Sono nato nel 1880
di Alessandra Panvini Rosati
Sono nato nel 1880, quando Johann Santner salì per primo lo Sciliar,
attribuendo il nome alla Punta Santner e segnando così la nascita
dell’alpinismo sulle vette più ardue del Sud Tirolo.
Edmondo de Amicis pubblicò “Cuore” e, anni dopo, il Diavolo delle
Dolomiti, Tita Piaz, dedicò proprio a lui una famosa Guglia che si erge
di fronte al lago di Misurina.
Anche i Fratelli Karamazoff, di Dostoevskij, uscirono in quell’anno.
Ero un bell’uomo distinto e alto, tanto da svolgere il servizio militare
per S. M. Vittorio Emanuele III, come Corazziere. Di me c’è solo una
foto, oltre a quella sulla lapide.
Mi si vede in divisa con l'elmo in alpacca, rifinito in similoro, ma
credetemi sulla parola perché la foto è molto sbiadita.
Famiglia
perbene, rubricata dalla stazione dei Carabinieri “dall’eccellente
moralità”, necessaria per prestare servizio indossando quell’importante
divisa.
Nato e vissuto a Milano.
Mi sono sposato con una bella ragazza di nove anni più giovane di me.
Lei è nata nel 1889, quando Hans Meyer e Ludwig Purtscheller posero per
primi i piedi in vetta al Kilimanjaro, in Tanzania, un luogo lontano che
non ho mai visto.
Io e lei abbiamo vissuto la Grande Guerra, ma solo da spettatori. Non mi
hanno spedito al fronte perché avevo trentacinque anni; ero già vecchio
per fare il riservista e da circa due anni prestavo servizio come Vigile
Urbano.
Milano aveva un ruolo solo di retrovia durante il conflitto mondiale.
Ricoverava i feriti e persino Hernest Hemingway fu ospite del nostro
ospedale militare, in quel di Baggio.
La città era un importante centro di produzione di materiale bellico ma
non venne mai davvero messa in pericolo se non per una sola volta, il
giorno di San Valentino del 1918, quando un bombardamento aereo
austriaco causò diciotto morti e molti feriti.
A quel tempo la mia unica figlia aveva circa sei mesi di vita.
L’epidemia di Spagnola imperversava in ogni continente creando un
terribile vuoto generazionale tra i giovani, già ridotti numericamente
grazie alle carneficine della guerra.
Anche Sua Altezza Umberto di Savoia-Aosta, Conte di Salemi, morì di
Spagnola, la quale non faceva distinzione tra classi sociali. Si ammalò
sul Monte Grappa e morì così … dopo essersi arruolato volontario nel
1915, avere scelto la prima linea ed essersi guadagnato per meriti di
guerra due medaglie d'argento.
La mia famiglia poteva ritenersi fortunata: nessuno andato in guerra o
morto per influenza!
Lavoravo come Vigile nella Milano che vedeva nascere il Movimento
Fascista, proprio in Piazza San Sepolcro nel ’19. La città si allargava
e si poteva già capire che sarebbe diventata grande.
Nel 1923 venivano, infatti, inglobati nel Comune di Milano tanti piccoli
paesi tra cui: Lambrate, Baggio, Affori, Greco, Precotto, Musocco,
Trenno, Vigentino … non li ricordo tutti.
Se potessi tornare, ormai non la riconoscerei più.
Ci vivono ancora la mia unica nipote, che non ho mai conosciuto, e i
miei due bisnipoti (mai visti, nemmeno loro).
Il lavoro di noi “ghisa” aumentava di pari passo con quello dei
malviventi.
Nel 1922 Mussolini prese il potere definitivamente marciando sulla
Capitale. Le cose cambiarono, un po’per tutti.
Nel ’24 uscì il primo numero de L’Unità.
Che io sappia, l’unico giornale che scrisse due righe su quello che mi
accadde.
La mia era una famigliola normale, gente semplice che non inseguiva
chimere politiche.
