Un giorno d’agosto… sulla parete d’argento
di Mauro Loss
Sono da poco tornato dalla palestra de La Vela dove solitamente mi
alleno, ho fatto la doccia e sto preparando la tavola per la cena quando
Renata mi dice che domenica le piacerebbe andare al Rifugio Contrin e mi
chiede se so dove si trovi. So dove si trova ma in tutta sincerità non
ci sono mai stato.
Mi ci vuole poco tempo per programmare l’escursione,
un giro ad anello con partenza ed arrivo ad Alba di Canazei passando per il rifugio Contrin, il
Passo San Nicolò e la Forcia Neigra. E forse avrò
l’opportunità, il tempo, di salire al Passo Ombretta e dare un’occhiata
alla mitica parete Sud della Marmolada.
Sabato sera preparo lo zaino e ci infilo anche la guida di Giordani mi
potrà aiutare ad individuare i vari itinerari e mentre la ripongo, come
un automa vado ad una delle ultime pagine dove la foto della parete è
ripiegata più volte su se stessa. La distendi come un gran lenzuolo e
lentamente mostra l’imponenza della parete.
La svolgo con calma e con calma ripenso a quel giorno con Bruno, alla
mia prima esperienza sulla Sud, fu una lunga entusiasmante cavalcata,
qualche problema sui gocciolanti camini finali con un temporale che si
sentiva rombare in lontananza e che da lì a poco ci avrebbe presi in
pieno lungo la comoda discesa.
E soprattutto mi ricorda Davide, compagno
assieme a Christian di una intensa avventura su quella parete.
Mi siedo
sul letto della cameretta e cercando la relazione e lo schizzo della via
il mio pensiero corre a quel giorno di metà agosto…
E’ tardo pomeriggio quando assieme a Davide e Christian partiamo da
Trento alla volta di Malga Ciapela.
Domani ci aspetta una salita sulla
Sud della Marmolada.
Per Christian e Davide sarà la prima esperienza su
una parete che incute, solo a guardarla da lontano, un reverenziale
timore, per me invece la seconda!
Ed a veramente poca distanza dal mio
battesimo su questa parete d’argento.
Il viaggio scorre tranquillo, risate e battute ci fanno compagnia e sono
intramezzate dai nostri discorsi per concordare il da farsi, sul cosa
portare, sul come organizzarci, dato che arriveremo al rifugio giusto in
tempo per mangiare qualcosa e per andare a dormire. La sveglia, infatti,
suonerà molto presto l’indomani.
Al parcheggio i preparativi sono veloci, in poco tempo gli zaini, come
sempre pesanti muti compagni, sono pronti. Partiamo e sempre più in
silenzio arranchiamo sulle prime rampe del sentiero che ci porterà al
cospetto della Sud. Poco dopo incontriamo Rolando e Roberto, due amici
di ritorno da un tentativo di libera su una delle dure vie moderne della
parete ci salutiamo e si parla di intenzioni e progetti.
Rolando ci
avverte che il meteo è in evoluzione.
La stabilità di questi giorni sarà
interrotta dall’arrivo di una lieve perturbazione da Sud-Ovest, nulla di
preoccupante infatti non dovrebbe portare con sé precipitazioni ma solo
un gran freddo.
Ci salutiamo, loro proseguono verso valle e noi continuiamo a salire.
Da
lì a poco arriviamo ai verdi pascoli di Malga Ombretta e con essi ci si
presenta in tutta la sua imponenza la parete Sud. Ripensando a quella
quarta di copertina che da sempre mi incute timore e riverenza oggi mi
sento più sollevato, più a mio agio e chiacchierando allegramente
arriviamo al rifugio Falier.
Il tempo per cambiarci, di mostrare a
Davide e Christian la strada per l’attacco, di individuare la linea di
salita e siamo seduti a tavola con il gestore che oltre a raccogliere le
nostre ordinazioni, ci chiede i programmi per l’indomani. Con i piatti
di pastasciutta ci porta anche un libricino su cui ci chiede di annotare
i nostri nomi la via scelta e un riferimento telefonico.
Una cosa che la
scorsa volta mi aveva molto sorpreso e al contempo mi aveva fatto
piacere.
Fa sempre bene sapere che l’indomani ci sarà qualcuno che
vigilerà su di te, fa stare più tranquilli.
