Seguendo gli appigli e il Canto delle Sirene
di Mauro Loss
Mauro: “Dario? Ciao! Volevo congratularmi con te!”
Dario: “Per cosa?”
Mauro: “Ieri ho ripetuto il tuo capolavoro e non so quale coraggio ti
abbia spinto a buttarti su per di li!
Bravo. Proprio bravo!”
Così inizia, o meglio, finisce la mia avventura tra le Sirene della Cima
Susat in Brenta.
La settimana di corso sta volgendo al termine e noi istruttori iniziamo
a fare programmi per la domenica quando, salutati gli allievi, saremmo
liberi di andare finalmente ad arrampicare.
Sono giorni che con Bruno pensiamo ad un progetto più volte rimandato.
Le condizioni meteo sono buone anzi ottime e la via, spesso bagnata nel
suo tratto chiave, ora è asciutta.
Tutto sembra a posto ma questa volta è la nostra testa a non essere
sintonizzata correttamente su una via che richiede ingaggio sicuro e
lotta con l’Alpe.
La parete ci guarda ogni mattina, ci abbraccia solare, invitante e
sembra dirci “Sono qui. E’ tutto ok. Non rinunciate! Sono pronta”.
Non conosco, o meglio non ricordo, il motivo di questa mia ostinazione.
È da tanto che faccio la corte a questa via di Claude Barbier e proprio
ora che la possibilità è così concretatamene vicina, qualcosa dentro di
me mi trattiene.
Ma non sono l’unico: anche Bruno è stranamente titubante.
I nostri conciliaboli si fanno sempre più serrati.
Cerco Bruno durante il giorno e lo trovo fisso a scrutare la parete,
così come capita a me nei momenti liberi o di minor occupazione.
Vogliamo ma non siamo convinti.
E così cerchiamo l’uno nell’altro qualcosa che accenda il nostro
desiderio e faccia sparire timori e perplessità ma non c’è nulla da
fare: la Barbier-Masè aspetterà.
Anche la parete sembra capire la nostra paura e al mio sguardo, ora
sereno e sollevato, pare rispondere con un gran sorriso.
Dopo cena ci ritroviamo: ormai è deciso, sarà per un’altra volta.
Non ci resta che cercare un’alternativa che ci aggradi.
Bruno mi guarda e dice: “So che hai un desiderio mai esaudito. Se
vuoi …”.
Capisco subito a cosa sta pensando e accetto volentieri.
So e sappiamo di aver rinunciato ad una battaglia ma, al contempo, siamo
consapevoli che ciò che ci aspetta non sarà cosa facile.
L’indomani facciamo colazione con calma e dopo aver preparato il
materiale, ci avviamo per il sentiero.
La parete, esposta ad est, è già baciata dal sole e ciò la rende lucente
e splendida.
Una cantilena lenta e quasi impercettibile inizia a risuonarmi nella
testa e, non appena possibile, con la scusa di togliermi il maglione, mi
fermo e alzo lo sguardo verso la parete.
Il canto si fa sempre più forte, insistente.
Rapito da quella melodia, cerco la nostra linea di salita: non solo non
la trovo, ma non la intuisco nemmeno, nonostante la parete sia lì
davanti a me, chiaramente visibile.
Riprendo a camminare, questa volta con più foga, seguendo quel suono che
mi ronza nella testa, sempre più martellante, sempre più travolgente.
In breve siamo all’attacco.
I preparativi sono veloci, fatti di gesti rapidi, consueti e semplici.
Bruno, sapendo che non mi piace partire, si sistema il materiale
sull’imbrago e, quasi senza fiatare, parte.
Il Canto melodioso che mi aveva accompagnato sul sentiero
d’avvicinamento si fa più forte e, risuonando nelle mie orecchie,
aumenta la mia voglia di partire ma Bruno non è ancora in sosta.
Scalpito, ma attendo paziente.
“Sosta!”.
Ecco la parola magica tanto attesa.
Ora tocca a me.
Si parte.
Arrivato in sosta le solite poche battute, i soliti gesti.
È strano come cambiano i compagni, ma i gesti e le parole restano gli
stessi.
Pochi, semplici e ripetuti.
Alzo lo sguardo e cerco la via da seguire.
Sopra di me un’immensa lavagna gialla e grigia.
Smarrito, guardo Bruno, guardo la relazione ma è il Canto a venirmi in
aiuto, a guidarmi, quasi in trance, verso una breve fessurina gialla,
dove, come per incanto, una nota più felice sotto forma di uno.. due...
tre chiodi mi dice che sono sulla strada giusta.
L’armonia del Canto accompagna il mio procedere, sono sempre più in
sintonia con la parete, con la roccia, tanto che quasi non sento la
fatica della salita.
“Sosta!”
La melodia si quieta, si può riposare.
Lo sguardo corre al muro giallo sopra la sosta e il pensiero vola a
Dario, a dove abbia trovato il coraggio per buttarsi su di lì, dove
nulla sembra indicare una possibile via d’uscita.
Intanto Bruno mi ha raggiunto.
Guarda su… un lungo sospiro... e poi parte verso il luccichio
rassicurante di un chiodo.
Ed ecco nuovamente il Canto dolce e piacevole che mi accompagna mentre
faccio sicura e lo guardo salire verso non so che.
