Intervista a Luca Girotto, lo scrittore di storia
a cura di Alessandro Gualtieri
Nota introduttiva
E' questa la prima volta che nei nostri
"incontri" presentiamo una persona che non è direttamente un alpinista, o un
esploratore, o un uomo di avventure strettamente legate alla montagna. La
montagna, questa volta, c'entra come "teatro" di un evento di cui si fa
quest'anno un gran parlare: il centenario della Prima Guerra Mondiale.
Ognuno di noi, escursionista, "ferratista" o alpinista che sia, quante volte
nel suo girare ha avuto modo di percorrere mulattiere militari, di entrare
in gallerie di guerra, di attraversare trincee, di trovare filo spinato,
caricatori, bossoli di pallottole, residui di suole, pezzi di latta, resti
di manufatti militari e altro ancora?
La presenza della Grande Guerra, combattuta su tutto l'arco alpino è sempre
presente e visibile anche agli occhi del più distratto degli escursionisti,
perchè sulle montagne su cui noi andiamo per divertirci e svagarci,
tantissimi soldati hanno combattuto, vissuto e sofferto per ben quattro
lunghi anni.
Il centenario offrirà l'occasione per guardare con più attenzione a quei
tragici anni, di approfondire la conoscenza di quegli eventi, attraverso le
tantissime iniziative che si stanno promuovendo un po' dappertutto.
Luca Girotto, fa parte di quelli che possono essere definiti "esperti
storici" della Grande Guerra anche se si è dedicato alla materia solo per
passione personale: questa intervista - incontro lo fa conoscere un poco, in
attesa di una sua serata che si svolgerà mercoledì 5 novembre 2014, alla
sala Boldini di Ferrara, nella quale racconterà "1915-1917. Da Cima d'Asta
al Cauriol ed al Colbricon", tre anni di guerra nel Lagorai.
L'intervistatore
Alessandro Gualtieri è un
appassionato storico e ricercatore milanese che da anni studia assiduamente
la Prima Guerra Mondiale a livello internazionale.
Autore di “La Battaglia
della Somme” e “Verdun 1916”, nel 2012 ha pubblicato un’esclusiva produzione
editoriale sulle Battaglie di Ypres.
Collabora anche con RAI Storia per il
Centenario della Grande Guerra.
“La Grande Guerra delle Donne”, è il suo nuovo
libro ed è anche autore di “La Grande Guerra
1914-1918. Percorso di Studio a Schede”, “Dal Piave alla prigionia”, “I
Musei della Grande Guerra” e “Recuperanti”.
Autore e webmaster del sito
internet lagrandeguerra.net, fa anche parte
dell’Associazione “Viaggi & Storia”, che desidera soddisfare chiunque
voglia capire i fatti, scoprire i personaggi che li hanno determinati e
soprattutto ritrovare ciò che oggi è rimasto ancora da vedere
L'intervistato
Luca Girotto,
nato nel 1963, sposato e
padre di due figli, risiede a Borgo Valsugana (Trento) e lavora come
dirigente medico presso il locale ospedale San Lorenzo. Dal 1987 si dedica
allo studio degli avvenimenti bellici del ’15-’18 sul fronte tra la
Valsugana, il Lagorai e la Val Cismon, nonché della guerra austro-russa sul
fronte della Galizia, pubblicando svariati articoli su riviste a carattere
storico, curando volumi e diari sull’argomento. Dal 1998 collabora con l’Associazione
Storico-Culturale della Valsugana Orientale e del Tesino in attività di
ricerca storica.
E' tra i
fondatori ed animatori dell’ “Esposizione Permanente sulla Grande Guerra in
Valsugana e nel Lagorai” allestita nel centro di Borgo Valsugana, collabora
da oltre dieci anni con il gruppo A.N.A. di Caoria (TN) e con il locale
museo per la valorizzazione delle testimonianze storico-documentali della
grande guerra sulla catena del Lagorai.
“Non credo di poter essere definito storico. Forse 'storiografo' o, meglio,
'scrittore di storia', dato che mi dedico alla materia solo per passione
personale”
Un medico che si appassiona agli eventi del primo conflitto mondiale,
tanto da diventare autore di autorevoli saggi sulla materia, da dove
parte questo desiderio di ricerca? Forse dall'aver in famiglia qualche
antenato che ha servito sotto l'esercito austroungarico?
