RECENSIONI. 07/06/2011 - "La
legge della montagna", un interessante libro di Augusto Golin
Altro che eroi. L'alpinismo ha una storia
segnata da truffe e casi giudiziari. Un libro ne ricostruisce i cinque
più clamorosi.
Per generazioni abbiamo creduto, sulle
orme di Guido Rey, che «la dura lotta con l'alpe» fosse «utile come il
lavoro, nobile come un'arte, bella come una fede». Questo motto un po'
dannunziano coniato dal poeta del Cervino e leader del Cai a inizio
Novecento, è stato poi impresso sulla tessera del Club Alpino dagli anni
Trenta fino a poco tempo fa.
Anche se da un bel po' il francese Lionel Terray ha onestamente ammesso,
smentendo Guido Rey, che gli scalatori sono «conquistatori dell'inutile»
e ha così guadagnato alla categoria nuove e più moderne simpatie, gli
alpinisti non hanno mai rinunciato a un alto concetto di sé e molta
gente non ha esitato a considerarli eroi, o comunque uomini
straordinari, superiori alle nostre bassezze quotidiane.
Ma davvero la storia dell'alpinismo fu vera gloria?
A rammentare clamorose polemiche apparse sui giornali negli anni scorsi
sulle imprese più celebri e i nomi più famosi, non ci voleva molto ad
aprire gli occhi sul rovescio della medaglia. Cosicché nella nostra
epoca delusa e disincantata il libro di Augusto Golin, La legge della
montagna, sfonda una porta già aperta e, documenti alla mano, ci
toglie ogni residua illusione sugli eroi della montagna.
Golin è stato a lungo curatore del «Filmfestival» di Trento, la Cannes
dell'alpinismo mondiale.
Il suo titolo sottilmente a doppio taglio riecheggia la selvaggia
jungla, mentre ci addita storie di processi e tribunali, ossia «i più
celebri casi giudiziari che hanno segnato la storia dell'alpinismo» come
spiega il sottotitolo.
Il libro che ricostruisce cinque casi illustri evidenzia piuttosto a
sorpresa che il grosso della litigiosità non è dovuto ai tanti incidenti
degli sport di montagna, quanto alle contese per la «gestione della
gloria».
A fronte dell'unica, famosa storia della conquista del Cervino nel 1865
da parte dell'inglese Edward Whymper, funestata da ben quattro morti che
costò ai tre superstiti, l'inglese e due guide svizzere, un fulmineo
processo a Zermatt, dove si confermò che la corda non era stata tagliata
ma si era fortunatamente spezzata, tutti gli altri casi si fondano su
feroci gelosie, tremende calunnie e autentiche truffe.
C'è la ben nota, patria vicenda del giovane Walter Bonatti sul K2 che
nel 1954 rischiò la vita per portare le bombole d'ossigeno necessarie
alla vittoria di Compagnoni e Lacedelli, ma si è battuto mezzo secolo
nei tribunali e sui giornali per ottenere giustizia.
C'è la storia non meno celebre del giovane Reinhold Messner che nel 1970
tornò vivo per miracolo dalla vetta del Nanga Parbat, ma fu perfidamente
accusato della morte del fratello Günther e solo di recente è riuscito a
provare la sua innocenza.
Anche l'austriaco Kurt Diemberger dopo la vittoria sul Dhaulagiri nel
1960 lottò in tribunale con il capo spedizione per poter usare i propri
filmati e le sue foto.
Il caso più emblematico di tutti, che sta all'origine di poco più di due
secoli di storia alpinistica, è quello della prima ascensione del Monte
Bianco avvenuta nel 1786 a opera del dottore di Chamonix, Michel-Gabriel
Paccard con il portatore Jacques Balmat.
Per rivalità e calunnie a lungo si è fatto credere che l'eroe fosse
Balmat, la guida che nel 1787 condusse in vetta lo scienziato ginevrino
De Saussure gran committente dell'impresa. Solo nel Novecento si
ristabilì con documenti inoppugnabili il primato del dottore,
capostipite degli alpinisti. L'intricata vicenda del Monte Bianco è
cristallizzata a Chamonix da due monumenti contrapposti, uno del 1887
con Saussure e Balmat, l'altro del 1986 con il solo Paccard. Così solo
gli intenditori sanno distinguere la verità dalla leggenda.
