Nel Parco del Frignano
Diario flash di una camminata per conoscere il bosco appenninico
di Gabriele Villa
Chi ben comincia, a volte lo fa tornando indietro
Dopo avere effettuato due scrupolose ricognizioni, avere riempito il
mega-pullman quasi al completo ed essere partiti alle sei del mattino,
con lo stesso mega-pullman "intraversato" su di un tornante della
stradina che porta a Tagliole e al Lago Santo modenese, una frase
lapidaria di Massimo, l'autista, poneva fine ai sogni di gloria della
truppa del Corso Boschi e Alberi: "Questa curva riesco a farla in
salita, ma non riuscirei a farla in discesa."
Dispiaciuti, ma non sorpresi, gli organizzatori hanno preso atto che la
rassicurazione avuta da più parti "qui i pullman grandi ci passano"
non era stata sufficiente e che il nostro pullman era "ancora più
grande di quelli grandi", nella fattispecie un 62 posti con tre
assi, quattordici metri di lunghezza, due in più dei pullman "grandi".
Mentre Massimo, l'autista, compiva il secondo virtuosismo della
mattinata improvvisando un'inversione sul tornante sfruttando una
provvidenziale stradina che proprio lì si immette sulla carreggiata
principale, gli organizzatori iniziavano a pensare al "Piano B", perchè
un corso che si rispetti ha sempre pronto un "Piano B".
Attivate le conoscenza di Paolo Filetto, l'accompagnatore e guida
dell'escursione, profondo conoscitore dei luoghi, oltre che dei boschi e
del territorio, ecco la truppa sbarcare dopo pochi minuti nei pressi
dell'imbocco del tratto di strada per Tagliole e il Lago Santo, percorsa
poco prima in salita con il pullman.
Il curvone della strada che ha richiesto un virtuosismo all'autista del
pullman, a piedi risulta molto più agevole.
Fatta la verifica scarponi, di cui tutti risultano correttamente dotati,
segue briefing iniziale e poi si inizia la camminata didattica con una
temperatura che consiglia di indossare una felpina a maniche lunghe.
Lei che è esperto... cosa pensa dei miei due abeti?
Divertente siparietto alla prima sosta didattica in prossimità di un
paio di case presso le quali Paolo Filetto ci fa osservare una betulla,
come esempio di albero raro da queste parti, presente per mano
dell'uomo, essendo una pianta che ha bisogno di luce e spazio intorno,
cioè di ambienti aperti governati dall'uomo.
Una signora sull'uscio di casa borbotta qualcosa mentre osserva il
gruppo e non appena il nostro cicerone termina il suo discorso gli si
rivolge con una precisa domanda:
"Lei che è esperto... cosa pensa dei miei due abeti che la Forestale
non me li lascia tagliare?"
"Ma perchè li vuole tagliare, signora? Sono così belli..."
"Perchè sono diventati troppo grandi e mi fanno paura..."
Ridiamo tutti, divertiti da questo inaspettato dialogo e dalla verve
della signora, che continua a spiegare come se parlasse ad un gruppo di
amici arrivati lì apposta per trovarla.
"Allora io li ho assicurati, perchè se dovessero cadere potrebbero
fare dei danni."
Qualcuno stuzzica Daniele Nasci.
"Fatti sentire dalla signora. Ti at ié dla Forestale."
Intanto il gruppo riparte e Daniele si avvicina alla signora, dicendole,
pragmatico: "Gli alberi crescono, signora..."
"Eh, lo so.... - risponde lei prontamente - Ma quando li ho
piantati, cinquant'anni fa, erano alti appena cosi." - dice
allungando una mano davanti a sè ad un'altezza di non più di un metro da
terra.
Così, grazie ai piccoli problemi di paura e ai ricordi della simpatica signora abbiamo
potuto dare un'età precisa ai due magnifici abeti che svettano poco
sopra la casa ed hanno un aspetto davvero maestoso.
Atmosfere da sabato del villaggio, mentre siamo a Case Sparse
Passiamo tra le case della borgata in un'atmosfera da sabato del
villaggio, anche se è domenica mattina.
