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Il valore di una sconfitta

di Cristiano Pastorello



…tempo, maledetto tempo tiranno; si lavora, si torna a casa stanchi, a volte non si ha nemmeno la voglia di andare ad allenarsi ed intanto lui passa, scorre.

È vero che le Dolomiti son sempre lì, ferme, almeno per le nostre percezioni umane, ma noi cambiamo e magari perdiamo la convinzione di poter fare certe cose… questi erano i pensieri che mi assillavano mentre rientravo dopo un week end di lavoro quando squilla il cellulare: “Ciao Balota, com’è? Dopo il granito di Yosemite hai voglia di dolomia? Ok, dai, sabato prossimo si combina qualcosa, magari in Vallaccia”…

Ecco fatto, sperare di fare una classica è da escludere in partenza.
Daniele in questo periodo lavora in Val di Fassa e così mi ritrovo in macchina, a guidare senza ancor conoscere l’obiettivo della giornata, non più abituato a fare certe levatacce.

L’appuntamento è al parcheggio da dove parte il sentiero per il Bivacco Zeni; al primo spiazzo noto un furgone con un gran caos dentro ed un assonnato Daniele che tenta di farsi un caffè, spengo il motore e nemmeno il tempo di smontare che arriva un’altra auto, Enrico (Balotin)… oddio cosa andremo a fare?

Rapida consulta... Daniele ci guarda sornione e “…ma …mi hanno detto che il Canto del Cigno è bella…”.

Porca vacca, lo sapevo, va bè, tanto non potevo sperare in qualcosa di tranquillo.
Il problema è che chi l’ha fatta la paragona niente meno che al Pesce in Marmolada.

Prepariamo il materiale e partiamo in direzione della Piramide Armani e mi trovo a riflettere su quanto strano sia a volte il procedere delle cose.

Infatti, per il secondo anno consecutivo, senza aver pianificato nulla, dopo un po’ che non ci vediamo, la prima via insieme della stagione la percorriamo in Vallaccia.
Quest’anno però c’è Enrico al posto di Tommaso (che comunque ci osserverà per tutta la salita con il binocolo).

Arriviamo all’attacco e Daniele ci chiede di poter partire, chissà cosa avrà trovato di attraente in quella placca iniziale bagnata e pure marciotta, comunque si macina quattro tiri per nulla banali e come vuole la migliore tradizione di Maffei – Leoni – Frizzera, praticamente senza chiodi.

Ridendo e scherzando (io ed Enrico, Daniele faceva fatica) arriviamo sotto il tiro chiave della via, tiriamo a sorte e... olè, per il secondo anno di fila, sulla stessa parete, mi tocca sorbirmi il tiro più ostico.
Ho già difficoltà a capire da dove si parte dalla sosta per arrivare ad una serie di fessure che sembrano buone; mi alzo su roba piccola, metto un microfriend, poi prendo una lametta laterale, carico i piedi in alto per arrivare alle fessure e bang… si rompe l’appiglio, il microfriend rompe il buchetto dove l’avevo messo e mi ritrovo aggrovigliato ad Enrico sulla cengia, con Daniele che ci guarda un po’ sconcertato.

Mi alzo, vedo che è tutto ok, guardo gli altri due e capisco che in quel giorno non mi sarebbe potuto capitare nulla, mi sentivo praticamente immortale.
Altri quattro sono stati i voli lungo il tiro per tentare di passare ed alla fine sono arrivato in sosta… distrutto.

Poi il resto è storia con Enrico che si sciroppa gli ultimi tiri, sempre molto aleatori in fatto di protezioni e con un’arrampicata delicata e di ricerca.
Avevamo risolto una delle vie mitiche delle Dolomiti, una via poco ripetuta e che incute soggezione, poi la paragonano al Pesce… ecco per l’appunto, il Pesce.

È sempre così, ci sono certe cose nella vita che reputi impossibili e poi le congiunzioni ed i fatti che ti accadono ti portano a riconsiderare le tue posizioni e anche quello che si riteneva troppo distante d’improvviso appare vicino, a portata.

L’idea parte un po’ sorniona, con qualche messaggio al cellulare più scherzoso che convinto, poi da cosa nasce cosa e ci troviamo un venerdì sera al parcheggio di Malga Ciapéla.

