…296.a: quando una salita non è solo un numero!

 di Maurizio Caleffi

Questa non è la storia di una scalata impegnativa o di una impresa particolare. Questo è il racconto di una salita fra tante, la 296.a per il mio personalissimo "diario". Quello che mi spinge a raccontarla è il fatto che, per una serie di piccolissimi e personalissimi motivi è stata per me un'esperienza piena di grandi emozioni ed anche in un certo senso il ritorno ad una grande passione che, spero, non mi lascerà mai.

Settembre 2002: Cinque Torri
Questo è stato un anno molto strano e particolare: credo che lo ricorderò a lungo! Ho vissuto un inverno incredibile, ricco di salite e non solo! A parte il gran numero di cascate di ghiaccio messe nel paniere, credo che mai come in questo periodo ho provato una forte sensazione di legame con tutti i miei "compagni di avventura".
Alcuni fra i miei più cari amici mi aveva messo in allarme sul fatto che tutto quello "spiccozzare" mi avrebbe bruciato il cervello. Ma io non vi davo conto o, meglio, non volevo ascoltare nessun tipo di critica, per quanto fatta in assoluta buona fede. La passione era tanta e le motivazioni non mancavano: la complicità di tutti i "picchiatelli" rendeva ancor più avvincente tutto il nostro "tritar ghiaccio"!
Poi la stagione finì, mi ritrovai senza il mio giocattolo preferito, spiazzato e sicuramente anche un po' stanco. Passò un lungo periodo di pausa e di inattività fino a quando, con alcuni amici, non organizzammo una uscita sul Gran Paradiso. Questa esperienza fu per me dura da digerire, non tanto per il fatto che per alcuni di noi si rivelò un insuccesso ma, soprattutto, perché inquinò in parte i nostri rapporti. Su questo sto ancora meditando e spero un giorno di riuscire a mettere insieme i cocci di questa avventura anche contando sul fatto che fra noi non c'è solo una grande passione in comune ma, soprattutto, una grandissima amicizia e stima.
Da quella lontana settimana di Giugno, il mio interesse per la montagna cambiò direzione: sentivo repulsione per tutto quello che era anche la più semplice arrampicata. Non che io sia un alpinista estremo, anzi, non lo sono mai stato, ma , tanto per citarne una, anche una semplice ferratina era per me una cosa priva di qualsiasi interesse.
Provavo però un piacere grandissimo nel camminare ed allora capii che non era finita la mia passione per la montagna e che forse, come tutte le cose di buon senso, dovevo solo lasciare che il torrente del tempo lavasse via le scorie delle delusioni della vita. Ero certo che un giorno avrei ripreso l'imbrago e la corda e sarei tornato in parete.
L'esperienza mi dettava che non dovevo avere fretta, che il momento giusto sarebbe arrivato, che avrei dovuto stringere un po' i denti (ero ingrassato di 6 chili!) e che, soprattutto, non dovevo iniziare con nulla di difficile, anzi, "volare molto basso" per evitare di "cadere" di nuovo!
Ora credo che l'occasione sia arrivata, anche se qualche timore c'era ancora. Lo stimolo è il fattore determinante per certe scelte ed in questo caso devo tutto a Chicca. Credo che sia incredibile la scelta di questa compagna di cordata: lei non arrampica quasi mai, ma è molto in gamba e tenace e soprattutto si fida molto di me: …dimenticavo, Chicca è mia sorella! Questa non è una cosa da sottovalutare ovviamente e psicologicamente il fatto di ricominciare con la mia sorellina era cosa di non poco conto. Come detto prima lei si fida di me, ma soprattutto ero io ad aver bisogno di lei!
Alcuni giorni fa ci trovammo a mangiare insieme durante la pausa pranzo del lavoro ed alla fine gli dissi:

"Domenica dobbiamo andare a Fontanazzo a prendere la mamma: cosa ne dici di prendere il casco e l'imbrago per andare a fare una bella arrampicatiella?…Una cosa facile facile, ovviamente!!".

