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Una Sud che non è una Sud

di Mauro Loss

 

Tra me e Adriano non c’è mai stato bisogno di parlare molto, le nostre telefonante, specie quando dobbiamo andare ad arrampicare, sono rapide e concise: il nome della via, la cima, un cenno alle difficoltà e poco altro.

Quel pomeriggio di fine luglio però qualcosa di strano c’è stato. Di solito sono io che telefono e propongo, questa volta invece è Adriano che chiama e mi da l’input.

Parla di Campanile Basso e di quella che molti considerano il capolavoro di Marino Stenico: la diretta alla parete Sud. In realtà fa un po’ sorridere parlare di sud sul Campanil Basso, costretta come è dalla vicina parete nord di cima Brenta Alta, prende poco sole e lo stretto canale sempre innevato (sempre meno a dire il vero) contribuisce a rendere la temperatura rigida anche in piena estate.

La cosa mi intriga: è molto che non scalo più la montagna per antonomasia di noi trentini, ma domenica sera inizia pure il corso estivo di roccia al rifugio Graffer ed io, per alcuni giorni, sarò uno degli istruttori e poi dovrei essere presente per l’inaugurazione…. 

Questo complica un po’ la logistica ma qualcuno disse … “volere è potere” e quindi ecco la soluzione: Adriano riesce a far salire il materiale con la teleferica del rifugio Pedrotti, servirà a qualcosa aver passato alcune estati della sua gioventù a lavorare lassù, mentre io lascio gran parte di ciò che mi servirà durante il corso ad altri istruttori, la troverò al rifugio la domenica sera.

Nel tardo pomeriggio di sabato, dopo una bella giornata passata al lago di Molveno, salutiamo Renata, Pierangela e i bambini che ci hanno accompagnati al rifugio Croz non prima di aver ricevuto da Nicola la relazione della via. 

L’avevo già preparata e messa nello zaino ma non dico nulla. Il suo gesto mi commuove, Nik parla poco ma non mi lascia mai solo con suo padre, è sempre in mezzo a noi vuole sapere e sentire tutto e il fatto che senza dire niente si sia procurato la relazione, l’abbia fotocopiata e rilegata per benino mi fa sentire molto vicino a questo ragazzino.

Partiamo leggeri il materiale è al rifugio, il posto per dormire è prenotato, unica preoccupazione il meteo che prevede probabili scrosci verso sera e nella notte. Ci avviamo fiduciosi ma poco dopo il Bait dei Massodi, recentemente ristrutturato dalla locale associazione cacciatori, il cielo ormai più scuro e tenebroso lascia presagire cosa sarà da lì a poco. Allunghiamo il passo ma nei pressi del laghetto il temporale non ci dà scampo, per fortuna la temperatura è buona e un po’ d’acqua non ha mai fatto male a nessuno. 

Il tutto dura poco più di 20 minuti, sufficienti per inzupparci per benino, quando giungiamo al rifugio non piove più, il cielo si sta aprendo e le nuvole scure si sfaldano lasciando spazio ad ampi squarci di un vivace azzurro che pian piano si tinge dei colori rossastri del tramonto e che ben lasciano sperare per il giorno successivo.

Ci cambiamo e dopo aver salutato Claudio e Fortunato siamo seduti in sala per la cena. Un piatto di canederli in brodo e una “codoma” (scodella) di insalata ci aiutano a dimenticare la fatica della salita mentre le chiacchiere fatte con amici incontrati al rifugio ci accompagnano fino alle 22.00, ora canonica in cui nei rifugi si spengono le luci.

Come spesso accade la mattina anticipiamo entrambi la sveglia e dopo colazione recuperato il saccone, organizziamo e dividiamo il materiale e quando partiamo siamo soli sul sentiero accompagnati da un cielo azzurro interrotto solo da poche piccole nuvole. Giunti alla base del grande colatoio che scende dalla Bocchetta del Campanile Basso, sotto un sassone, lasciamo il mio zaino, lo recuperò il pomeriggio quando, una volta scesi io proseguirò lungo la Val Brenta alla volta del rifugio Graffer e Adriano tornerà verso casa a Molveno.

Risaliamo faticosamente il conoide ghiaioso, il silenzio è rotto solo dal nostro ansimare e dai sassi che muoviamo nel salire dopo poco, in vista della base del campanile, ci giungono inconfondibili i comandi che ci si scambia tra compagni di cordata. È questione di un attimo e siamo entrambi fermi a scrutare la parete per capire da dove provengono. Notiamo, dopo poco cercare, alcune cordate già impegnate sulla via Ferhman.

Proseguiamo lungo il colatoio ora interrotto da alcune facili balze rocciose che rendono il nostro incedere più sicuro, più spedito e che in breve ci portano sulla comoda cengia d’attacco. E’ fresco e il sole sta già baciando con i suoi primi raggi la parte terminale del campanile, mentre per noi resterà una chimera e l’ombra sarà la nostra compagna per l’intera salita.

La via sale diritta in mezzo ad un mare giallastro seguendo un marcato, pronunciato e lungo diedro che ne tratteggia tutta la prima parte, non appare bagnato come ci saremmo aspettati ma la stagione primaverile e l’inizio dell’estate sono stati poco piovosi. Meglio. Un problema in meno e soprattutto una difficoltà in meno.