Posso “vantare” un nonno materno Kaiserjäger in quanto fedele cittadino
austriaco (era di Borgo Valsugana, all’epoca centro principale
dell’omonimo capitanato distrettuale asburgico), ed un nonno paterno
mitragliere alpino, nativo di Santorso (provincia di Vicenza, ndr).
Ambedue furono in azione, da parti opposte, sul massiccio del Pasubio ma
non si spararono presumibilmente l’uno contro l’altro. Ciononostante, la
passione e la conseguente attività di ricerca hanno radici diverse: sin
da bambino sono stato “affogato” nella passione per la storia dai miei
genitori, un padre medico innamorato dei classici letterari greci e
latini ed una madre farmacista che conosceva a memoria tutti i canti
dell’Inferno della Divina Commedia e interi canti dell’Odissea,
dell’Iliade e dell’Eneide. Da lì è nato l’amore per la Storia in
generale e per quella militare in particolare, ma senza un periodo
storico preferenziale (almeno all’inizio). Poi, crescendo, è arrivata la
passione per la montagna, l’arrampicata e l’escursionismo. E studiare la
Grande Guerra sulle montagne venete e trentine era un modo per
“camminare nella storia”: viaggiare dagli archivi di Roma e di Vienna
alle creste rocciose del Lagorai e degli Altipiani voleva dire poter
“camminare nella Storia e sui luoghi della Storia con cognizione di
causa”.
Sulla Prima Guerra Mondiale, che in Veneto è anche nota come
"L'Altra Guera", è stato scritto molto, centinaia di testi e diari
spiegano 5 anni di un conflitto che ha avuto tra i suoi epicentri
proprio il settore posto tra le province di Trento e Vicenza. Quali sono
secondo lei gli aspetti su cui è stato finora scritto poco o nulla.
Fino ai primi anni 2000 c’erano indubbiamente “zone d’ombra”, periodi e
eventi della Grande Guerra che non erano stati per nulla analizzati o
che erano comunque rimasti in secondo piano. L’ultimo quinquennio, con
le innumerevoli ricorrenze ed anniversari, ha però di fatto cancellato
quasi completamente questi “angoli bui” anche se nella maggior parte dei
casi questa ipertrofica produzione letteraria è stata sostenuta da
ragioni meramente commerciali e di sfruttamento editoriale di materiale
preesistente. La predominanza degli aspetti commerciali, lo
“sfruttamento del filone” che le tecnologie informatiche hanno
contribuito a rendere facile anche per pseudo-storici improvvisati,
hanno però, almeno a mio parere, fatto sì che questa enorme mole di
carta stampata sia nella quasi totalità dei casi priva di qualunque
rilevanza dal punto di vista storico-scientifico. Molti lavori non
apportano la minima novità all’argomento al quale sono apparentemente
dedicati e il loro significato è solamente quello di gratificare l’ego
e/o il portafoglio di scrittori ed editori.
Resterebbero fuori, è vero, alcuni aspetti marginali che non è
economicamente conveniente trattare e che finora non hanno trovato spazi
specifici nella storiografia della Grande Guerra: il ruolo delle donne
sul “fronte interno”, i rapporti tra l’autorità militare e i civili
dell’area coinvolta dal conflitto, il profugato delle popolazioni dei
paesi investiti direttamente dalle operazioni militari, ma non si tratta
di argomenti dei quali io abbia una specifica competenza e di cui possa
fornire indicazioni o spunti di ricerca. Ne’, peraltro, me ne sono mai
occupato.
Tra i suoi sogni di storico, c'è mai stato quello di svegliarsi
una mattina tra le retrovie del fronte nel 1916, armato di macchina
fotografica penna e notes?
