La cordata pilota
di Gabriele Villa
Quella mattina di
agosto stavo per accingermi
alla trentatreesima ripetizione della via Ardizzon al Trapezio del
Piccolo Lagazuoi, l'arrampicata che ho ripetuto maggiormente nelle mie
frequentazioni di Passo Falzarego e dintorni.
"Ammazza, che noia" - potrebbe pensare qualcuno e invece no, mi
sono divertito anche quella volta, come sempre del resto e, pur se nulla
ho scoperto di nuovo dal punto di vista tecnico ma piuttosto fatto
ginnastica, ugualmente è una salita che ho continuato a ricordare
piacevolmente al punto che, alla fine, mi è venuta voglia di
raccontarla.
Eravamo in tre ad andare all'attacco della via quella mattina
e tra i tre c'era Roberto, un amico "fresco fresco", frequentato per la
prima volta un mese e mezzo prima in una ricognizione per una gita CAI
al Corno alle Scale, sull'Appennino Bolognese, che avremmo dovuto
organizzare assieme ai primi del mese di ottobre.
Quella gita di ricognizione aveva trasformato la nostra conoscenza
superficiale avvenuta nell'ambiente del CAI Ferrara in una promettente
amicizia che ora aveva occasione di consolidarsi in un'arrampicata di
cui Roberto aveva avuto esperienza frequentando un corso di alpinismo
del CAI di Bologna e a cui non aveva dato altro seguito.
Gli
avevo decantato le
peculiarità della
via Ardizzon, prima fra tutte la versatilità, perché scostandosi dalla
linea di salita di pochi metri si sarebbe potuto realizzare un percorso
facile-facile (terzo grado con passaggi di quarto grado), fino ad
arrivare ad un percorso più impegnativo, senza troppo eccedere (tratti
di quarto superiore e passaggi di quinto meno): avremmo valutato e
scelto insieme il da farsi durante la salita stessa.
Sembrava che quel giorno non ci fosse la solita confusione sulla parete,
solo un paio di persone erano nei pressi dell'attacco, ma mentre noi ci
saremmo avvicinati camminando con calma, loro sarebbero saliti avanti.
In effetti, non fu così e quando arrivammo i due stavano ancora guardando
in su e notai nelle mani di uno di loro un foglietto plastificato nel
quale riconobbi subito una delle schede della raccolta "Primi passi da
capocordata"; ci chiesero della via Ardizzon e confermammo che era
proprio lì dove erano loro, presso l'inconfondibile riga nera più a
destra.
All'improvviso si materializzarono anche due valchirie tedesche, anche
loro sembravano ambire alla stessa nostra salita e la tranquillità che
avevamo sperato di avere in parete pareva improvvisamente svanire.
La presenza di Roberto
mi sconsigliava di cambiare itinerario perchè
avremmo alzato le difficoltà tecniche sulle quali si era trovato
l'accordo e non avrei mai voluto risvegliare i "gatti" (lui li chiama
così) che gli erano girati nello stomaco alla vigilia della scalata.
Le due valchirie sembravano grintose e così (ma non ricordo come, non
spiccicando io una sola parola di tedesco) provai a "deviarle" sulla
riga nera alcuni metri più a sinistra le cui difficoltà sono mezzo grado
in più rispetto alla Ardizzon; dovetti essere convincente perchè
accettarono il mio suggerimento e così ci mettemmo a prepararci con calma
mentre gli altri nel frattempo erano partiti.
Si poteva notare che il capocordata era un po' titubante e la conferma
arrivò quando, dopo essere salito una decina di metri, passate le corde
dentro al moschettone di un rinvio chiese all'altro di calarlo a corda.
"Queste sono le tue difficoltà, Vittorio, non le mie" - disse al
compagno non appena fu arrivato a terra.
Così Vittorio si preparò, ma intanto ci invitò a partire, visto che
oramai eravamo pronti, e che loro avrebbero preferito seguirci dal
momento che
non conoscevano molto le Dolomiti, venivano da Urbino ed erano su per
una breve vacanza.
Così partii mentre Roberto mi faceva sicura, potendo apprezzare da
subito i vantaggi della cordata a tre, che... se suona il cellulare a un
secondo di cordata ce n'è sempre un altro che può farti sicura.
Era proprio una bella giornata, si stava bene anche in maglietta e la
roccia del Trapezio è veramente di ottima qualità,
con il pregio che in via ci sono pochi chiodi e quindi ci si deve
proteggere autonomamente e ciò aumenta l'interesse dell'arrampicata e ne
accentua il sapore alpinistico nonostante non sia lontana dalla strada
di Passo Valparola.
Quando attrezzavo la sosta facevo in modo di lasciare posto anche per la
cordata che ci seguiva per agevolare Vittorio e così velocizzare le
manovre di assicurazione, poi ripartivo ad arrampicare e mentre mi
allontanavo sentivo le chiacchiere che si intrecciavano giù al
terrazzino.
La socializzazione tra le due cordate procedeva tiro dopo tiro e così
imparammo il nome anche dell'altro componente la cordata che si chiamava
Francesco e sembrava avere un po' risentito dello stress che aveva
patito nei primi metri che aveva affrontato da capocordata, prima di
rinunciare e farsi calare.
 