“Se potessi avere mille lire al mese” sarebbe stata scritta dodici anni
dopo, ma rispecchiava il mio sentire.
Tranquillità, serenità.
Fino a quella notte.
Mi assegnarono il turno in Piazza del Duomo.
Era la notte di giovedì tra il 13 e il 14 maggio 1926.
Non c’erano stati particolari problemi.
Avevo solo voglia di tornare a casa da mia moglie e la mia bambina.
Non ci tornai più.
Avevo notato una vettura ferma sul lato nord del Duomo, con il motore
acceso.
La cosa mi sembrava sospetta e chiesi al guidatore di mostrarmi i
documenti.
Quello mi aggredì con violenza e nessuno venne in mio soccorso, anzi,
pare che altri tre o quattro giovani armati di bastone intervenissero in
suo aiuto per finirmi.
Mi lasciarono lì, sotto le guglie.
Qualcuno mi aiutò, dopo, troppo dopo, troppo tardi.
Mi portarono all’Ospedale Maggiore.
Si sapeva che non avevo grandi speranze.
Il 27 maggio, giovedì, dopo una lunga agonia (si dice sempre così),
lasciai mia moglie, mia figlia, Milano e il Corpo dei Vigili Urbani.
Lasciai anche la possibilità di costruire dei ricordi in chi mi avrebbe
potuto voler bene.
Lasciai le carezze che non avrei dato e il supporto di padre e di nonno
che non sarei più stato.
Curiosità: in quell’anno Emilio Comici ottenne il record mondiale di
profondità in speleologia arrivando a – 500 metri.
Lui, infatti, nacque speleologo prima di diventare il Re
dell’arrampicata.
Curiosità ben più triste: in quel mese di Maggio, il nostro Presidente
del Consiglio e Duce degli Italiani comunicò, in un discorso al Senato,
che non si sarebbe più potuto emigrare liberamente.
Io invece emigravo lontanissimo e la scelta non era stata libera nemmeno
per me.
Avevo quarantasei anni.
Funerali imponenti, scrissero.
Vi assistetti da dentro il cappotto di legno.
Mia moglie non si riprese più.
Morì, due anni più tardi, a trentanove anni.
Di lei, non resta altro che una fotografia annerita che la ritrae
intenta nella lettura.
Nostra figlia restò sola e non aveva compiuto i dieci anni.
Il tempo passa, se si ha la fortuna di non essere bastonati.
Anni di solitudine e di ricordi che si fecero via via più sbiaditi e
confusi nella sua mente, com’è nella logica delle cose. Lei, almeno lei,
ebbe una vita lunga, seppur non facile.
Non potei sostenerla durante la Seconda Guerra Mondiale.
Altra guerra devastante che, al contrario della Prima, ridusse anche
Milano in cumuli di macerie.
Chissà se i corridori e gli sportivi che sgambettano al Monte Stella si
soffermano un minuto a pensare che stanno appoggiando i piedi su quelle
che furono le case dei milanesi, distrutte dai bombardamenti?
Anche senza di noi, nostra figlia trovò il suo sentiero, con tante
salite ripide ma con qualche falsopiano, qualche fonte di acqua fresca e
qualche discesa riposante.
Ebbe modo di innamorarsi, sposarsi e crescere la nostra nipotina.
Era il 1943: ci sarebbe stato un armistizio con l’illusione di una pace
imminente, che invece regalò altri due anni di devastazioni e terrore.
Diciannove anni dopo la mia morte, la guerra comunque finì.
Mia figlia ricominciò la sua vita normale, con la sua famiglia … e con
le “mille lire al mese”, che risuonavano alla radio dal 1938.
Il dolore più crudele è quello che non si dimentica mai.
Mia figlia trascorse tutta la sua vita nel ricordo di quella notte in
cui, nella Piazza più bella della nostra città, tutto cambiò per noi e
per chi sarebbe venuto dopo di noi.
La mia unica nipote, a sua volta, crebbe con l’immagine del nonno
sbiadita su di una credenza.
