Trovando l'Alchimia in Civetta
di Emanuele Andreozzi
Nel pomeriggio di giovedì 27 maggio ricevo un messaggio da Santi con la
foto di questa bellissima linea, nel quale mi chiede se sabato e
domenica sono libero per andare a tentarla. Penso che non abbia neanche
finito di scrivere il messaggio che io avevo già risposto di sì e
contemporaneamente annullato ogni altro impegno.
Troppo bella la linea e troppo grande la voglia di un’altra avventura in
parete.
Questa volta era toccato a lui andare sotto parete a controllare le
condizioni e quello di organizzare la logistica di salita e rientro.
Mentre per la via sulla Cima Tosa il compito era toccato a me, questa
volta dovevo "solo" andare li e scalare, a tutto il resto aveva pensato
Santi.
Così sabato nel tardo pomeriggio stavamo risalendo il sentiero che da
Capanna Trieste si dirige al Rifugio Vazzoler. L’aria era quella tipica
che si respira in estate quando si va a scalare una via in Dolomiti. La
vegetazione era di un verde brillante, la Torre Trieste e le altre cime
apparivano asciutte e libere dalla neve ed il sudore colava immancabile
sulla fronte per via di caldo e umidità. Solo le piccozze attaccate agli
zaini tradivano le nostre reali intenzioni, ma in quel contesto
stonavano decisamente.
Al locale invernale del Rifugio Vazzoler le ore di sonno erano state
poche, alle due e un quarto di notte stavamo già varcando la porta per
metterci in cammino. La dura neve, morsa dai ramponi, faceva quel
piacevole rumore croccante, segno inconfondibile del buon rigelo
notturno. Eravamo felici nel constatarlo, perché visto il caldo del
giorno precedente, temevamo non facesse abbastanza freddo da rigelare.
Giunti sotto la direttiva dell’attacco, sopra di noi si stagliavano ottocento metri di parete, esattamente come per la Cima Tosa. Dunque c’erano abbastanza metri per vivere un’avventura altrettanto totale, intensa ed impegnativa. Invece con nostra grande sorpresa, un canale incassato ci permise di alzarci facilmente per ben trecento metri di dislivello in parete. Ed ecco che in un baleno avevamo già il primo terzo di parete sotto di noi, senza aver ancora neppure tirato fuori la corda. Era un bel regalo di inizio giornata, ma eravamo comunque di fronte ad un terreno difficile e problematico che ci avrebbe richiesto il massimo nelle ore successive.
Lo spettacolo che il ghiaccio aveva creato in quel posto smaltando la
parete era incredibile, ma anche severo. Toccava a Santi aprire le danze
e salire da primo, ma non era per niente facile capire dove - e se –
passare; alla fine scelse di provare lungo una ripida goulotte.
Arrampicava in silenzio e dalla sosta non potevo vederlo, così solo
quando fu il mio turno mi resi conto di quanto era stata difficile la
sua scalata. Aveva salito un diedro strapiombante su ghiaccio dalla
consistenza pessima, con protezioni su roccia buone ma distanti.
Quel tiro era seriamente problematico. Dieci metri prima di arrivare in
sosta, Santi a sorpresa mi bloccò, mi disse che da quel punto sarebbe
stato meglio se avessi traversato verso destra, perché proseguire dritti
sopra la sosta era difficile ed illogico. Ancora ansimante e con un gran
freddo alle mani, mi guardai attorno e concordai con lui senza il minimo
dubbio. Una volta ricevuto il materiale dall’alto, iniziai a traversare.
Il terreno migliorava, meno verticalità ed arrampicata più facile.
Peccato che era maledettamente improteggibile, mentre mi spostavo in
traverso, calcolavo ogni passo e ogni movimento, la progressione era
lenta e snervante. Dopo un’eternità finalmente trovai un buon punto per
far sosta. Santi dovette calarsi per dieci metri in doppia prima di
iniziare a scalare per raggiungermi in sosta.
Ero un po’ preoccupato, perché stavamo progredendo molto lentamente ed
il mio tiro in traverso non ci aveva fatto guadagnare neanche un metro
di dislivello. "Se andiamo avanti così sarà veramente un bel casino"
pensai. Fortunatamente, sembrava che sopra di noi le cose sarebbero
presto migliorate.
Prima però Santi dovette salire un altro tiro discretamente impegnativo,
ma quantomeno ben proteggibile.
Era un mix di difficoltà su ghiaccio per nulla solido e divertenti
agganci per le piccozze su roccia.
In sosta mentre lo assicuravo, avevo un freddo becco, così oltre al mio
piumino, indossai anche quello di Santi e li tenni entrambi anche per
arrampicare da secondo. Raggiunta la sosta, avevo davanti un tiro che si
prospettava pura goduria: una perfetta goulotte che terminava in alto in
un caminetto, anche esso completamente smaltato dal ghiaccio. Nel
scalarlo ho goduto di ogni singolo passo su quel ghiaccio da favola,
avrei voluto che non finisse mai.