Non so se fosse convinta o meno, fatto sta che mi disse di si e credo che anche lei capì quanto ricca di intenti fosse la mia proposta.
Raggiungemmo così la nostra piccola casa in Val di Fassa dove, per l'appunto, si trovava alloggiata da più di un mese nostra madre. Il mio programma per l'indomani era in parte già fatto ed avevo invitato anche mamma a venire con noi. Ovviamente accettò con entusiasmo; se ricordo bene, era tantissimo tempo che la nostra famiglia non trascorreva insieme un pur così breve periodo di vacanze comuni!
Sia Chicca che mamma non erano mai state al rifugio Cinque Torri: la stradina che si inerpicava nel bosco affascinò entrambe ed anch'io, alla guida dello "Scudiello", salendo lentamente, assaporai la tranquillità ed il fascino di quei posti. Un solo pensiero per la testa: sarei riuscito ad arrampicare? Avrei avuto voglia di farlo? Ma, soprattutto, il fatto che la mia compagna di cordata era la mia sorellina, mi faceva sentire carico di una responsabilità che mai ho provato prima: era la prima volta in assoluto che arrampicavo su roccia con lei, in ben quindici anni di attività!
Giunti al parcheggio, giusto nel momento in cui stavamo preparando lo zaino e le ferraglie, decisi di dichiarare a Chicca il fatto che se fossi arrivato alla base della parete senza sentirmi convinto, saremo tornati indietro senza tante storie. Lei accettò, ovviamente, e quindi almeno in parte avevo un alibi pronto in tasca.
La giornata era bellissima e fresca: l'aria frizzante ed il cielo ricamato da alcune nuvole bianche e bonarie.
Rapidamente arrivammo all'attacco della via e non potei fare a meno di notare quanto seria e pensierosa fosse mia sorella. Mi sentii, così, in obbligo di tranquillizzarla ribadendo il fatto che la via l'avevo già salita, che non era difficile e che, se proprio ci fossimo rotti, saremmo discesi in doppia subito.
In alto, altri ragazzi erano già impegnati nei tiri finali e, incredibilmente, non vi era coda all'attacco. Con tutta tranquillità ci preparammo alla salita e dopo aver guardato bene la parete alla ricerca della linea di salita e soprattutto per individuare i chiodi, partii con molta attenzione.
Subito avrei voluto rinviare la corda per limitare il "fattore di scago" (così noi definiamo la paura di cadere), ma per i primi metri nulla da fare: solo un piccolo spuntone mi permise di proteggere la mia salita e, finalmente, dopo una decina di metri il primo anello cementato mi diede un po’ di tranquillità.
D’accordo, eravamo sul terzo grado, ma la paura e il timore di sbagliare era tanta e non dipendeva dalla difficoltà: ero conscio di essere assolutamente fuori forma e completamente disabituato ad arrampicare. Teso come le corde di un violino non era facile muoversi ed anche il più banale dei movimenti richiese uno sforzo fisico ben superiore al necessario, per non parlare di quello psichico!
Una breve attraversata a destra, sotto lo strapiombo, e quindi decisi di sostare: il tiro sarebbe finito più in alto, ma così facendo, presi un po’ di fiato e, soprattutto, controllai meglio Chicca durante la sua salita.
Quando mia sorella mi raggiunse alla sosta, aveva un po' di fiatone e la sua espressione rispecchiava una certa apprensione.

"Come va Chicca? Tutto ok o vuoi che torniamo giù?".

"Tutto bene Maurizio …solo, ho un po' le gambe che mi tremano!".

"E' sicuramente la tensione: ora se vuoi ripartiamo; qui sopra c'è il punto più difficile della nostra salita. Stai tranquilla: ti terrò la corda ben tirata e vedrai che andrà tutto bene".

Quindi era deciso: si proseguiva. Subito dietro di noi altri due ragazzi avevano attaccato la via e si accodarono alla nostra cordata. Affrontai lo strapiombetto tranquillizzato dalla presenza di un ottimo chiodo cementato: il passaggio non era difficile, solo che la tensione era ancora elevata. Superato l'ostacolo sostai immediatamente per controllare meglio Chicca in quel tratto.
Rimasi stupito! Giunta sotto il piccolo strapiombo mi disse:

"Tienimi bene!"

In meno che non si dica e senza dimostrare la minima esitazione, superò quel tratto e mi raggiunse.

"Cavoli! Non arrampica mai, ha lo zaino e, soprattutto, sta arrampicando con un paio di scarpe da tennis! Mica male veramente!!