Intanto spuntarono anche le due valchirie tedesche che arrampicavano
qualche metro più in là e mi fecero cenno che la via che avevo loro
consigliato era "good" e che tutto procedeva "O.K.".
I tiri centrali della via Ardizzon offrono una bella arrampicata, mai
difficile ma nemmeno banale, e la roccia è di quelle sane con quel bel
colore grigio che dà l'idea della solidità e ti fa arrampicare
rilassato.
Oddio, a dire il vero c'è anche un passaggio un po' più "pizzichino",
subito sopra una sosta, che richiede un'ampia spaccata per uscire da un
accenno di nicchia; mentre salgo faccio vedere i movimenti a Roberto, ma
quando sarà la sua volta sentirò le corde "tirare" verso il basso,
chiaro segnale di un piccolo volo.
Quando arriva alla sosta gli chiedo cosa sia successo e mi racconta di
avere provato più a sinistra che gli era sembrato più facile, poi aveva
seguito i miei suggerimenti e così aveva imparato, ammette sorridendo,
che "bisogna sempre seguire i suggerimenti del capocordata".
Assorbito senza conseguenze il piccolo inconveniente proseguiamo
tranquilli, mentre dietro a noi segue la cordata di Vittorio e Francesco
di cui aspetto sempre l'arrivo alla sosta prima di far partire i miei
secondi, in rispetto a quel tacito accordo preso alla partenza quando ci
hanno fatto passare davanti, facendoci diventare la loro "cordata pilota".
Quella della "cordata pilota" era una tecnica abituale che si utilizzava
anche ai primissimi corsi roccia della sezione del CAI di Ferrara, quando
si inserivano come collaboratori giovani capicordata con poca esperienza
davanti ai quali saliva una cordata più esperta che così indicava loro
la via da seguire e i punti migliori in cui fare la sosta.
Era un'agevolazione di cui avevo usufruito pure io nel mio primo anno da
aiuto istruttore: era il 1976, la montagna era la Torre Piccola di
Falzarego e il capocordata della mia "cordata pilota"
era la grande
guida alpina Gino Soldà.
 
Intanto arriva la cima del pilastro che chiude a destra la sagoma del
Trapezio e da lì si vedono bene gli ultimi due tiri di corda da fare se
si decide di proseguire fino alla cengia superiore, cosa che propongo a
Roberto precisando che le difficoltà arrivano al quarto grado superiore,
ma "con una roccia stupenda", aggiungo come incentivo.
Mi sporgo all'indietro per fotografare Vittorio che arriva su sorridente
e fa un accenno di saluto e al contempo osservo Roberto che guarda di
continuo verso l'alto i due tiri che ci attendono, mentre Rita si è
seduta tranquillamente.
Non mi ci vuole molto a capire che, nonostante io cerchi di decantare la
bellezza dei due tiri che portano alla cengia superiore, probabilmente
Roberto ha visto nella cima del pilastro l'inizio... della discesa.
Credo sia una questione mentale piuttosto che fisica e quindi non
insisto oltre e decidiamo per la discesa, così facciamo una foto assieme
a Vittorio e ci accingiamo a traversare sulla cengia per raggiungere
l'anello di ancoraggio della corda doppia che si trova qualche metro più
in là e poco più sotto, su di un aereo terrazzino.
 
