In Val Nambino a caccia di draghi
di Roberto Belletti
Spesso, in montagna, nei pressi di località famose vi sono zone molto
frequentate, mentre ve ne sono altre che godono meno dei favori delle
masse. Forse perché meno accessibili, meno antropizzate o semplicemente
meno “di moda”, ma certamente non perché meno belle.
Tuttavia, basta avere voglia di documentarsi, di studiare le cartine e
soprattutto di scarpinare, per scoprire a volte veri e propri gioielli
da godere e ammirare in ristretta compagnia se non in completa
solitudine.
La Val Nambino si trova a ovest di Madonna di Campiglio, proprio di
fronte al Gruppo del Brenta.
Con il suo sistema di laghi di origine glaciale rappresenta una delle
zone più incontaminate del settore, con uno straordinario valore
paesaggistico e naturalistico.
Un’area meno frequentata del più famoso Brenta e oggi purtroppo in
pericolo, minacciata dalla costruzione di nuovi impianti di risalita e
piste per lo sci alpino, nonostante si trovi all’interno di un parco
naturale.
La leggenda del drago di Nambino
Un’antica leggenda narra che, nelle acque del tranquillo lago Nambino,
poco sopra Madonna di Campiglio, da tempo immemorabile dimorasse un
drago.
Il drago, a memoria d’uomo, non aveva mai fatto paura a nessuno e si
limitava a sonnecchiare sul fondo del laghetto nutrendosi di qualche
pesce e delle alghe che riusciva a trovare in profondità.
Ogni tanto metteva il muso fuori dall’acqua e, dopo essersi accertato
che nei paraggi non ci fosse nessuno, usciva a brucare l’erba dei prati
intorno al lago.
Ma un giorno avvenne l'incredibile! Senza alcun preavviso, finirono
nello stomaco del drago un paio di pecore, un vitello e persino il
pastore che, attonito, aveva assistito impotente alla carneficina.
La
notizia si diffuse immediatamente in tutta la Val Rendena e il terrore
si sparse tra le genti della valle.
Cos’era successo? Possibile che un
drago così tranquillo e inoffensivo, col quale avevano convissuto
pacificamente per tanto tempo, si fosse messo improvvisamente a uccidere
e a divorare uomini e animali?
Tuttavia, nessuno ebbe il coraggio di
salire al lago di Nambino per constatare di persona la situazione e
vendicare l’amico morto e le sue bestie.
I valligiani si rivolsero quindi a due famosi cacciatori della Val di
Sole, i quali, dietro la promessa di una grossa ricompensa, accettarono
il compito affrontare il drago.
Una domenica mattina, i due, armati dei loro fucili e accompagnati da
tutta la gente di Madonna di Campiglio, si avviarono verso il lago di
Nambino.
Poco prima di affrontare l’ultima salita, il cacciatore più anziano
disse: “Meglio essere prudenti. Voi aspettatemi qui, e tu - continuò
rivolto al compagno- seguimi a distanza”.
“Se, dopo aver udito uno sparo, non mi sentirai gridare, vieni di corsa
a vedere cos'è successo e toccherà a te vendicarmi!” - concluse il
cacciatore avviandosi su per il sentiero.
L'uomo s'inerpicò con prudenza e in pochi minuti arrivò sulle rive del
laghetto.
Tutto era tranquillo e ovunque incombeva un grande silenzio.
Il sole
caldo e le nuvole si specchiavano sull'acqua, mentre nei prati
circostanti le marmotte montavano la guardia.
Il cacciatore si mise a cercare i segni della presenza del drago e
finalmente lo vide disteso a crogiolarsi al sole sopra un lastrone di
pietra, profondamente addormentato: un enorme biscione verde e squamoso,
grande come un toro, con il muso nascosto fra le potenti zampe
anteriori.
Senza pensarci troppo e prima di cedere al panico, il cacciatore prese
la mira e sparò.
Il drago non si mosse nemmeno, ma dalla sua gola iniziò a zampillare un
rivolo di sangue.
Sicuro che il suo fosse stato un colpo mortale, il cacciatore si
avvicinò alla carcassa dell’animale, ma nel fare questo cadde svenuto a
terra. Il cacciatore non lo sapeva, ma il sangue del drago era
impregnato di veleno che, uscendo, aveva reso irrespirabile tutta l’aria
circostante.
Il compagno, avendo sentito lo sparo ma non il grido, come d’accordo
corse subito sul luogo, dove trovò l’amico ancora esanime a terra.