I trilli delle varie sveglie si susseguono a poca distanza l’uno
dall’altro e il dormitorio pian piano si anima e alla debole luce delle
frontali ci si prepara e poi si scende in sala dove ci aspetta una
frugale colazione.
Siamo in pochi, solo sette, due ragazzi diretti alla Vinatzer, Marco Anghileri e compagno che a distanza di vent’anni,
tenterà la ripetizione del Pesce e noi tre.
Si mangia in silenzio scambiando solo poche parole godendosi questi
ultimi attimi di tranquillità e il tepore della sala. Sono quasi le
cinque
quando usciamo dal rifugio e l’aria frizzante della mattina ci colpisce
il viso dandoci la sveglia. Ci incamminiamo lungo il sentiero che
passando sotto la vasta parete Sud, porta al passo Ombretta poco dopo,
nei pressi di una zona con grossi massi, lo abbandoniamo cercando, alla
debole luce delle frontali, la strada migliore per risalire i ripidi
pendii prativi che portano verso l’attacco della via.
In alto, quasi
alla base della parete, alcune lucine si muovono senza meta facendo
avanti e indietro alla probabile ricerca di un passaggio non facile da
trovare nella completa oscurità.
Noi saliamo lentamente mentre le lucine
delle frontali continuano il loro indistinto vagare che solo quando
schiarisce comincia ad avere una meta precisa e ci rendiamo conto che
non saremo soli sulla via.
E’ chiaro quando arriviamo all’attacco dove incontriamo quattro ragazzi
cechi che avendo dormito in una grotta poco sotto la parete sono già
pronti a partire. Ci prepariamo indossando imbrago, materiale e bevendo
un sorso di gatorade mentre le corde almeno per i primi cento metri
resteranno nello zaino.
Sarà Christian, superato lo zoccolo iniziale, a tirare il primo terzo di
parete ed a guidarci sulle placche della parte bassa fino alla grande
cengia. Avrà pure l’ingrato compito di gestire la presenza delle due
cordate che ci precedono cercando di superarle senza creare troppi
problemi né a loro e né a noi.
In parete superare non è mai facile e
nemmeno carino ma su una parete così lunga è meglio evitare qualsiasi
rallentamento. I ragazzi cechi sono più lenti di noi e fanno un po’ da
tappo ma per fortuna, sono proprio loro a lasciarci strada, così
Christian, poco prima del tiro chiave di questo tratto di parete, è
davanti libero da ogni pensiero. Può solo pensare ad arrampicare.
Sono quasi le dieci quando arriviamo in cengia un po’ più tardi del
previsto ma la temperatura è buona e il cielo terso, nulla preannuncia
l’arrivo della perturbazione pomeridiana tanto che tutti e tre ci
chiediamo se il meteo non abbia sbagliato.
Una pausa per riposare,
tirare il fiato, mangiare qualcosa e fare il punto della situazione
mentre ci scambiamo le corde. Ora sarà Davide a proseguire a lui tocca
il tratto centrale fino alla base del pilastro finale.
Tutto procede per
il meglio e siamo euforici, nessuna esitazione, nessun errore, solo il
cielo sta lentamente ingrigendo e velando il sole che fino ad ora ci
aveva accompagnato ma noi siamo sereni e tranquilli.
Sono le tredici quando su di un comodo terrazzino Davide mi passa le
corde.
Ora tocca a me e agli ultimi sette tiri. Sotto di noi il Rifugio
Falier è scomparso tra le nebbie, il cielo è sempre più maledettamente
coperto, sono le avvisaglie della perturbazione prevista per
il tardo pomeriggio ma che, a quanto pare, ha deciso di giocare
d’anticipo.
Approfittiamo della pausa tecnica per confrontarci. Dobbiamo decidere
che fare: sotto di noi ci sono 6/700 metri di parete, un’infinità di
doppie, un’infinità di tempo e una matassa di corde abbandonate da una
cordata francese recuperata nei giorni precedenti che potrebbe farci
comodo in caso di ritirata, sopra “solo”, si fa per dire,
sette tiri. Non
banali, è vero, ma sono solo sette.
È facile decidere. Si continua con la speranza che il brutto non
anticipi troppo. Speranza a dir poco vana.