Adriano si prepara, anche questo è un dato di fatto: io non parto mai! Lui lo sa e quindi sta a me preparare e controllare le corde mentre lui sceglie il materiale e lo dispone accuratamente sul porta materiali.

Il primo tiro è corto, d’assaggio e ci porta dritti alla base del lungo diedro grigio che caratterizza la prima parte della via. Si comincia a fare sul serio ma siamo concentrati; in alto, il limitare del sole si abbassa e scherza con noi, è lì vicino sembra di poterlo toccare con mano ma al contempo è lontano. Non lo raggiungeremo mai, ci prenderà in giro tutto il giorno, ci farà assaggiare il suo calore ma sarà sempre e solo per brevi momenti poi l’ombra e il frigido torneranno a farla da padrone.

Ecco che provo sulla mia pelle tutto quello che avevo sempre pensato di questa parete tutte le volte che passando sulle bocchette mi fermavo a scrutarla, a cercare, a seguire le varie cordate impegnate, che si tratta di una sud che non ha nulla della sud …. Insomma che assomigli molto più ad una nord.

La salita prosegue senza intoppi dopo il lungo diedro grigio una serie di fessure e diedri biancastri mai banali talvolta delicati ci portano alla strapiombante parete finale.

Un muro di 100 metri dove la libera si mescola all’artificiale ma qui la chiodatura si rivela essere abbondante, un misto di chiodi normali e di chiodi a pressione alcuni artigianali e altri originali, alcuni più affidabili altri meno.

L’artificiale toccherebbe a me ma la sosta al termine del primo tratto su questo muro strapiombante, è molto aerea, precaria e scomoda tanto che renderebbe difficoltoso il riuscire a svincolarmi dalla sosta e il ripartire e quindi tocca ad Adriano. L’artificiale non è il suo forte ma quando si deve ballare si balla e se la cava più che bene, il tiro è lungo e dopo una partenza difficile in cui ora un nostro chiodo renderà più semplice e sicuro l’alzarsi da questa sosta un po’ così così, rimaniamo senza rinvii tanto che Adriano deve arrangiarsi disfacendone e recuperandone altri.

Dopo un tempo infinito lo vedo traversare a sinistra, il lungo strapiombo è finito, la sosta è vicina tra poco toccherà a me ma il restare in sosta così a lungo mi ha infreddolito e faccio fatica a ripartire, tutto è macchinoso mi sento impacciato non sciolto come pensavo di essere su di un tiro di artificiale lungo ma con una chiodatura regolare e tutto sommato più che buona. 

Pian piano mi rianimo e tutto riprende a funzionare a dovere e con un breve intenso traverso raggiungo Adriano in sosta. Sotto di noi, sulla sinistra l’Albergo al sole e sopra la muraglia nera articolata e calda della parete Meade un tiro e poco più ci separano dalla cima ma le difficoltà sono finite e la tensione si stempera.

In cima una stretta di mano, una sbirciata e la firma sul libro di vetta e…. non possiamo dimenticarcelo … dobbiamo telefonare a casa, abbiamo promesso a Nicola di fargli sentire le campane!

Poi di nuovo concentrati la discesa non è difficile ma le doppie sono sempre manovre insidiose e quando l’adrenalina e la tensione diminuiscono è facile sbagliare e commettere degli errori.

Siamo soli e quindi veloci, solo sul finale incontriamo tre ragazzi di ritorno dalla normale, poche parole di convenevoli e poi nuovamente giù lungo la parete Pooli e le Bocchette, ora si che siamo tranquilli. Ci scambiamo le impressioni sulla via ma so che ne riparleremo, ora dobbiamo farle nostre poi avremo tempo per scambiarci pensieri e impressioni.

In breve siamo alla fontanella là dove parte la via Graffer alla ovest di cima Brenta Alta, una sosta per bere e per le ultime raccomandazioni poi ci dividiamo io verso il rifugio Graffer e Adriano verso la Bocca di Brenta e Molveno.

Sono solo sul sentiero non incontro nessuno e penso sia così pure per Adriano sono quasi le 18.00 sto arrivando al Brentei, non mi fermo la strada è ancora lunga, nella mia mente rivivo le ore passate in parete, i movimenti fatti, i passaggi superati, le sensazioni provate mi sembra di vivere un "déjà vue" che mi aiuta mentre cammino da solo sul sentiero che mi porta verso il Graffer.

Ci arriverò stanco ma felice verso le 20.00 giusto giusto per ora di cena, ho mancato l’inaugurazione del corso come il mio ruolo di direttore mi imporrebbe ma ho un valido motivo per giustificare il ritardo e complice anche una birra, i miei colleghi mi perdonano.

Mauro Loss
Trento, estate 2007

Campanil Basso – Gruppo di Brenta
Via Marino Stenico e Milo Navasa
Prima salita: 24 e 25 luglio 1962
Dislivello 380 metri – 14 lunghezze
Difficoltà: V, VI, A0 e un tiro di A1 e A2