Per fortuna il veleno si era ormai disperso e così, con l’aiuto di
alcuni montanari, il cacciatore poté essere soccorso e trasportato
all’ospizio di Campiglio. Ma le sorprese non erano finite!
Accanto al corpo del drago c’era un uovo, dunque il drago era una … draghessa!
Ecco così spiegato il comportamento dell’animale: sentendosi minacciato
aveva solo cercato di difendere il suo piccolo e a farne le spese erano
stati quel povero pastore e le sue bestie.
Dopo qualche settimana ci fu una gran festa a Madonna di Campiglio e il
cacciatore, ormai ripresosi, poté ritirare il premio promesso e
dividerlo con il compagno.
L’uovo e la pelle del drago furono appesi alla parete della chiesa
diventando oggetti di ammirazione per tutti gli abitanti della valle e
anche di quelle circostanti. E lì rimasero fino ai primi dell’800.
In Val Nambino a caccia di draghi
E se la leggenda del drago di Nambino fosse ispirata a un fatto accaduto
veramente?
Chissà, forse qualche strano animale abitava davvero questi luoghi, in
un lontano passato, e magari qualche suo discendente ancora si aggira
nei recessi più remoti di questa valle.
Vale davvero la pena di esplorarla, e che cosa c’è di meglio per cercare
le tracce di un drago, di un percorso in quota che tocca ben cinque
laghi alpini?
Questo itinerario si svolge all’interno del parco naturale
Adamello-Brenta e, se percorso nella sua interezza, consente di ammirare
tutta la Val Nambino compiendo una bella traversata in quota.
L’escursione è prevalentemente di difficoltà E, con qualche tratto EE, ma
comprende, volendo, anche un sentiero alpinistico attrezzato con
difficoltà EEA e una solitaria via normale con semplici tratti di
arrampicata di I grado ma con difficoltà di orientamento da non
trascurare.
Sfruttando la ricca rete di sentieri che attraversa la Val Nambino, è
possibile adattare l’itinerario al proprio livello di allenamento, ai
propri gusti e capacità. Il tratto attrezzato può essere evitato
percorrendo un sentiero alternativo e la salita al monte Seròdoli è
facoltativa.
Verso i laghi Seròdoli e Gelato: il Monte Zeledria e il sentiero Umberto
Bozzetto
L’escursione parte da Malga Zeledria, raggiungibile in auto da Passo
Campo Carlo Magno, a quota 1780 metri.
Dalla malga si sale per strada
forestale o sentiero (numero 265) al Rifugio Viviani e da qui in breve
al rifugio Pradalago a quota 2088 metri, che può essere anche raggiunto
direttamente da Madonna di Campiglio tramite cabinovia. Dal rifugio si
stacca il sentiero alpinistico (numero 267) dedicato a Umberto Bozzetto,
già presidente onorario delle guide alpine di Madonna di Campiglio e
padre del famoso fumettista Bruno.
Il sentiero, parzialmente attrezzato,
percorre tutta la stretta cresta che parte dal rifugio Pradalago e
termina al Passo dei Tre Laghi, passando per la vetta del Monte Zeledria, punto più elevato (quota 2427 metri).
La salita si presenta inizialmente ripida, ma non difficile né
eccessivamente esposta.
Successivamente si guadagna il filo di cresta, dove il sentiero diventa
più roccioso ed esposto e si incontrano i primi tratti attrezzati con
cavo metallico e qualche scaletta.
Guardando verso l’alto si inizia a intravedere la vetta con la sua
bandiera, mentre verso il basso il lago Nambino e il lago Scuro si
alternano alla vista ad ogni cambio di versante.
L’attrezzatura è presente solo nei punti più impegnativi ed esposti,
mentre la maggior parte della salita si svolge su stretto sentiero o su
brevi salti di roccia, che possono diventare particolarmente insidiosi
in presenza di bagnato. Non c’è molto spazio sulla vetta del monte
Zeledria, ma nemmeno molta gente con la quale dividerselo.
La cima è
formata da blocchi di granito ed è contraddistinta da una bandiera
tricolore in metallo, sotto alla quale si trova il libro di vetta.
Notevole la vista sui gruppi circostanti, il Brenta, l’Adamello e in
particolare sulla Presanella.
Dalla vetta si continua sempre sul sentiero Bozzetto. Si scende,
superando un breve tratto attrezzato e una scaletta fino a raggiungere
la Bocchetta del Lago Scuro, a quota 2380 metri.
Si prosegue in direzione Bocchetta dei Tre Laghi, sempre sul sentiero
267, seguendo il filo di cresta fra esposti saliscendi e caotici cumuli
di granito.