Proprio nel 1916 e nelle retrovie del fronte certamente no, per il
rischio elevatissimo di essere scambiato per una spia ed essere
fucilato! Ma mille volte ho immaginato cosa avrei potuto provare ad
aggirarmi per lo spettrale campo di battaglia dell’Ortigara o sui
roccioni del Cauriol a guerra appena finita, nella primavera/estate del
1919. Un’esperienza probabilmente affine a quella, irrealizzabile, sopra
accennata, l’ho però vissuta intervistando da amico alcuni reduci ancora
viventi negli anni ’90: in particolare l’alpino del battaglione Monrosa
(e poi del Bassano) Giuseppe Antonio Tadina (di Villette di Val Vigezzo
- VB) spentosi nel dicembre 1999 a 103 anni. Aveva combattuto in
Valsugana, a Sant’Osvaldo, a forcella Magna e in Cima d’Asta, sul
Cauriol e sull’Ortigara, per finire intossicato da gas asfissianti sul
Grappa a fine 1917. E si ricordava tutto! Bastava stuzzicarlo con
domande specifiche. Ecco, lì con le classiche “quatro ciàcole” si
camminava veramente nella Storia!
Spesse volte chi scrive di storia remota si trova a dover affrontare
ostacoli burocratici e tempi lunghissimi per poter consultare documenti
in archivi mai veramente alla portata di tutti e, purtroppo, male
organizzati, magari con fascicoli cannibalizzati da precedenti
consultazioni. Nell'era del nuovo millennio, ove tutto è informatizzato,
trova lecito che per controllare un elenco di caduti presso un Sacrario
militare sia necessario sfogliare elenchi redatti con la stilografica da
furieri di 90 anni fa?
A mio parere questo, faticoso ma inevitabile, è il bello della ricerca.
Bisogna essere realistici: non sarebbe ipotizzabile, in Italia,
informatizzare gli archivi militari, in particolare l’USSME (Ufficio
Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito). Sia per ragioni di mole di
lavoro (i documenti sono in quantità immense e spesso presenti in più
copie) sia per la ormai definitiva carenza di personale disponibile.
Piuttosto, sarebbe a mio parere più sensato permettere agli studiosi una
più agevole consultazione del materiale che in massima parte è piuttosto
bene ordinato. Attualmente, valga per tutti l’esempio dell’USSME, è
concessa al ricercatore la consultazione di tre soli faldoni o volumi di
documenti al giorno (che poi è solo mezza giornata, al mattino): un po’
poco per chi, come avviene nella maggior parte dei casi, può essere a
Roma solo per pochi giorni e solo qualche volta nel corso degli anni,
rubando il tempo al lavoro o alla famiglia.
Secondo lei chi perse veramente la guerra '15 - '18? Pardon,
'14-'18?
Trentino e Austria iniziarono il conflitto un anno prima. Sono in molti
a pensare che la sconfitta colpì solo il popolo, la massa di combattenti
d'ambo i fronti, scaraventati a combattere per ragioni
politico-geografiche mai veramente sentite proprie.
“La guerra – ha detto Eisenhower – è voluta da pochi che si conoscono e
non si affrontano, e combattuta da moltissimi che non si conoscono e,
pur non volendo, devono affrontarsi”. Questa frase rende bene il
concetto cardine: la guerra è persa da chi la deve combattere; persa
perché vi si muore; persa perché vi si distruggono sogni, affetti,
paesi, economie; persa perché sofferta da coloro che mai ne ottengono
benefici. Se però vediamo la Storia dal punto di vista delle nazioni e
non del singolo (che nella guerra ci perde sempre, o quasi), allora è, a
mio parere, innegabile che l’Italia, pur con tutte le sofferenze note e
meno note, la guerra la vinse; ed i benefici, pur al prezzo
dell’instaurazione di un regime tutt’altro che democratico, rimasero per
anni sia in termini territoriali (sia pure con tutte le frustrazioni
dovute al mancato rispetto della parola da parte degli Alleati ed alla
dissennata condotta delle trattative a Versailles da parte della
delegazione italiana) sia in termini di ruolo internazionale. L’Austria-Ungheria
invece innegabilmente perse, assieme alla Germania, anche come nazione;
e più della Germania pagò lo scotto della sconfitta scomparendo come
impero e venendo ridimensionata a semplice staterello-cuscinetto tra
Italia e Germania, privo di sbocco al mare e condizionato da un’economia
totalmente dipendente dall’estero.