Lo stesso fecero i suoi figli, i miei bisnipoti.
La bisnipote si mostrava curiosa e attenta nell’ascoltare dalla voce di
sua nonna (mia figlia).
Sempre la solita storia, triste e povera di dettagli che non esistevano,
non potevano esistere.
Era sicuramente la più sensibile all’idea del ricordo storico, privato e
pubblico, che permeava la mia figura.
Portava un fiore alla mia celletta, nell’ex paese di Musocco e sede del
più grande cimitero municipale, comunicandomi una vicinanza
inspiegabile.
Infatti, non cerco di spiegare né, sono certo, vorrà farlo lei.
Un qualcosa ci unisce, così lei crede, con fervido uso della fantasia.
Da sempre interessata e intestardita a scoprire la mia storia, per
riempire un vuoto della nostra famiglia.
Siccome il momento giusto per fare le cose arriva solo quando è il
momento giusto, mai un secondo prima, ha deciso di farmi un regalo
postumo … decisamente postumo.
Riunire nella morte quello che un destino tragico aveva separato in
vita.
Ha riportato la bisnonna, mia moglie, vicino a me … nella mia celletta.
Il mattino del 24 giugno 2015, ottantanove anni dopo la mia morte e
ottantasette dopo quella di mia moglie, la nostra bisnipote ha avuto in
mano le nostre ceneri e ci ha riunito così, simbolicamente.
Ne siamo contenti, molto!
Lei ha il mio temperamento, così sentiva dire da sua nonna (di certo più
un desiderio che una realtà giacché sono morto troppo presto). Ama la
natura proprio come me che dovevo laurearmi in veterinaria ma, grazie
alle “mille lire al mese” che non c’erano, non ci riuscii.
Sopra alle nostre due urne, ora si trova un sasso di colore beige –
rosato … proprio un bel sasso!
Lo ha raccolto in vetta alla Cima Piccola di Lavaredo, dopo una scalata
importante per lei.
Una delle montagne che più ama e alle quali torna appena può.
Lei è nata a Milano, come tutti noi, ma dalla città non ha acquisito poi
così tanto.
E’ più un folletto dei boschi, uno spirito felice solo con un sasso tra
le mani.
Mia moglie ed io apprezziamo quel sasso più di un mazzo di fiori.
Nella tradizione ebraica, si mette un sasso sulla tomba. Al contrario
dei fiori, non appassisce, ma resta in eterno, come simbolo del
passaggio e del ricordo di qualcuno.
Lei ha unito il suo amore per la montagna all’eternità del suo ricordo.
Quel sasso è con noi, adesso e per sempre.
Siccome ogni azione porta ad una reazione, sia io che lei vogliamo
credere che la riunificazione postuma di qualcosa separato dalla
cattiveria umana, abbia portato un aiuto dal destino.
E’ riuscita, oserei dire siamo riusciti, a scoprire qualcosa di me!
Per lo meno su come abbia smesso di vivere.
Lo so, fa tristezza.
Dopo anni di ricerche, forse sbagliate o poco convinte o male
indirizzate, il 25 giugno 2015 sono venuti alla luce, negli archivi
storici de L’Unità, i trafiletti scritti a seguito della mia
aggressione, del mio decesso e dei funerali.
Scrissero:
Vigile Urbano gravemente ferito da alcuni sconosciuti in Piazza del
Duomo - 15 maggio 1926
La morte del Vigile Rossi bastonato in Piazza del Duomo - 28 maggio 1926
Gli imponenti funerali del Vigile vittima dei bastonatori di Piazza del
Duomo - 29 maggio 1926
Adesso non sono solo una foto sbiadita e un ricordo tramandato a stento.
Adesso sento davvero di essere esistito.
"Vivi tutta la vita che puoi, è un errore non farlo." (H. James) .
Vigile Urbano
Dante Aristide Rossi 1926 Massimina Zocchi 1928
Alessandra Panvini Rosati
Sono nato nel 1880
Milano, novembre 2015