Non c'è la donzelletta che vien dalla campagna, ma una signora che
stende i panni su di un filo che attraversa la strada proprio sopra di
noi che siamo contenti quando ci accorgiamo che le gocce che abbiamo
sentito non sono dovute alla pioggia. Più avanti anche un numero civico
richiama atmosfere paesane.
Poco fuori dall'abitato Paolo Filetto ci mostra alcuni vecchi castagni, testimonianza di quando la raccolta dei loro frutti era attività agricolo/commerciale, attualmente completamente superata; più in là una siepe di Bosso indica un luogo di confine perchè proprio questo arbusto era utilizzato per delimitare perimetri di proprietà e loro confini.
Io con un orecchio ascolto e con un occhio guardo intorno, attratto da scorci a volte molto suggestivi, come una fontana con lavatoio, altre volte improbabili, altre ancora curiosi nei loro strani abbinamenti e collocazioni.
Il bosco cambia là dove l'uomo ha messo la mano e la sua volontà
La lezione itinerante non è solo mirata alla conoscenza delle piante
e dei loro nomi e/o caratteristiche, ma è una vera e propria guida alla
lettura del territorio, mettendo in risalto come l'uomo lo modifichi per le
sue attività agricole o commerciali, altre volte per bellezza o esigenze
residenziali, altre ancora per lo sfruttamento boschivo.
Così è possibile vedere a distanza di non più di duecento metri tra loro
un angolo dove prevale il prato attorno ai ruderi di un vecchio
insediamento umano, in cui la staccionata più che delimitare il prato
sembra "tenere fuori" il bosco e un altro angolo poco più avanti che
vede confinare gli abeti con i faggi.
Sono situazioni in cui la natura ha poca spontaneità, ma ha dovuto
piegarsi alle esigenze imposte dall'uomo.
Forse anche senza le spiegazioni della nostra guida ci saremmo accorti di come cambia il sottobosco in base alla poca luce che lasciano filtrare gli abeti e la situazione più "luminosa" tra i giovani faggi di un bosco ceduo.
Come si governa un bosco e come lo si abbandona
Certo che "governare" un bosco suona meglio si "sfruttare" un bosco,
ma nella sostanza non cambia granché.
Semplificando si può dire che governare significa piantare gli alberi
per poi tagliarli a scopo di vendita o utilizzo. Siccome gli alberi non
crescono come i funghi, dalla sera alla mattina, ma impiegano anni, ecco
allora che si possono incontrare varie situazioni che la nostra guida ci
ha insegnato a riconoscere.
Come un bosco abbandonato, prima impiantato e poi non governato, con alberi non sfoltiti e quindi cresciuti troppo vicini fino a che, calato il valore commerciale del legno per cui il bosco era stato impiantato, viene lasciato a se stesso, forse anche a seguito di poco lungimiranti regolamenti che vedono passaggi di proprietà dal governo pubblico al governo privato.
Come un bosco ceduo, con le piante di varie dimensioni che testimoniano
come alcune di queste non siano state tagliate per poter fare il seme e
favorire la crescita di altre intorno.
Allora, dalla cadenza dei tagli (circa uno ogni dieci anni) e dal loro numero, cui si può risalire dalle diverse dimensioni delle piante che stanno
intorno, si può arrivare a calcolare approssimativamente gli anni di
età, come quella di un faggio maestoso che abbiamo ammirato e la cui età
abbiamo stimato di ottanta e forse più anni.
L'albero conosce la forza di gravità e si ingegna per vincerla
Nel nostro gruppo di accompagnatori abbiamo anche Giovanni Morelli,
il nostro "alberologo" di fiducia, il quale lascia fare gli onori di
casa a Paolo Filetto, ma non manca mai l'occasione di farci osservare
alcune strane piante che hanno subito dei traumi posturali, ma hanno
saputo reagire e correggere la loro struttura.
