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Seguendo orme antiche

 

 di Gabriele Villa

 

Guardo verso l’alto, soddisfatto.
La forcella delle 5 Dita è lassù, trecento metri più in alto; i primi cento di sentiero ripido fra blocchi, sassi e pietrisco, a seguire duecento di ghiaione, discesi in sette, otto minuti di salti e scivolate, quasi come se si stesse sciando.
Lo stesso tratto in salita stamattina, ci era costato un’ora di tempo e fatica.
Guardo verso il basso, soddisfatto.
I miei vecchi “Colorado I”, alla quarta risuolatura, recuperati per l’occasione dal fondo del ripostiglio di casa, hanno fatto, una volta di più, il loro dovere e la discesa del ghiaione è diventata un vero piacere, senza alcuna conseguenza per le caviglie. Adesso il colore della pelle scamosciata non è più rosso, ma quasi grigio, per effetto della polvere del ghiaione che vi si è stesa sopra come una patina. Li avevo usati l’ultima volta oramai tre anni fa, per andare al Monviso; li ho riusati oggi per la salita a Punta Grohmann, una cima di 3126 metri.
Marco, il compagno di cordata di oggi, arriva al mio fianco con gli ultimi balzi lungo il ghiaione; anche i suoi scarponi sono diventati grigi, esattamente come i miei.
E’ passato un anno da quando si presentò alla sede della Sezione con la passione per la montagna e la voglia di arrampicare stampate sulla faccia: sembrava strano che lui, studente universitario a Ferrara, veneto della zona di Adria, quasi “lagunare” d'origine, avesse una passione così forte per le crode. Poche uscite in falesia durante la primavera scorsa ed alcune arrampicate in Dolomiti ne hanno rivelato anche le buone capacità tecniche e l’affidabilità.
La salita a Punta Grohmann è stata un pò banco di prova per la nostra recente cordata, la prima di più ampio respiro rispetto alle solite che abbiamo portato a termine fino ad ora, perchè questa montagna è veramente imponente e non sfigura per niente anche a fianco dell’ancora più imponente Sassolungo.
Nelle dieci ore di impegno necessarie a raggiungerne la cima e ridiscendere ho potuto riprovare sensazioni di sapore “antico”, quelle tipiche delle vie con pochi chiodi vecchi, anche arrugginiti, nelle quali ti devi arrangiare sia a proteggerti che a trovare la linea di salita più logica e sicura.
Oggi, ad esempio, abbiamo seguito una via aperta addirittura nell’estate del 1899 da un certo Franz Fistil. Noi, invero, avremmo voluto percorrere la via normale della cresta, quella del camino Enzensperger, ma abbiamo confuso la Torre Sud con la Prima Torre e quindi ci siamo trovati su di un’altra linea di salita sulla quale abbiamo proseguito stante la sua logicità.
Abbiamo così salito il camino Fistil, ricongiungendoci in alto alla via normale e ci siamo immaginati questi pionieri di fine ottocento con le loro corde rudimentali e null’altro, perchè chiodi e moschettoni erano ancora di là da venire.
Tanto di cappello a questi pionieri dell’alpe.
L’arrampicare con i miei vecchi scarponi, oggi, mi ha riportato indietro nel tempo, non certo alla fine dell’ottocento, ma agli anni in cui si parlava meno di numeri che quantificavano le difficoltà tecniche e più di montagne sulle quali si andava per seguire le tracce dei “grandi predecessori”, alla ricerca di linee logiche di salita piuttosto che di file di spit luccicanti al sole.
Non sciocca nostalgia intendiamoci, ma la piacevole riscoperta di sensazioni conosciute seguendo quelle tracce che lasciavano idealmente gli scarponi con la suola a “carrarmato”, orme antiche, così come quelle lasciate oggi dai miei Colorado I sul sentiero terroso che attraversa la Città dei sassi al Passo Sella.

Gabriele Villa

Ferrara, 9 settembre 2004