Infatti, poco dopo,
cominciano a sentirsi i primi brontolii e dietro di noi il cielo non è
solo grigio ma sempre più nero e minaccioso.
Arrivo in sosta e recupero velocemente Christian e Davide ormai non ci
sono più battute, non si parla, tutto è scandito unicamente da ciò che
bisogna fare e nel cercare di farlo bene e soprattutto in fretta.
Il
temporale è ormai vicinissimo, tutto si è fatto scuro, nero, la montagna
prima solare e amica si è in poco tempo trasformata e ora è ostile.
Dovrei essere arrabbiato con lei ma non posso, troppi i momenti belli
che mi ha regalato e poi che colpa ne ha, la montagna, se noi non
abbiamo interpretato bene il bollettino meteo, se ci siamo “dimenticati”
di ricordarci che quando le perturbazioni arrivano da Sud-Ovest
solitamente anticipano sempre?
Ora mi devo concentrare anzi ci dobbiamo concentrare e impegnare tutti e
tre di più.
Tutto deve funzionare velocemente e con precisione.
Parto
per il mio secondo tiro tra tuoni e la luce dei lampi accompagnato da un
sordo tic tac provocato dalla neve pallottolare che picchia sul mio
casco. Non piove, nevica.
Piccole palline di neve ghiacciata che non ci
inzuppano ma ci bombardano e tolgono concentrazione.
Palline fastidiose
che ti ritrovi dappertutto e come se non bastasse la temperatura crolla
e il freddo si fa sentire. Arrampicando ci si riscalda ma le attese in
sosta sono lunghe e il freddo si insinua e inizi a tremare.
Tremi come
una foglia nonostante pile, giacca e guanti.
La neve pallottolare si deposita in ogni dove, riempie gli appigli
costringendomi a pulirli uno ad uno rendendo il tutto lento e macchinoso,
in più il contatto con la roccia scalda le palline che si sciolgono
trasformandosi in acqua gelida che scivola lungo la mano, lungo i polsi
insinuandosi sotto la giacca e lasciandomi una sensazione di gelo
intenso. Se non bastasse tutto questo non appena le calpesti con le
scarpette queste maledette palline ghiacciate si trasformano in una
poltiglia uniforme che diventa molto scivolosa e viscida.
Nonostante tutto procedo senza troppi intoppi e arrivato in sosta, mi
assicuro e recupero Davide e Christian quando il primo arriva, continua
ad assicurare il terzo mentre io recupero il materiale, lo riorganizzo
sull’imbrago, mi infilo le scarpette e mi preparo a ripartire.
Non
appena anche il terzo è in sosta mi prendo il resto di quanto mi può
servire e mentre quest’ultimo sistema le cose in sosta, il secondo mi
assicura.
Ci fidiamo ciecamente uno dell’altro, sappiamo ciò che dobbiamo fare e
soprattutto sappiamo di doverlo fare il più in fretta possibile ma senza
che la fretta ci faccia commettere errori che possono costare caro.
Ci
fidiamo ciecamente tanto che ognuno di noi sa, a seconda del ruolo che
in quel preciso momento deve svolgere, cosa fare e non pensa ad altro
che a quello. Non c’è tempo per controllare tutto, io devo solo
arrampicare mentre Davide e Christian gestiscono la sosta e mi
assicurano.
Nessuno di noi controlla il lavoro dell’altro ci si fida e
basta.
Questa è la nostra arma in più, nessuna discussione, nessun
problema, solo l’agire comune per il bene comune.
Un tiro verso il canale a sinistra del pilastro. Un tiro facile dove
fatico a restare concentrato dove l’acqua mette a dura prova non tanto
per le difficoltà in sé ma perché rende la roccia scivolosa, toglie
calore facendomi tremare.
Il canale rappresenta l’uscita percorsa
durante la prima invernale di questa via ma è orrido e decisamente poco
invitante quindi mi riporto, traversando a destra, sul grigio pilastro.
Il pilastro è ormai fradicio d’acqua, il mio magnesio è ridotto ad una
poltiglia biancastra e mi ricorda, strappandomi un sorriso, quando da
piccolo facevo un impasto con la farina per fare la colla per le
figurine dell’album Panini, ma ci continuo ad infilare le mani e ne traggo
un po’ di calore, mi rilassa e mi aiuta a regolare la respirazione.