Bruno sale piano e circospetto, passo dopo passo, senza mai fermarsi.
Lo osservo senza riuscire ad individuare la meta di quel procedere:
nulla indica che ci sia un qualcosa verso cui puntare.
Dopo un lungo tempo, però, ecco un grido:
“Sosta!”
Bruno è arrivato.
Dalla posizione in cui si trova lo immagino appeso ma poco dopo, lo vedo
togliersi le scarpette e recuperare la corda con facilità.
Com’è possibile?
La parete è così verticale da non lasciar supporre ci siano posti di
sosta confortevoli.
Eppure …
A distogliermi dai miei pensieri è ancora quel Canto continuo,
imperterrito e melodioso che mi prende, mi entra dentro al punto da non
riuscire a farne a meno e mi spinge con forza ad arrampicare ed
arrampicando diventa uno sprone, una piacevole e tranquillizzante
compagnia.
Salgo e mi accorgo che in realtà quella roccia giallo-grigia nasconde
con sapienza gli appigli, non si vedono ma ci sono.
Ed eccomi di nuovo da Bruno, di nuovo assieme un po’ più in alto e
sempre più dentro quel mare di roccia.
Stranamente su questa parete
uniforme e verticale le soste sono sempre discretamente comode.
Sono come piccoli atolli che appaiono all’improvviso dove tutto si
quieta, dove rilassarsi e riposare un po’, dove il Canto si fa meno
forte, meno assillante, meno presente.
Finalmente sopra di me un diedro grigio, svasato interrompe quel mare di
nulla.
30/35 metri di respiro, un attimo.
Un attimo breve per me che salgo da primo, un attimo fatto di minuti
interminabili per chi aspetta il suo turno in sosta.
Poi nuovamente e solo placche.
Spetta a Bruno avviarsi in questa distesa gialla dove la via non si
vede, dove la via si deve ricercare con pazienza e tranquillità dove,
solo il Canto e le Sirene che ne sono le artefici, guidano alla ricerca
degli appigli.
"Sosta!”
E il Canto subito aumenta.
Diventa una presenza quasi palpabile anche se per me seguire la via è
più facile la corda, il cordone ombelicale che mi lega a Bruno, fa da
guida assieme a quelle Sirene che talvolta, quando sono in difficoltà,
mi sembra addirittura intravedere, farmi segno, indicarmi la strada.
Ora la roccia cambia colore.
Il giallo solare e il grigio lucente lasciano spazio al tetro nero.
Affronto deciso il muro di roccia scura e lavorata dall’acqua verso cui
il canto delle Sirene mi invita ad andare e che mi conduce fuori dal
mare di placche giallo-grigie.
La parete si abbatte, le difficoltà calano e un canale erboso indica la
strada per il nostro approdo finale: la cima.
Il Canto mi accompagna ancora ma ora è più soffuso, più lontano, si fa
fatica a distinguerlo.
Poi un sasso rotola nel canale a lato e un urlo: “Ehi! Fate
attenzione. Qui sotto c’è gente!”.
E con esso il Canto con la sua armonia melodiosa e rassicurante, si fa
sempre più debole sempre più lontano.
Siamo in cima e la cima fa svanire definitivamente l’incantesimo
ammaliatore delle Sirene.
All’orizzonte, solo nuvole che solcano veloci il cielo della Val d’Ambiez
e il tetto rosso fuoco del Rifugio Agostini.
Stringo la mano a Bruno e dico “Berg heil!” e sottovoce, aggiungo: “Grazie,
grazie di avermi regalato un sogno”.
Ora giù verso il rifugio, verso la meritata birra, verso la
pastasciutta, verso casa, verso il momento in cui abbraccerò,
sorridendo, Renata e, con ancora un melodioso canto nelle orecchie, le
darò un bacio.
Dario: “Quale capolavoro?”
Mauro: “Il Canto … Bello. Davvero bello. E non capisco come tu abbia
fatto in quel mare di roccia a trovare la via...”
Dario: “Beh, ho seguito gli appigli…”
Chapeau Dario. Chapeau.
Mauro Loss
Trento.
Agosto 2010
Gruppo
del Brenta
Cima Susat
Parete Est
Via Il Canto delle Sirene
Difficoltà: VI+, VII
Lunghezza: 300 metri
Bella
salita su roccia compatta che sale a destra della via Colonia lungo una
parete aperta triangolare. La via inizia in prossimità di una placca
grigia sovrastata da un diedrino (chiodo alla partenza).
ACCESSO
GENERALE
Da Baesa (alla periferia di San Lorenzo in Banale) si percorre per
mulattiera la selvaggia Val d'Ambiéz. Il sentiero passa per il Rif. Al
Cacciatore (1821m), quindi prosegue (segnavia 325) risalendo per
ghiaioni fino al Rifugio Agostini (circa 3 ore).
ACCESSO
Dal Rif. Agostini si segue il sentiero che conduce alla ferrata
Castiglioni (321), deviando poi fino alla parete (ometto alla partenza).
DISCESA
La discesa si effettua lungo la via attrezzata.
MATERIALE
1 corda da 60 metri, 12 rinvii, fettucce.
[Note tratte dal sito
Planetmountain.com]
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