Come salimmo la via "Quèla" al pilastro "Quèlo"
Via nuova e altre notizie sul Cengio Tondo di Vallarsa
a cura di Gabriele Villa
"Cosa devo prendere? Guanti, forbice, brusca di ferro,
seghetto?"
"Non c'è da pulire oggi. Sono placche compatte, c'è poca vegetazione. Prendi
solo il seghetto per precauzione."
Bisognerebbe registrarli certi discorsi, così si potrebbero riascoltare per
selezionare una bella serie di frasi da inserire nell'elenco delle
"ultime parole famose".
Comunque, preparati gli zaini, dal parcheggio del paesino di Spino, in
Vallarsa, percorriamo un tratto di strada asfaltata, a ritroso, per andare a prendere il
sentiero che ci porterà sul fondo della valle.
"C'è aria fresca oggi, non il caldo di domenica scorsa. Con questa
temperatura potremmo anche andare a fare il pilastro sud del Cengio Tondo
che è solo un poco più in là della nostra parete."
Io faccio un cenno di assenso, tanto è lui che conosce la zona e le pareti
rocciose che vogliamo provare di salire; per quanto mi riguarda, è la prima volta che cammino
in Vallarsa, fino ad ora l'ho vista sempre e soltanto dall'alto.
Arriviamo al fondo della valle dove scorre il torrente Leno, lo
attraversiamo su di un ponte di legno, risaliamo il greto ripido aiutandoci
con un cordino fisso messo probabilmente dai pescatori, raggiungiamo una
buona traccia di sentiero e andiamo verso il Cengio Tondo, un torrione che
esce dal pendio boschivo ed ha una sua linea alpinisticamente accattivante.
Dieci minuti e siamo all'attacco, in mezzo al bosco e sotto la parete.
Beh, la parete sopra di noi da questo punto
di osservazione appare quasi completamente coperta da un "velo" di vegetazione,
ma l'amico l'ha già "binocolata" più volte, fotografata con il
teleobiettivo, studiandone una possibile e logica linea di salita. Ho sempre
pensato che se uno vuole ricavarsi la sua personale avventura, con
inventiva, intraprendenza e un poco di fantasia ci può riuscire e credo che
il mio amico se la sia saputa ricavare bene.
Alpinista in gioventù, ha salito parecchie tra le grandi classiche delle
Dolomiti e poi ha portato la sua attenzione verso pareti ancora da salire,
andando a scoprire zone trascurate, alcune delle quali, con gli anni, sono
diventate delle palestre naturali molto apprezzate e frequentate, sia da
singole cordate che da svariati corsi di roccia.
Due esempi per tutti: sulle Dolomiti, il Trapezio del Piccolo Lagazuoi
sopra la strada del Passo Valparola e, in bassa quota, la parete sopra il
paesino di Tessari subito all'imbocco della Val d'Adige, nei pressi di
Affi.
Negli ultimi anni ha accentuato la sua attenzione verso le pareti di bassa
quota, infatti compie sempre le sue escursioni, a piedi, in mountain bike, o
anche in moto, con macchina fotografica e binocolo per studiare e
fotografare gli affioramenti rocciosi e le pareti di una certa rilevanza,
delle quali non gli importa che abbiano necessariamente una cima, ma che
presentino linee logiche di arrampicata.
Dopo avere ripetuto per anni molte delle sue vie in Dolomiti, al suddetto
Trapezio, alla Croda Negra, al Nuvolau, ai Lastoni di Formin ho avuto
occasione di conoscerlo personalmente, poco meno di due anni fa, e in seguito ho
risposto a qualcuno dei suoi inviti ad arrampicare, facendo conoscenza con
questo suo modo di concepire l'avventura e ne è nata una buona consonanza,
perchè l'aspetto "esplorativo" che la caratterizza lo trovo assai
stimolante.
Così mi sono abituato alle sue e-mail con foto allegate di pareti con
tracciati di "ipotesi" (segnate rigorosamente con tratto di colore verde) e alle
successive incursioni telefoniche che ne decantano le doti con termini
sempre orientati al superlativo: quasi sempre roccia bellissima, spesso
placche stupende, altre volte un "calcarone" eccezionale.
Intanto, ci siamo preparati e... meno male che abbiamo
entrambi il seghetto perchè la partenza è tutta da scoprire, nel senso
letterale del termine, cioè "scoprire" dalla vegetazione che un po' la
infesta e un po' la nasconde, ma... niente paura, esperienza già fatta e, si
sa da tempo, dove c'è una volontà c'è una via.
"Perforato" il primo tratto di verde e superato uno strapiombo "a campana",
come ben descritto a parole dall'amico tra uno sbuffare e l'altro, la roccia
pare decisamente buona, solida e rugosa, anche se un po' avara di
appigli. Riesco ad intravederlo tra le fronde e anche a fotografarlo,
seguendo il suo procedere di cui mi dà sempre conto man mano che si
presentano i problemi da risolvere; lo sento anche battere un chiodo dentro
una fessura.
"Guarda che io non ho il martello." - lo avviso subito.
"Ehhh... ma come mai non lo hai preso?"
"Guarda che avremmo dovuto andare a salire placche e abbiamo cambiato
idea. Altrimenti avrei, non solo il martello, ma anche la brusca metallica e
la forbice da potatore."