Sotto un piccolo tettino mentre recupero Davide e Christian, cerco di
capire dove sia meglio andare.
Qui la via si divide: a sinistra una
bella placca forse il tiro più bello in assoluto, a quanto ho letto,
della via, a destra la fessura della variante alta di Grill. Questa
variante è un po’ più difficile ma vedo tanti chiodi e la roccia
protetta dalla lama sovrastante appare più asciutta.
Arriva Davide e mentre recupera Christian gli espongo i miei dubbi, lui
alza la testa e mi dice “se ci sono i chiodi segui i chiodi...”;
Christian arriva, è infreddolito e trema come una foglia, probabilmente
ci legge in faccia la preoccupazione e ci tranquillizza dicendo che non
appena cambiati i guanti, ormai fradici, starà meglio, mi passa il resto
del materiale e mi chiede come sto. Sorrido e riparto.
La lama mi
impegna non poco, sarebbe una bella arrampicata ma non riesco a godermela,
penso solo a salire il più in fretta possibile, per fortuna oltre a
numerosi chiodi è anche discretamente asciutta.
La pacchia dura poco,
non appena la aggiro una larga fessura viscida, poco protetta, indica la
via e mi ci vuole tempo per riuscire a venirne a capo, o almeno a me pare
di impiegarci un’eternità.
L’uscita è complicata, non ho nulla di buono
in mano e le scarpette continuano a scivolare e l’ultima protezione, un
dado, è lontana. … il cuore oltre l’ostacolo ed esco da questo ultimo
passo difficile.
La placca successiva è più appoggiata e dato che sto
letteralmente arrampicando sul sapone, un piccolo buco si rivela ottimo
per un chiodo ad “U”, un chiodo che mi dà spirito e sprint per compiere
gli ultimi metri prima di quella che sarà la nostra penultima sosta.
Fa freddo e sono fradicio ma paradossalmente sto sudando, il ticchettio
della neve pallottolare sul casco non dà tregua ed ormai è una
fastidiosa compagnia, cosa non darei per qualche minuto di silenzio e
pace.
Questo rumore, ripetitivo e sempre uguale, mi infastidisce.
L’ultimo tiro mi porta ancora verso il canale, qui la roccia oltre ad
essere fradicia è infida e spesso coperta di un sottile strato di verglass su cui arrampicare diventa un esercizio di equilibrio precario
tra appigli pieni d’acqua gelida che rendono le dita insensibili e
appoggi coperti da un leggero strato di ghiaccio.
Un corto e delicato
traverso mi consegna a quella che sarà l’ultima sosta, pochi metri e
saremo fuori, non ho tempo di rilassarmi ho voglia di recuperare
velocemente Davide e Christian forse siamo ancora in tempo per prendere
la funivia.
E' Christian il primo che parte lo vedo sbattere
ripetutamente le mani sul corpo nel tentativo di riscaldarsi un po’ e
con una smorfia sul viso che difficilmente scorderò.
Non demorde,
continua a combattere, si ferma solo prima del traverso per riposare e
scaldarsi un po’, gli spiego come ho fatto il passaggio, con i guanti fa
fatica a tenere gli appigli ma non demorde ed in breve è in sosta.
Mi guarda dolorante, toccherebbe a lui recuperare Davide ma non ci
riesce, ha le mani gelate e il movimento, rimettendo in circolo il
sangue, gli ha fatto partire i "diavolini" alle dita, sente dolore e si
appende alla piastrina impedendomi di fatto di recuperare Davide mi devo
arrangiare in altro modo.
Un moschettone e il mezzo barcaiolo risolvono
la scabrosa situazione.
Arriva Davide che sembra non sentire il freddo e
non capisce cosa sta succedendo, è l’unico momento in cui c’è un po’ di
ostilità ma ormai manca veramente poco.
Un corto tiro di IV su cui trovo
quattro chiodi e di cui ne tirerò tre, ci porta finalmente fuori dalla via.
Arrivano Davide e Christian a cui sono bastati pochi minuti per
recuperare, non sono ancora le 16.00 forse forse siamo in tempo per
l’ultima funivia ….
La mia adrenalina si esaurisce.
Sto in disparte,
abulico, mentre, quasi avessero un sesto senso, sono Davide e Christian a
prendere le redini del fare.
