto. Ad un segnale convenuto, centinaia di tizzoni accesi s’incrociarono come in una girandola di fuochi artificiali. E le Anguane, colpite dal fuoco, si dissolvettero in un leggero friggio vaporoso. Frate Cuoco aveva colto nel segno: le incantevoli fate dell’Astico altro non erano che evanescenze di acqua e di spuma.
Scritto tratto da Leggende dell’Altopiano di Asiago di Francesco Zanocco (Centro Editoriale Universitario)
Le magie del laghetto delle Anguane
foto di Alessandro Vitali
testo a cura di Gabriele Villa
Piccole Dolomiti Vicentine estate 2009/febbraio 2012