Giunti alla Bocchetta dei Tre Laghi, a quota 2378 metri, occorre
risalire verso il Passo dei Tre Laghi seguendo il sentiero 226B.
Salendo verso il passo si attraversa una scomoda pietraia, superando i
blocchi più grossi con qualche breve passo di arrampicata. Guardando
indietro si può ammirare dall’alto tutta la cresta appena percorsa, con
la punta del monte Zeledria e il passo del Grostè sullo sfondo.
Superato il passo, a quota circa 2500 metri, compare finalmente la conca
glaciale che ospita i laghi Seròdoli e Gelato, e sulla sinistra la
cuspide del monte Seròdoli a fare da sentinella.
Si scende dal passo sul versante opposto, ora su sentiero non difficile,
fino a incontrare il bivio con il sentiero 226, che arriva direttamente
dal rifugio Pradalago e che può essere percorso per giungere al lago
come alternativa più semplice e con minor dislivello rispetto al
sentiero attrezzato.
La conca glaciale e i laghi Seròdoli e Gelato
Al bivio si imbocca il sentiero 226, decisamente più frequentato del
sentiero Bozzetto, e dopo una breve discesa si entra finalmente nella
conca glaciale, raggiungendo così il lago Seròdoli a quota 2370 metri.
Il lago è decisamente esteso, circondato da una corona di montagne e da
numerosi altri specchi d’acqua più piccoli ma davvero suggestivi. Fra
questi il lago Nero, situato un centinaio di metri più in basso, dalla
forma curiosa e dalle acque particolarmente cristalline nonostante il
nome che porta.
Prima di proseguire nella traversata, vale la pena di eseguire una breve digressione nella direzione del passo di Nambrone per ammirare anche le trasparenze e i riflessi del lago Gelato, situato in una splendida conca di origine glaciale e separato dal Seròdoli da una stretta lingua rocciosa.
Terminata la digressione, si ritorna al lago Seròdoli per riprendere la
traversata verso il prossimo lago alpino.
Verso il lago Lambin: la solitaria via normale al Monte Seròdoli
Dal lago Seròdoli, la traversata continua sul sentiero 232 in direzione
del lago Lambin. Il tratto iniziale attraversa una pietraia formata da
grossi blocchi di granito, dove occorre fare attenzione a non scivolare.
Successivamente il sentiero inizia a salire diventando nel contempo meno
difficoltoso. A una quota di circa 2380 metri, poco prima di raggiungere
il lago Lambin, si stacca la via normale per il monte Seròdoli (detto
anche Corno Alto) che, con i suoi 2708 metri, è la cima più alta fra
tutte quelle che costituiscono la corona superiore della Val Nambino.
Si tratta di un itinerario escursionistico, con difficoltà EE, poco
frequentato e scarsamente segnato.
La stessa indicazione a vernice, se si proviene dal lago Seròdoli non è
facilmente visibile quindi occorre prestare attenzione per non
superarla.
La salita avviene attraverso la dorsale est del monte, costituita da
vallette prative e pietraie, seguendo una labile traccia di sentiero,
sbiaditi bolli rossi e qualche ometto.
Il lago Lambin rimane ben visibile in basso sulla sinistra per tutta la
parte iniziale della salita e costituisce un buon punto di riferimento
sia all’andata che al ritorno.
Inizialmente la traccia di sentiero è stretta ma abbastanza evidente, pur dando l’impressione di non venire percorsa molto spesso. Infatti, poco dopo aver lasciato il sentiero 232, già di per sé non frequentatissimo, si ha l’idea di essere in completa solitudine, fuori dal normale “traffico” escursionistico. Mano a mano che si sale, il percorso piega verso destra allontanandosi dal lago Lambin e la traccia diventa sempre più indistinta fino a sparire del tutto.
Qua bisogna arrangiarsi, interpretando la montagna per cercare il
percorso più comodo fra un ometto o un raro bollo rosso e il successivo
punto di riferimento. Dopo aver attraversato qualche facile pietraia,
finalmente compare la vetta, separata dalla dorsale da una piccola
sella.
Siamo alla parte finale della salita, appena sotto alla cuspide
sommitale del monte, dove l’erba lascia infine il posto a una pietraia
che è un vero e proprio guazzabuglio di blocchi di granito accatastati
in modo casuale.
Per quest’ultimo tratto di salita si percorre inizialmente il filo di cresta per poi deviare verso destra, cercando i punti più semplici. La difficoltà è contenuta (massimo I grado) anche se bisogna prestare attenzione ed evitare i blocchi instabili. Dalla esile vetta, si gode di uno splendido panorama sui laghi di Lambin, Gelato, Seròdoli e Nambrone, nonché sulla Presanella e sull’Adamello.