Christian sta calando Davide quando
sentiamo un gracchiare metallico provenire dal nulla.
È l’avviso che
annuncia l’ultima corsa.
Peccato!
Ma siamo fuori!
Siamo in cima e tra
poco saremo sulla pista da sci e sarà tutta un’altra cosa.
Due doppie e
finalmente ci troviamo abbracciati in mezzo alla pista.
Ora sarà lungo scendere a valle ma finalmente siamo al sicuro e senza
più fretta incuranti di neve e pioggia ci avviamo verso passo Fedaia non
prima di aver acceso i cellulari e avvisato casa che siamo fuori che
siamo sulla via del ritorno.
Sono quasi le diciotto quando arriviamo come zombie al Passo.
Lungo la
discesa rispondiamo ai molti messaggi e alle chiamate degli amici che
sapendoci impegnati in Marmolada si erano preoccupati per noi. Sono cose
che fanno piacere, come quel signore che nonostante il nostro terribile
aspetto si è fermato subito e ha portato Davide a Malga Ciapela per
recuperare la macchina mentre Christian ed io lo aspettiamo al bar
seduti ad un tavolo, schiena al calorifero, in silenzio, solo sguardi
complici sorseggiando un bicchiere di latte caldo.
Ci sarà tempo per parlare, ci sarà tempo per ricordare, ci sarà tempo
per analizzare come ci siamo comportati, ci sarà tempo per scherzare su
questa avventura che ci ha insegnato molto.
Ci sarà tempo per Christian
e per me, per Davide purtroppo, il tempo è finito.
Può solo guardarci,
sorridendo, dall’alto.
Mauro Loss
Un giorno d’agosto… sulla parete d’argento
Marmolada, estate 2010 / Trento, inverno 2013
Nota tecnica a cura della redazione intraigiarùn
Don
Quixote
Primi salitori: Heinz Mariacher, Reinhard Schiestl nel 1979
Dolomiti. Marmolada d'Ombretta. Quota: 3247metri
A ragione la Don Quixote è diventata una classica ed è tra le più ripetute
della parete. La via sale l’arrotondato spigolo del caratteristico e
panciuto pilastro a destra delle vie Conforto-Bertoldi e Phillipp-Henger.
Al facile inizio per colatoi, roccette e placche grigie, che salgono
dapprima verso sinistra e quindi verso destra, fa seguito una serie di
placche di ottimo calcare grigio. Oltre la cengia mediana, poi, la salita si
fa via via più interessante, fino a regalare nella parte superiore
un’arrampicata su placche assolutamente entusiasmanti.
ACCESSO GENERALE
Per l’A22 Modena-Brennero: uscire ad Ora (BZ); percorrere la Val di Fiemme
fino a Predazzo, per la Val di Fassa, raggiungere Canazei. Proseguire per la
strada del Passo Fedaia e, superato il Passo, scendere fino a Malga Ciapela.
Per la Val Cordevole: da Agordo fino a Cencenighe, Alleghe e Caprile, quindi
in breve per la strada del Passo Fedaia si raggiunge Malga Ciapela.
AVVICINAMENTO
Dal parcheggio di Malga Ciapela, con il sentiero n. 610, si raggiunge il
Rifugio Onorato Falier (2080 metri), posto ai piedi della parete Sud della
Marmolada (ore 1,15 da Malga Ciapela). Per le vie su Punta Penia, dal Rif.
Falier si prosegue sempre con il segnavia 610 fino all Rif. Contrin (2016
metri) posto alla confluenza tra la Val Contrin e la Val Rosalia.
ACCESSO
Dal Rif. Falier si segue il segnavia 610, lasciando il sentiero quando,
all'altezza di stretti tornanti, punta verso il Passo d'Ombretta (Ovest); si
traversa per prati, in leggera salita a destra (Est), fino ad una rampa che
sale le rocce dello zoccolo alla base della parete e quindi raggiunge il
facile canalino obliquo d'attacco. (circa 1 ora dal Rif. Falier).
DISCESA
Due doppie da 50 metri fino al ghiacciaio, quindi per le piste da sci si
raggiunge la stazione intermedia della funivia di Malga Ciapela
(Nota e schizzo sono tratti da Planetmountain - Foto
sopra, con il tracciato della via Don Quixote, tratta da gulliver.it)