Capisco che Roberto ha apprezzato la
scelta e del resto il suo sorriso era un po' troppo "stampato" sul volto
per non essere eloquente più di tante parole: a buon intenditor... e
magari facciamo contenti pure Vittorio e Francesco.
Percorro la cengetta, rinvio le corde allo "spittone" lucido e scendo
per il breve caminetto che porta al terrazzino.
Lo "spittone" lo hanno messo di recente (un paio d'anni, se ricordo
bene) forse per proteggere quei pochi metri di discesa per arrivare al
terrazzino della doppia dove c'è una catena di tre anelloni su chiodo
cementato.
Sono in tanti che lanciano la doppia da sopra collegando due corde, ma
spesso è una fregatura perchè c'è il concreto rischio che il nodo di
giunzione si blocchi cinque metri sotto, sul bordo del ballatoio da cui
parte la doppia "vera".
Non si sta comodissimi in tre su quel piccolo terrazzino e allora
bisogna fare ancora più attenzione alle manovre di preparazione per
l'autoassicurazione prima di slegarsi dalle corde di cordata.
Vedo che Roberto se la cava bene e ha ben chiaro ciò che deve fare,
segno che ricorda le istruzioni che ha ricevuto al corso di alpinismo
del CAI di Bologna, io devo solo controllare, ma è quello che tutti
dovrebbero fare sempre quando si arrampica, controllarsi vicendevolmente
come comportamento base di sicurezza aggiuntiva.
Mentre Roberto scende sento voci provenire dall'alto e si affacciano al
camino Vittorio e Francesco che si apprestano ad attrezzare la corda
doppia dallo "spittone" unendo le due corde, li sconsiglio e li invito a
scendere al terrazzino dove sono io che non ci sono difficoltà e noi lo
stiamo liberando, ma non si lasciano convincere.
 
E'
Francesco che lancia prima una corda e dopo l'altra, mentre intanto è
Rita che a sua volta scende in doppia.
Dopo un po' ecco passare Vittorio e così ne approfitto per scattargli
una foto mentre scivola lungo le corde.
Rimango solo al terrazzino e intanto mi preparo l'autobloccante ma vedo
anche che le corde della calata degli amici di Urbino finiscono sui
bordi frastagliati del ballatoio, sarà molto improbabile che il nodo di
giunzione non si vada ad incastrare, così decido di attendere la calata
di Francesco per poter intervenire se ciò dovesse succedere.
Quando è sceso e i due iniziano il recupero, seguo il nodo di giunzione delle corde
che si avvicina al bordo e, constatato che si tratta di un doppio inglese e
non un nodo a ciuffo, non ho più residui dubbi su come andrà a finire.
Infine, il nodo si incastra e... hai voglia di tirare la corda dal
basso.
A quel punto una foto di documentazione è doverosa, poi disincastro il
nodo di giunzione delle corde, lo faccio passare sotto al bordo e grido
verso il basso di tirare e vedo le corde che riprendono a
scorrere.
 
Beh, ho
perso cinque minuti nell'attesa, ma di certo ho fatto una buona azione,
anche perchè a chi non si è mai incastrata una corda di calata?
Di solito si è obbligati a risalire e non sempre ciò lo si può fare in
condizioni di completa sicurezza.
Personalmente ne ricordo tre di corde incastrate e in due di questi casi
a risalire dovetti essere io e una di queste due volte fu senza poter
avere una sicura: piccole ma particolari esperienze che non si
dimenticano.
Alla fine scendo e ci troviamo tutti e cinque sulla cengia che,
traversando più o meno orizzontalmente, porterà fuori dalla parete,
scaricandoci sulle ghiaie alla destra del Trapezio.
Passo davanti a fare strada con un particolare occhio di riguardo a
Roberto, soprattutto nel tratto di roccette esposte, ma tutto va bene e
ci tiriamo fuori, oramai in vista delle ghiaie.
Segue Rita e poi Vittorio, ma Francesco non si vede, e ci chiediamo dove
sia finito.
Aspettiamo un pochino e poi decido di tornare sui miei passi e lo trovo
poco prima delle roccette, fermo che sta brontolando contro se stesso
per essersi cacciato in quella situazione, imprecando contro la palestra
che "fai solo delle difficoltà, ma alla fine non impari niente...",
contro le Dolomiti che "sono belle ma a me non mi vedranno più".
Mi dice che sta pensando di piantare un paio di chiodi per buttare giù
una doppia, ma lo sconsiglio vivamente, gli dico che il tratto esposto è
breve e che se vuole ci si può anche legare, ma pure che se si mette
tranquillo lo facciamo pian piano e ce ne andiamo fuori in ancora meno
tempo.
Si lascia convincere e pian pianino percorriamo il tratto esposto,
raggiungiamo gli altri e in poche decine di metri ancora siamo sulle ghiaie e
caliamo verso il Passo Valparola chiacchierando finalmente rilassati.
Ad un certo punto ci separiamo scambiandoci gli indirizzi e-mail e una
(vaga?) speranza di rivederci.
Penso che la via Ardizzon e il Trapezio mi hanno regalato un'altra bella giornata
sulla loro parete, ore intense e spensierate e in più il piacere di
essermi sentito utile a qualcuno, restituendo un poco di quello che
altri hanno dato a me oramai chissà quanti anni fa in occasioni simili,
quando ero poco più di un volonteroso apprendista scalatore.
Gabriele Villa
Piccolo Lagazuoi, Trapezio, 23 agosto 2010
Ferrara, 30 maggio 2011
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