Quando le feci i miei complimenti, lei mi rispose:

"Bella forza! Sono cinquanta chili e poi, con la corda dall'alto è tutta un'altra cosa!"

Sicuramente era vero, ma la semplicità con la quale è salita mi ha lasciato di sasso!

"Bravo ragnetto! Ora riparto: qui è facile, ma ora farò un tiro lungo e faremo fatica a sentirci, forse"

Infatti fu proprio così: la parete in questo punto era appoggiata, solo che di chiodi nemmeno l'ombra: riuscii ad abbracciare uno spuntone solo dopo una ventina di metri e, dopo pochi passi, eccomi alla sosta in compagnia della ragazza che seguiva con l'altra cordata.
Le chiesi il nome e la provenienza. Erano due ragazzi di Mestre: lei Stefania e lui Gigi. Entrambi molto bravi e veloci e quindi, di comune accordo, decidemmo di farci superare.
Alla partenza da questa sosta si trovava il secondo passaggio impegnativo della via: una breve attraversata a sinistra con il superamento di un tratto verticale. Studiato il passaggio, passai deciso dando a mia sorella alcune indicazioni su come affrontarlo.
Giunto alla sosta successiva, mentre recuperavo Chicca, osservai che ormai i due ragazzi di Mestre stavano uscendo dal tiro successivo ed erano arrivati già in cima; avvisai quindi la mia compagna di cordata che eravamo all'ultimo tiro.
Arrivato anch'io in cima, feci in tempo a salutare Stefi e Gigi che già stavano attrezzando la doppia per la discesa. Mi raggiunse anche Chicca:

"…ma che razza di cima è questa? E' piatta, come se l'avessero piallata!"

Sicuramente la sua fu un'esclamazione che servì a smorzare la tensione della salita: era emozionata e lo si vide dai suoi occhi. Ci abbracciammo e ci congratulammo per la salita: una breve sosta per il panorama, per un paio di foto e per darmi il tempo di attrezzare, a mia volta, la calata in doppia.
Preparai tutto con la massima cura: sentivo ancora tantissimo il peso della responsabilità di avere legato a me mia sorella!
Le diedi tutte le istruzioni necessarie per la discesa, le feci numerose raccomandazioni e poi mi apprestai a scendere. Sapevo di doverla anticipare in questo: non potevo lasciarla scendere per prima in quanto non avrebbe saputo quale era il punto giusto dove fermarsi.
Infatti, fu necessaria anche una sosta durante la mia discesa per rilanciare la corda che, con il primo tentativo, si era attorcigliata su un terrazzino.
L'ultima parte di discesa, poi, era nel vuoto e quindi era meglio che da sotto fossi io a controllare il tutto.
Dal basso attesi che mia sorella spuntasse dalla parete e, non appena fu sopra di me, nel tratto sospeso nel vuoto, la immortalai in alcune foto.
Mentre preparavo la seconda calata, dall'alto una cordata che aveva raggiunto la cima dopo di noi, stava lanciando le corde per iniziare la discesa: raccomandai a Chicca di starsene bene accostata alla parete per evitare eventuali cadute di sassi e mi apprestai velocemente a scendere.
Eravamo ormai alla base della torre: dopo avere avvolto le corde, ci apprestammo a tornare verso il rifugio dove nostra madre ci stava pazientemente aspettando. La ritrovammo, infatti, seduta su una panca di fronte all'entrata.
Che strana sensazione: tutta la mia famiglia era qui raccolta. Mia madre sorridente, mia sorella soddisfatta e appagata dalla scalata ed io che, finalmente, avevo riassaporato il gusto speciale di una arrampicata.
Che altro dire di questa salita? E’ stata sicuramente per me un'esperienza importante. Credo sia chiaro quanto sia stata influente la presenza di mia sorella e significante il fatto che in questo piccolo contesto familiare io abbia saputo trovare la voglia di ricominciare ad arrampicare e il desiderio di rimettermi un tantino in forma.
Forse sarà anche il fatto che sta tornando l'inverno e con lui le mie amatissime cascate di ghiaccio. Ma questa sarà un'altra storia.
Dal Gran Paradiso sono tornato deluso e amareggiato e spero di poter affermare che dalla "Via delle Guide" ho ritrovato la mia grande passione.

Dedicato alla mia famiglia

M.Ice