Un tiro così, nell’incredibile ambiente della nord ovest del Civetta è
il motivo per cui ci ficchiamo in questi posti tetri e freddi. Amiamo
l’alpinismo, il ghiaccio, il freddo e questi incredibili regali della
natura ricompensano ogni sofferenza. Altro che scalare ad Arco in
magliettina! Però era il 30 maggio e dunque il panorama mostrava tutti i
segni dell’imminente arrivo dell’estate, le verdeggianti valli sotto di
noi contrastavano decisamente con il mondo ghiacciato in cui ci
trovavamo.
Proseguimmo alternandoci al comando della cordata e l’arrampicata si
manteneva sempre piacevole.
Salimmo anche un’ulteriore tiro di Alpin Ice da cinque stelle, bello
come il precedente, altri sessanta metri che avremo voluto non fossero
mai finiti. L’entusiasmo era alle stelle, ma la stanchezza si faceva
sentire per entrambi, così mentre Santi scalava il primo tiro dentro il
grande camino, io nel frattempo in sosta accesi il fornelletto e sciolsi
due litri di acqua. Era passata poco più di una settimana dall’apertura
di Pazzione Primavernale alla Cima Tosa, dove insieme a Matteo, avevamo
dato tutti noi stessi, dunque era logico che in quel momento stavamo
pagando non solo la fatica della via sulla quale eravamo impegnati, ma
anche e soprattutto l’accumulo totale del nostro alpinismo fatto negli
ultimi dieci giorni.
Fummo proprio felici quando constatammo che la scalata dentro il grande camino non sarebbe stata troppo difficile, Santi quando era andato in esplorazione, neanche col binocolo era riuscito a capire cosa avremmo trovato in quella sezione, potenzialmente potevano esserci difficoltà molto alte ed invece, si era rivelata la nostra giornata fortunata! Al termine del camino fu necessario bucare un'impegnativa cornice di neve inconsistente, a quel punto per uscire dalla parete non restava altro che traversare per un paio di tiri su neve, fino a raggiungere una forcella.
Durante questo traverso, sotto i nostri piedi si aprivano ottocento metri di vuoto, il che la rendeva davvero una traversata spettacolare. La neve però era una delle peggiori mai viste, dunque dovevamo mantenere la massima attenzione nel progredire e proteggerci sulla roccia.
Mentre assicuravo Santi sull’ultimo tiro, sentivo che stavo per
addormentarmi in sosta, ma il freddo pungente mi teneva sveglio. Mi
svegliai del tutto quando vidi Santi arrampicare gli ultimi metri
agganciando con le piccozze la roccia instabile appena prima della
forcella. Poi ad un tratto venne investito in pieno dal sole del
versante opposto. Fantastico, eravamo fuori! Quando lo raggiunsi alla
forcella, erano solo le due e un quarto del pomeriggio, non avrei
scommesso un centesimo che saremo usciti così presto. Wow! Avevamo
scalato comunque per nove ore e mezza all’ombra della Nord-Ovest,
eravamo entrambi provati ma con il cuore davvero pieno di felicità.
Una calata in doppia ci depositò sulla neve e a quel punto non ci
restava altro che ridiscendere a piedi prima verso il Rifugio Vazzoler e
poi alle nostre macchine.
Nel pomeriggio, seduti ad un bar nel centro di Agordo, chiesi a Santi se
per caso avesse guardato sul Buscaini se dove avevamo scalato, passa una
qualche via estiva. "Non ho guardato" fu la sua risposta.
Dunque a nessuno di noi due importava a priori se la nostra fosse una
prima assoluta o meno, volevamo solo salire quella poesia di ghiaccio e
vivere l’avventura in parete. L’esperienza di vivere un alpinismo così è
tutto ciò che cerchiamo e che ci rende felici, non c’è altro che conti
per noi.
Tra Alchimia e Pazzione Primavernale abbiamo arrampicato per quasi 1.700
metri in parete senza quasi lasciare traccia del nostro passaggio, solo
due chiodi e due nuts sono rimasti su questa via alla Cima De Gasperi.
In compenso la traccia che queste due avventure hanno lasciato dentro di
me rimarrà scolpita per sempre.
Emanuele Andreozzi
Trovando l'Alchimia in Civetta
Cima De Gasperi in Civetta, 30 maggio 2021
Cima De Gasperi (2.994 metri)
Via Alchimia
Emanuele Andreozzi domenica 30 maggio 2021 insieme a
Santiago Padrós ha aperto Alchimia, una nuova via di misto alla Cima De
Gasperi in Civetta, Dolomiti.
A nemmeno una settimana dell'apertura della loro prima via insieme,
Pazzione Primavernale alla Cima Tosa nelle Dolomiti di Brenta salita con
Matteo Faletti, Emanuele Andreozzi e Santiago Padrós si sono legati
nuovamente alle stesse corde per aprire in Civetta una nuova via di
quasi 700 metri.
Si tratta di Alchimia, una linea che sale la severa
Cima De Gasperi, guardando la foto a sinistra del magnifico pilastro
d'angolo della Su Alto, su per una enorme goulotte che con difficoltà
fino a AI 5+ e M6+ ha portato attraverso il cuore della mitica
Nord-Ovest.
Nella parte finale, Alchimia incontra la via estiva aperta nel 1934 dai
triestini Giulio Benedetti e Renato Zanutti.