La normale alla cima Cadin di Vedorcia

Una via alpinistica d'altri tempi

di Gaetano Soriani


Nella torrida estate del 2003 ebbi l’occasione di scalare la cima Cadin di Vedorcia nel gruppo degli Spalti di Toro per la via normale (Berger-Hechenbleikner) in compagnia dell’amico Marco Bertoncini del Gruppo Ragni di Pieve di Cadore. Poco tempo fa sistemando carte varie, relazioni di vie e robe di montagna ho ritrovato gli appunti di quella splendida giornata con una breve descrizione della salita.

Tutto iniziò un pomeriggio in piazza Tiziano a Pieve di Cadore dove incontrai Marco che mi chiese se avevo voglia di fare un “giro” in montagna con lui il giorno successivo.
L’invito non mi lasciava molte alternative, le proposte di Marco erano sempre molto allettanti, restava solo da capire che cosa intendeva per “giro”.
I primi sospetti ho cominciato ad averli quando ho saputo la meta della nostra escursione: la salita alla cima Cadin di Vedorcia nel gruppo degli Spalti di Toro.
Conoscendo gli Spalti sapevo per esperienza che avremmo dovuto affrontare ghiaioni e dislivelli faticosissimi.
L’altro sospetto è stato a proposito del materiale da portarci dietro quando con noncuranza Marco mi disse di portare, oltre alla normale dotazione alpinistica, anche il martello e qualche chiodo perché “non si sa mai”.

E così in una caldissima mattinata di agosto, di buon mattino, ci siamo trovati a percorrere la stretta carrabile che porta da Domegge (sul lago di Pieve di Cadore) al rifugio Padova situato nella bella conca di Prà di Toro.
Dopo un caffè al rifugio, con la promessa di una birra gelata al ritorno, fatta una cernita del materiale occorrente e dopo esserci divisi equamente i pesi da portare, ci siamo incamminati nel bosco ancora rorido di rugiada mentre il sole indorava le cime degli Spalti.
La giornata era splendida con tempo sicuramente stabile, unico problema il caldo che avremmo incontrato.
La marcia di avvicinamento sarebbe stata abbastanza lunga e faticosa, ma la curiosità di fare una salita alpinistica di una cima poco frequentata mi attirava molto.
Alla fine dei mughi, in assenza di segni, con il solo ausilio della fotocopia della relazione di Luca Visentini, abbiamo risalito in diagonale un interminabile ghiaione fino a raggiungere una “aerea forcella” fra cima Cadin degli Elmi e cima Cadin di Vedorcia, punto di partenza della via.
Dapprima in “conserva” e poi a tiri alterni abbiamo raggiunto la vetta da dove si godeva di una veduta veramente unica su tutto il centro Cadore e sugli Spalti di Toro in particolare.
Non è sempre stato facile trovare la via che nel primo tratto era su roccia marcia con passaggi abbastanza delicati su cenge friabili e sporche, compresa una deviazione fuori programma a causa di un lichene su una roccia sopra di noi che sembrava proprio un bollo di vernice rossa sbiadita!
Il dislivello complessivo dal rifugio Padova è di 1250 metri ed abbiamo lasciato un chiodo sul percorso.
I due tiri più belli sono stati gli ultimi nel camino finale di roccia buona che, pur non andando oltre il 3° grado, era completamente privo di protezioni in puro stile alpino.

Di questa salita porterò sempre il ricordo di una foto che non ho potuto scattare perché come al solito non avevo portato la macchina fotografica ma che si è fissata comunque nella mia memoria: la mia ombra proiettata nella parete di fronte mentre su un piccolo pulpito di sosta del camino finale recuperavo il mio compagno.
Una via alpinistica di altri tempi in un ambiente severo e solitario, con soste su cordini e vecchi chiodi da fessura, una via in cui non sono tanto i gradi che contano quanto la capacità di orientamento e l’esposizione, da sconsigliare a chi preferisce brevi avvicinamenti, spit che luccicano al sole indicando la via e anelli cementati alle soste con comodi sentieri di rientro, ma da consigliare vivamente a chi non ama la folla.