Poche salite le avevo preparate così meticolosamente, le due notti precedenti non avevo praticamente dormito per la tensione, avevo una strana sensazione di paura/attrazione nei confronti di questa pietra miliare dell’alpinismo dolomitico e dell’arrampicata in genere.
Tento di sopire l’agitazione cercando di dormire almeno un paio d’ore prima della partenza, quando vengo svegliato da un temporale che butta giù una valanga d’acqua… speriamo di non trovare la parete bagnata.

La sveglia suona alle 3.30, saltiamo fuori dal furgone, mettiamo qualcosa sotto i denti e poi via verso la nostra parete, dietro a noi ci sono anche Ale e Matteo che tenteranno di ripetere la vicina Fortuna.

Porco cane è inizio agosto, ma fa un freddo "becco" e nemmeno i 1000 metri di dislivello tra il parcheggio e la base della Regina riescono a scaldarmi.
Poi c’è un vento gelido che scende dal Passo Ombretta che rende l’ambiente tutt’altro che estivo.

Aggiriamo il primo tiro marcio e difficile per la cengia e così ci troviamo sotto la prima fessura a lama.
Sto per partire quando un boato che viene dal Passo ci costringe di riflesso a buttarci dentro una nicchia.
Una frana, staccatasi dalla parete investe il Passo con un’enorme nuvola di polvere… sarà forse un avvertimento?

Comunque partiamo, il primo tiro mi impegna non poco, è bagnato ed ho le dita delle mani e dei piedi completamente congelate.
Ovunque c’è il sole fuorché sopra di noi, velato dalle nuvole e poi c’è 'sto vento malefico.

Proseguiamo lungo il diedrino che porta sotto l’inizio delle placche ed intanto Enrico e Daniele cominciano ad accusare dolori intestinali, (tra me e me penso che ho fatto bene a non mangiare il contenuto di quella busta di indubbia provenienza!).

I tiri di placca sono bellissimi, non c’è molta roba, ma comunque si integra con tricam e clessidre, ma cavolo sto freddo ci sta facendo soffrire.

Il traverso verso sinistra è completamente bagnato e ci impegna non poco, ma fatto quello ecco comparire il mitico diedro svaso.

Dire che ero emozionato sarebbe riduttivo; quei passaggi li avevo visti in migliaia di foto, letti nei racconti di chi aveva percorso quella via mitica ed ora potevo accarezzarli con le dita.

Enrico è bravissimo, usa qualche cliff e arriva in sosta.
A me tocca il tiro per arrivare nella nicchia, bello ben proteggibile e finalmente al sole e quando approdo nel ventre della balena mi sembra di vivere un sogno, con la Civetta che da lontano sorveglia, fiera ed arcigna.

Però non tutti i sogni si avverano, ci mancano ancora 4 tiri, due dei quali duri, siamo stanchissimi, svuotati dal freddo e dal vento e sono quasi le 17.00.

Ci guardiamo in faccia e senza dire nulla buttiamo le doppie.
Passiamo dal Falièr dove ci concediamo una pasta ed una birra ristoratrice e dove trovo alcuni amici che il giorno dopo si cimenteranno sulla Vinatzer.

Ho solo voglia di andare a casa, di raggiungere mia moglie e mia figlia in montagna, dove stanno passando le vacanze.

Arrivo alle due di notte e subito mi prende un sonno di quelli pesanti e tranquilli.

La mattina mi sveglio con una giornata stupenda, calda, subito mi assale un po’ di rammarico pensando che era quello il giorno giusto per tentare la salita, ma poi, tenendo la mia bimba tra le braccia, ho realizzato che quello è stato sicuramente il mio insuccesso più bello.
 

Cristiano Pastorello
Verona, 30 dicembre 2008

 
 Via "Canto del Cigno" alla Piramide Armani

 Sasso delle Undici, Vallaccia

 Prima salita: Graziano Maffei, Mariano Frizzera, Paolo Leoni

 Anno: 1983

 Sviluppo:450 metri

 Difficoltà:IX- 

 

 

 
 Via Attraverso il Pesce

 Marmolada, parete Sud

 Prima salita: Igor Koller, Jindrich Sustr

 Anno: 1981

 Sviluppo: 900 metri

 Difficoltà: IX-