Un giornalista che si diletta in saggi storici -Lorenzo Del Boca-
ha scritto un libro dal titoli "Grande guerra, piccoli generali" dove
spiega inefficienza e incapacità degli alti ufficiali che comandavano
l'esercito italiano. Alla luce delle sue documentazioni, si potrebbe
scrivere le stesse accuse parlando dei comandanti austriaci?
Premesso che letteratura, storiografia ed immaginario collettivo sono in
Italia pieni di luoghi comuni tutt’altro che accettabili e veritieri in
merito all’incapacità tattico-strategica dei nostri ufficiali superiori,
non credo che, in termini generali, la medesima accusa possa valere per
la parte austriaca. Questo, senza entrare in dettagli, principalmente a
causa di una ragione: nell’esercito imperiale (come in quello germanico)
l’iniziativa del singolo, dal sottufficiale all’ufficiale inferiore, e
su fino ai gradi più alti, era incentivata, incoraggiata e vista come un
utile contributo alla soluzione dei mille problemi che,
imprevedibilmente, si possono presentare sul campo di battaglia anche
nelle migliori condizioni di preparazione e progettazione preliminare.
L’azione del singolo, se coronata da successo, era riconosciuta come
tale e premiata; se con esito negativo, era comunque considerata (salvo
condotte palesemente assurde o suicide) un lodevole tentativo messo in
atto in assenza di direttive superiori. Nell’esercito italiano, al
contrario, l’iniziativa autonoma “dal basso” era assolutamente temuta,
scoraggiata, disincentivata, vista come ribellione alle direttive
superiori, come determinata da sfiducia nei capi; e quand’anche si fosse
resa necessaria, tale iniziativa era sempre considerata atto di cui
l’attore si assumeva (soprattutto in caso di esito sfavorevole) la piena
ed unica responsabilità esentandone pertanto i superiori comandi. In
pratica tutti, dal sottufficiale all’ufficiale inferiore e avanti fino
ai gradi più elevati, si preoccupavano primariamente non dell’esito
delle operazioni ma della possibilità di esserne considerati
responsabili, qualunque fosse il risultato che ne scaturiva. Da qui la
terribile macchinosità e lentezza di qualunque azione tattica o
strategica dell’esercito messo in campo dall’Italia e, soprattutto,
l’assoluta mancanza di reattività immediata nel pieno delle azioni,
quando le decisioni rapide e lucide sono essenziali. Né poteva essere
altrimenti, se il principio informatore di ogni decisione era "Attendi
gli ordini del tuo superiore", in modo da poter sempre dire "ho dovuto
eseguire una disposizione altrui”, e se proprio devi agire di tua
iniziativa sia ben chiaro che, soprattutto in caso di esito negativo, te
ne assumi la piena responsabilità sotto ogni punto di vista e che non
potrai contare sulla copertura o solidarietà di chi ti comanda.
Una anticipazione sulla sua prossima opera?
Sto terminando la revisione delle bozze di una ricerca imperniata sulla
ricostruzione delle vicende storiche e della mitologia connesse al
“cannone di Calceranica”, meglio conosciuto come “il Lungo Giorgio”. Si
trattava del cannone navale (calibro 350 mm) appostato sulle sponde del
lago di Caldonazzo in occasione della Strafexpedition, che avrebbe
dovuto agire contro Asiago per portare disordine e terrore nel centro
abitato (considerato fino ad allora fuori dalla portata delle
artiglierie austriache) nonché scombussolare l’apparato di comando della
34ª divisione italiana che in Asiago risiedeva e dal quale dipendevano
le difese alla testata della Val d’Assa e sulla piana di Vezzena. La
reale portata del ruolo “storico” del Lungo Giorgio è ben diversa da
quella comunemente tramandata dalla “vox populi”, ma nonostante questo
il “supercannone” si è ormai saldamente radicato nell’immaginario
collettivo delle genti di Valsugana e dell’Altopiano e per questo
merita, a parere mio, un posto chiaro e definito anche nella
storiografia locale.
Intervista a Luca Girotto, lo scrittore di storia
A cura di Alessandro Gualtieri
Da "lagrandeguerra.net" -
anno 2009
Nota della redazione.
Le prime due fotografie contenute nell'intervista sono state fornite da Luca
Girotto, la terza, più sotto, è di proprietà del Museo Storico
della Grande Guerra di Rovereto.