"Tanto scendiamo in doppia. Lo caviamo dopo..."
Quando tocca a me capisco l'origine degli sbuffi dell'amico e anche cosa vuol
dire strapiombo a campana; poi la roccia diventa bella, verticale, rugosa,
piacevole da scalare, con un movimento assai delicato quando la roccia ti
"consegna" a una cengia sulla quale non sai dove attaccarti per uscire dal
verticale.
La sosta è comoda e lasciamo un cordone attorno a un buon paio di alberi
affiancati, subito sopra attende un bel tratto verticale che un fix mette in
sicurezza, e si procede dritti verso l'alto fino ad un'altra sosta comoda.
Da qui traverseremo una decina di metri a sinistra, in orizzontale, fino ad
arrivare alla spalla, risalendo la quale si arriverà sotto la fessura che
più sopra diventa camino, formata da un pilastro assai caratteristico, ben
visibile dal basso, che l'amico ha già battezzato "il missile".
Ora riusciamo ad ammirare l'alta Vallarsa nella sua bellezza aspra,
dirupata e rigogliosa di verde, chiusa in fondo dal Carega e con la massa
imponente del Coni Zugna, con le cime ancora imbiancate dalla neve.
La temperatura si è mantenuta gradevole e questo ci aiuta, così ci
concentriamo sul tratto finale che dovrebbe essere alpinisticamente
interessante, caratterizzato dalla fessura di ottima roccia e dal camino del
missile.
Qui la vegetazione è meno invasiva e l'arrampicata diventa più gustosa e in
un attimo ci troviamo alla base del largo caminone che porta alla mente
scorci e ricordi di sapore dolomitico.
Tornano movimenti di antiche tecniche che l'arrampicata sportiva moderna nemmeno
conosce, un poco di schiena-piedi, movimenti in spaccata, infine, alcuni
metri verticali portano alla cima del pilastro sud del Cengio Tondo.
L'amico scende in arrampicata e torna alla sosta, poi salgo io, finalmente
scarico dello zaino con le attrezzature della cordata e davvero mi sembra di
essere leggero. Metto i piedi sulla cima del pilastro e scatto una foto
verso il basso, sul fondo della valle il lago artificiale di San Colombano
regala i magnifici colori delle sue acque.
Scendo a mia volta arrampicando ritornando alla base del camino, poi una breve
corda doppia ci scarica alla sosta sulla spalla e da qui
un'altra corda doppia, più lunga e in diagonale, ci riporta alla prima sosta sugli
alberi dove abbiamo lasciato il cordone con la maglia rapida per la calata.
Durante la discesa ovvia pulizia di rami e alberetti che altrimenti la
ostacolerebbero e durante la terza e ultima calata rimozione di tutto il
cascame prodotto durante la salita dei primi due tiri di corda e
"rifinitura".
Abbiamo iniziato l'arrampicata alle 9:40 e ora, terminata la
discesa sono le 16:00.
Un po' stanchi, volti e vestiti sporchi di polvere, non ci nascondiamo la
soddisfazione per questa via "imprevista", che pur se protetta a fix, per
logica di salita e varietà dell'arrampicata, ha avuto un buon "sapore"
alpinistico.
Riponiamo il materiale negli zaini (che sono tre, più una
sacca) e, ripercorrendo a ritroso il sentiero, torniamo al ponte sul Leno,
che ci riserva l'ultima difficoltà della giornata, superata la quale
dobbiamo solo risalire a Spino.
"Come pensi di chiamare questa via?" - chiedo con una certa
curiosità.
"Ho smesso da un pezzo di "gradare" le vie e mi sa che smetto anche di
dare loro un nome."
Intanto, risalito un tratto di strada asfaltata, eccolo comparire il Cengio
Tondo, oramai immerso nell'ombra e mi fermo a fotografarlo.
"Eccola là la nostra via: è 'quèla'. - dice imitando la voce di un
personaggio satirico di Corrado Guzzanti - E il pilastro? E' 'quèlo'!"
"Vorrà dire che io la chiamerò alla vecchia maniera: via del pilastro sud
del Cengio Tondo." - rispondo con un sorriso di accettazione.
Ma alla fine, che si chiami, "quèla", camino del missile, via del pilastro
sud, o qualsiasi altro nome, cosa cambia delle tante sensazioni provate nel
corso di questa nostra piacevole giornata di arrampicata? Nulla.
Va bene così e chi si contenta gode.
Che, alla fine, mi pare una banalità, ma (molto) saggia.
Gabriele Villa
Cengio Tondo di Vallarsa, 9 aprile 2014
Il Cengio Tondo di Vallarsa presenta un'interessante parete
est che è stata salita da cordate locali.
Sono state realizzate tre vie i cui tracciati, con difficoltà, sviluppo e
informazioni essenziali per l'avvicinamento, sono riportati nell'unica foto
che è stato possibile reperire cercando nella rete.
La via "Quèla", realizzata da Eugenio Cipriani e Gabriele
Villa il 9 aprile 2014, sale il bordo sinistro della parete sud,
raggiungendo la cima del pilastro che la delimita a sinistra e presenta uno
sviluppo di 120 metri.
Difficoltà indicative: tratti di V nei primi due tiri di corda, tratto di
III nel terzo tiro, tra IV e IV+ nei due tiri finali.