A proposito di folla, dal quaderno di vetta su cui abbiamo annotato i nostri nomi abbiamo rilevato con grande meraviglia che eravamo la ventunesima cordata negli ultimi diciotto anni!
Non so se ultimamente la frequentazione di questa cima sia ancora così scarsa e limitata a pochi amatori, ma in cuor mio spero che la zona degli Spalti di Toro rimanga ancora, assieme alle Marmarole e al gruppo del Bosco Nero, uno degli ultimi posti dove sia possibile trovare ancora un poco di “wilderness”.

Gaetano Soriani
Cento (Ferrara) - Estate 2003



Cima Cadin di Vedorcia - via normale
da sud-ovest (Berger - Hechenbleikner, 1903)

Descrizione generale
Delle tre cime cadine è quella che svetta di più, con una forma piramidale se vista dalla Costa Vedorcia.
E' una cima che viene salita di rado e si svolge prima sul versante sud per terreno relativamente facile.
Nella prosecuzione presso lo spigolo sud-ovest le difficoltà aumentano, tanto che è consigliabile l'uso della corda. Al ritorno, per la stessa via, si possono utilizzare diverse calate già predisposte.
Il tracciato è evidenziato da molti ometti e pochi sbiaditi bolli rossi. La via rimane al sole per molte ore.

Descrizione
Invece di salire al camino dritto sopra la forcella, obliquiamo a sinistra per prendere una cengetta. Da qui ci alziamo su rocce più facili ma anche più esposte rispetto al camino (I, max II) fino ad una cengia con ometti. Attraversiamo facilmente a sinistra incontro ad un grosso masso giallo incastrato. Sfruttando le lame sulla destra lo rimontiamo con un passo di II (è possibile passare anche a sinistra oppure nello strettissimo foro formato con la parete).
Continuiamo sulla cengia, stando magari a sinistra di un camino. Girando uno spigolo giungiamo alla lunga cengia mediana della parete ovest. Dopo 20m di cengia montiamo a destra scegliendo i passaggi più facili (I).
Su di una nuova cengia, ugualmente larga, ci avviciniamo allo spigolo sud-ovest dove un ometto invita a salire una fessura gialla (visibile una calata a sinistra sulla cengia e una in alto in cima alla fessura). Qui ci si lega.

1L - Si scala la fessura fino a metà circa (II+) per poi scartare obliquando a sinistra su rocce gradinate (II), fino ad una spalla ghiaiosa (sosta su spuntone con cordoni). 40 metri, II+ e II
2L - Si entra ora nel grande camino dello spigolo, arrampicando sulla parete destra su buona roccia grigia. Nel finale una fessura impegna un po' di più.
Sosta su tre chiodi con cordoni. 30 metri, II e III
3L - Tiro esposto. Si prosegue sulla parete grigia di sinistra, obliquando a sinistra e nel finale ritornando a destra per una rampetta. Sosta in un intaglio, su 2 ch con cordone. 30 metri, III
4L - Traversiamo a sinistra per cornice fino ad un catino. Ritorniamo a destra sullo spigolo dove arrampichiamo su rocce via via meno solide, fino ai blocchi gialli sotto la cima. Proprio in cima sostiamo su spuntone. 40 metri, II
Quassù ci circondano molte tra le cime più sconosciute degli Spalti di Toro, e un panorama grandioso invece sulle cime dolomitiche più conosciute.

Discesa
La prima parte si effettua con corde doppie, tutte attrezzate con chiodi, cordoni e maglie rapide.
Sotto la cima, su una paretina rossa orientata a sud si trova la prima calata.
CD1 (2 ch) (40 metri)
ritorniamo all'intaglio dell'ultima sosta
CD2 (2 ch) (50 - 55metri)
scendiamo tutto il camino. Poi traversiamo alla calata sulla spalla
CD3 (spuntone + 1 ch) (50 metri)
torniamo alla cengia alla base della fessura gialla
Torniamo alla cengia mediana per quel tratto di I, ripassiamo lo spigolo e al sasso incastrato.
Qui potremmo ancorare una doppia ad uno spuntone (da attrezzare) oppure chi è magro può pensare di passare nel foro. Altrimenti il passaggio non è facile. Continuiamo per la cengia fino ad affacciarci sulla forcella d'attacco.
CD4 (spuntone) (15 - 20 metri) - siamo nel canalone.

Materiale
Comode due corde da 50 metri per la discesa in doppia. Utile il martello per ribattere qualche chiodo.

[Note tecniche tratte dal sito internet FotoDolomiti. Foto di Luca Brigo]