Eccolo allora richiamare la nostra attenzione su di un abete che nella sua
vita, per chi sa quale accidente, ha di certo subito un cedimento strutturale, ma ha sviluppato un
ramo che a sua volta è diventato tronco sottraendo linfa al tronco
primario. Nei prossimi anni, quello che era in origine il fusto
principale perderà linfa e rinsecchirà fino a cadere e il ramo che si è
fatto tronco lo sostituirà completamente. Allora probabilmente l'albero
riprenderà la forma da noi meglio conosciuta, solamente con una
curvatura verso la base a ricordare l'antico trauma subito.
Più avanti, sopra il sentiero che stiamo percorrendo avremo modo di
vedere qualcosa di simile, anche se in questo caso i rami che tentano di
sostituirsi al fusto principale sono ben cinque e tutti in concorrenza
tra loro.
Se quello centrale appare perdente, forte invece è la concorrenza tra in
primi due, vicini alla base della pianta, e quelli in fondo che appaiono
più grossi perchè probabilmente si avvantaggiano del fatto che riescono
a prendere più luce. Molto difficile che questa pianta possa riuscire
nel tempo a riprendere una conformazione "univoca" che la faccia di
nuovo assomigliare a pieno titolo a quello che noi chiamiamo albero.
Nel bosco, non solo alberi, ma anche curiosità e simpatici incontri
Durante la camminata, tra una sosta didattica e l'altra, abbiamo anche modo di distrarci con incontri inaspettati con simpatici animaletti, come una rana che si camuffa perfettamente con il terreno coperto di foglie di faggio, con un cartello di lamiera che un giovane faggio sta cannibalizzando, con una meravigliosa ceppaia dalla quale i polloni hanno dato origine a un'intera famiglia di fusti che sfruttando le radici del vecchio tronco vivono in buona armonia.
E venne il momento della sospirata pausa pranzo
Sono trascorse oramai quattro ore quando arriviamo al luogo della
pausa pranzo, accolta con composto entusiasmo dai gitanti che per
qualche minuto possono concentrarsi su panini, dolciumi, leccornie
varie, piuttosto che su foglie, rami, ceppaie e altre curiosità del
regno vegetale che ci sta intorno.
Un ultimo tratto di sentiero, il rientro e un'impressione finale
Un ultimo tratto di sentiero al fianco di un torrente, un'ultima
osservazione di un ramo scortecciato dallo sfregare di un giovane cervo
e infine siamo sulla strada asfaltata e, poco dopo, arriviamo al luogo
dove il pullman ci carica.
Sono quasi le quindici e trenta; abbiamo il tempo per trasferirci a
Pievepelago per una pausa che sfruttiamo disperdendoci in alcuni bar del
paese per ripartire dopo le sedici e trenta verso Ferrara.
Anche la seconda uscita del Corso Boschi e Alberi è riuscita in maniera
soddisfacente, pure per me che da alpinista/dolomitista ho sempre amato
poco l'Appennino, pur apprezzandolo quando mi è capitato di andarci.
Così come, durante gli avvicinamenti alle pareti, ho sempre trovato
antipatico camminare nel bosco che toglieva visibilità verso valle e
anche verso le pareti cui ci si avvicinava per scalare.
Oggi, al contrario, ho camminato con il gruppo dentro ad un bosco per
oltre cinque ore e quel bosco l'ho guardato, me ne hanno spiegato le
forme, le caratteristiche, gli alberi che lo componevano e tante altre
cose che mi hanno arricchito di un sapere che mi era ignoto, devo
ammettere, anche per trascuratezza personale.
Oggi quel bosco non mi ha tolto la visibilità di panorami graditi, ma è
stato lui stesso il mio panorama e, anche con un certo stupore, mi sono
trovato alla fine, piacevolmente sorpreso di non avere provato un solo
momento di noia durante il percorso e nemmeno la fretta di uscire da
tutto quel verde.
Una sensazione inedita e anche gratificante.
Gabriele Villa
Nel Parco del Frignano
Diario flash di una camminata per conoscere il bosco
appenninico
Pievepelago, domenica 17 maggio 2015