La recensione è di Pietro Crivellaro ed è stata tratta da
http://www.iborderline.net/
Un approfondimento tratto da
http://franzmagazine.com/ scritto
da Reinhard Christanell
Scrive, Augusto Golin, nella prefazione di “La legge della montagna - I
più celebri casi giudiziari che hanno segnato la storia dell’alpinismo”
appena edito dalla prestigiosa casa editrice
milanese Corbaccio: “Perché gli alpinisti litigano tra di loro? Perché
molte imprese alpinistiche sono finite nelle aule di un tribunale?"
Per scoprirlo, e per ragionare di alpinismo e genere umano, incontriamo
l’autore in un bar che si affaccia su una trafficata e
rumorosa strada bolzanina, fingendo, per la breve durata del colloquio,
di bivaccare su una solitaria e silenziosa vetta alpina.
Cominciamo da
lontano: Che cosa ha spinto l’uomo, che per millenni ha considerato la
montagna territorio sacro, inviolabile, luogo di culto e sede degli dei,
a trasformarla in terra di conquista (“del diavolo”, dirà l’autore) e,
non di rado, in parco dei divertimenti?
Golin, che delle vicende di montagna è profondo conoscitore, risponde
con un sorriso sibillino. “La montagna è sempre stata la Terra degli
Dei, popolata di misteri e figure paurose che incutevano timore e
rispetto; con l’avvento dell’illuminismo, la sete di conoscenza e la
curiosità scientifica hanno rotto l’incantesimo e spinto gli uomini ad
affrontare senza timori riverenziali le pareti più impervie in
condizioni sempre più spregiudicate. Il gusto per la competizione, il
denaro e l’ambizione personale hanno fatto il resto.” Insomma, un
atavico atto sacrale si trasforma in profano gesto sportivo. ”Esatto. Ad
un certo punto, soprattutto nel mondo austrotedesco e poi anche
italiano, subentra una forte componente nazionalistico-militare, per cui
la “conquista” delle vette diventa punto d’orgoglio e vanto dei regimi
autoritari, che le sostengono e vi partecipano con grande spiegamento di
uomini e mezzi. Il culmine di questa tendenza si raggiunge nel corso
della prima guerra mondiale, quando le montagne vengono non solo
dissacrate ma brutalmente aggredite e “ferite” a fini bellici e di
sopraffazione. Solo gli inglesi e in parte i francesi hanno
salvaguardato l’aspetto sportivo, pacifico dell’alpinismo.”
Veniamo ai “casi” descritti e scrupolosamente documentati nel libro:
dalla conquista del Monte Bianco, ai casi Bonatti e Compagnoni, dalla
sfida al Cervino alla triste, mai del tutto chiarita vicenda dei
fratelli Messner.
Racconta Golin: “Il caso che mi ha colpito maggiormente è quello della
“prima” del Monte Bianco. Al vero conquistatore della vetta, Paccard,
per oltre un secolo è stato disconosciuto il merito che indubbiamente
gli spettava. Come in altri casi, sono gli aspetti economici a favorire
questa sorte di falsificazione storica con inevitabili strascichi
giudiziari. Il caso che ho vissuto più da vicino è stato quello dei
fratelli Messner, con Reinhold accusato di aver lasciato morire il
fratello sul terribile Nanga Parbat. Qui di mezzo non ci sono solo
l’interesse economico e la vanagloria ma la vita di un uomo e di una
famiglia.”
Il racconto di Golin si ferma proprio agli anni settanta, con il caso
Messner. “Da quel momento in poi, assistiamo ad una radicale
trasformazione dell’alpinismo; scompare l’elemento “politico-nazionale”
e subentra quello legato al mondo imprenditoriale: gli alpinisti
diventano “lavoratori autonomi”, vivono dei “frutti” delle loro ardite,
a volte tragiche imprese. Nessuno scalatore moderno si sognerebbe di
sottoscrivere i famigerati patti di disciplina, che riservavano a pochi
- spesso al solo capo spedizione – i frutti delle scalate (libri, foto,
filmati ecc) mentre gli altri partecipanti non potevano vantare diritto
alcuno: nemmeno quello alla verità. Oggi esistono gli sponsor e tutto è
programmato fin nei minimi dettagli, sportivi ed economici.”
Ultima, decisiva domanda: è dunque corretto parlare di “legge della
montagna” per spiegare la litigiosità spesso meschina dei grandi
alpinisti? ”Mah, in effetti, la montagna non ha né colpe né meriti: sta
lì, immensa, e subisce in silenzio e con distacco totale. Sono gli
uomini che trascinano in vetta e poi in tribunale le loro ambizioni e
meschinità.”
Sicché, si può finire, anche per gli alpinisti, sportivi eccelsi e
temerari, vige la legge universale: la legge degli uomini.
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