Ora purtroppo c’è nebbia, quindi niente vista delle vette innevate, ma
anche solo quella dei laghi, con il lago Nambrone che appare e scompare
a tratti avvolto dalle nuvole mi ripaga abbondantemente dalla fatica
fatta per guadagnarmela. E’ stata una bella salita, solitaria e di
soddisfazione, sia nella parte iniziale dove ho dovuto “cercare” il
percorso, che in quella finale, dove ho dovuto mettere le mani sulla
roccia e trovare la strada migliore per risalire la cresta.
Il ritorno è per la stessa via dell’andata, quindi è opportuno, mentre
si sale, prendersi qualche punto di riferimento in modo da agevolare
l’individuazione del percorso durante il rientro.
La salita è sconsigliata in caso di nebbia per problemi di orientamento:
la traccia non è sempre presente e la cima è visibile solo nella parte
finale del percorso.
I laghi Lambin e Ritorto
Rientrati sul sentiero 232, si procede quindi verso il lago Lambin
(quota 2324 metri), che si raggiunge dopo una breve discesa. E’ il più
piccolo di tutti, ma non per questo il meno suggestivo, con la sua forma
allungata e il colore blu cobalto della sua acqua. Sembra un fiordo
norvegese, anzi, tutta la zona, così ricca d’acqua dà l’impressione di
trovarsi in un paese nordico.
Anche nei pressi del lago Lambin non mancano infatti gli specchi d’acqua
minori e ne fotografo uno dalla forma particolarmente curiosa che mi
ricorda un pinguino.
Dal lago Lambin si prosegue sul sentiero 232 fino a raggiungere, dopo
qualche saliscendi, il bivio con il sentiero 269, che verrà percorso per
la discesa. Volendo ammirare un altro lago, è possibile continuare
ancora sul sentiero 232 e
raggiungere, dopo una breve salita, il passo Ritort, a quota 2275 metri.
Il lago Ritorto, uno dei più estesi della
zona, è visibile appena superato il passo.
La discesa e il drago del lago Nambino
La traversata è finita ed è ora di scendere.
Nei pressi del lago Lambin si imbocca quindi il sentiero 269 che in
lunga e solitaria discesa su umidi prati porta al lago Nambino e
all’omonimo rifugio. Se la solitudine ha caratterizzato gran parte di
questo percorso, ora al lago Nambino c’è fin troppa gente.
In effetti il luogo è molto bello e facilmente raggiungibile. A soli
trenta
minuti dal parcheggio più vicino, con il lago e un rifugio per
ristorarsi è una meta ovvia e molto frequentata.
E, infatti, il rifugio e le rive del lago brulicano di gente come una
spiaggia della riviera a ferragosto.
Con tutto questo viavai è difficile che il drago abiti ancora da queste
parti.
Ma, un momento… da dove viene tutto quel fumo?
Sarà mica il drago… il drago del lago Nambino!
Purtroppo no, è solo il camino del rifugio.
E’ ora di merenda, la cucina sta funzionando a pieno regime e il
fumaiolo sbuffa alla grande.
Un’ultima occhiata al lago ed è il momento di rientrare. Tramite il
sentiero B07, oppure, in alternativa, il sentiero 217, è possibile
raggiungere la strada forestale che collega la Baita degli Alpini alla
Malga Zeledria e quindi raggiungere quest’ultima e chiudere l’anello.
Alla fine della mia esplorazione, nonostante non ne abbia trovato
tracce, voglio lo stesso pensare che non tutte le uova siano state
scoperte dai cacciatori e che i discendenti della draghessa popolino
ancora la val Nambino.
Magari non proprio il lago di Nambino, diventato
oramai un po’ troppo frequentato dall’uomo, ma uno di quelli superiori,
i meno accessibili.
Il lago Gelato, forse, oppure, meglio ancora, quello di Nambrone, che ho
intravisto fra la nebbia nella solitudine della vetta del monte Seròdoli.
E che nelle notti illuminate dalla luna, questi si arrampichino lungo la
cresta del monte Seròdoli per controllare il loro territorio, guardando
con curiosità giù, in lontananza, le luci di Campiglio.
Roberto Belletti
In Val Nambino a caccia di draghi
Madonna di Campiglio, settembre 2014
Nota della redazione.
La leggenda e il disegno del drago di Nambino sono tratti dalla rete.