Quel
giorno sulla ... ZAGOST
di
Gabriele Villa
La
premessa
Ci
sono quei giorni, e chi non lo ha provato almeno una volta?, in cui tutto
fila per il verso giusto e le circostanze sono fortunate. A volte la
fortuna è soltanto quella di essere nel posto giusto con le persone
giuste e in sintonia d’intenti. Alla fine della giornata viene da
pensare: "che bello se fosse sempre così". L’esperienza, però,
insegna che sono giornate rare. Proprio per quello il ricordo rimane vivo
a distanza di tempo. La giornata della "ZAGOST" è stata una di
quelle.
L’antefatto
Non è
facile da spiegare, ma proviamo ugualmente a farlo.
Tutto comincia con un corso di alpinismo.
Quando inizia un corso ci sono almeno trenta persone che mai si erano
viste prima nella vita le quali si incontrano e stanno insieme due mesi
condividendo un’esperienza "forte". I caratteri si
confrontano, nascono simpatie, amicizie, solidarietà …insomma, quello
che gli esperti chiamano dinamiche di gruppo.
Capita che si formi qualche gruppetto particolarmente affiatato, magari
molto eterogeneo, però unito. E’ quello che è capitato al gruppetto di
cui parleremo.
Due ragazze autodefinitesi "pikkiatelle" che hanno cementato in
fretta un saldo rapporto di amicizia fatto di comuni esperienze di vita
(forse anche negative), un pensionato sportivo del tipo "ho lavorato
una vita facendo sport nei ritagli di tempo, adesso che non lavoro più
faccio anche quello che non ho mai fatto prima", un giovane
talentuoso con buone capacità atletiche che "mangia" vie su vie
cimentandosi come capocordata, un istruttore che sta attraversando un
periodo "difficile" nel quale ha voglia di stare in compagnia più
che di difficoltà alpinistiche da superare. E’ così che il gruppetto
si muove per alcune domeniche facendo varie salite. L’istruttore
trasmette agli altri un po’ di esperienza, qualche conoscenza tecnica;
questi ne fanno tesoro, migliorando rapidamente le proprie capacità
tecniche e alpinistiche. Il gruppo si affiata e si rinsalda, fino a chè
una mattina di un certo giorno si trovano alle Placche Zebrate, proprio là
dove c’è scritto in grande sulla parete 2 AGOSTO, con quel 2
esageratamente grande da sembrare una Z e quella O finale sbiadita che ad
una prima occhiata neanche si legge. ZAGOST …appunto.
Il
gioco psicologico
La via
è lunga 300 metri e le difficoltà sono date di V grado, con un tratto di
A0, ma se si guarda bene lo schizzo si nota anche un passaggio di V+ al
primo tiro di corda.
Un bell’impegno per gente che si era presentata solo pochi mesi prima al
corso di alpinismo senza grandi esperienze pregresse.
Ma chi l’ha proposta ‘sta via? Naturalmente l’istruttore: è il più
esperto e poi la conosce bene per averla già salita più volte. E gli
altri?
Il giovane talentuoso si è già cimentato da capocordata in quel di Rocca
Pendice su difficoltà sostenute e quindi non ha dubbi di essere
all’altezza della situazione, anzi è impaziente di cimentarsi per
mettersi alla prova.
Il pensionato sportivo ha qualche dubbio, ma un grande vantaggio
psicologico: se ce la fanno le ragazze - pensa - ce la faccio pure io.
E le pikkiatelle? Sono piene di dubbi, ma si fidano molto
dell’istruttore che sarà il loro capocordata. Lui ha scelto la via ed
ha detto che ce la possono fare: forti di questo, si fanno coraggio. E
l’istruttore? Ha tanti anni di esperienze di corsi alle spalle, nelle
domeniche precedenti li ha visti arrampicare e crescere tecnicamente,
crede sinceramente che ce la faranno, ma non ne può essere sicuro al
cento per cento. Qualche cosa potrebbe non andare, magari nella
"tenuta" psicologica.
Tuttavia è fiducioso. Se il giovane talentuoso avrà conferma delle sue
capacità tecniche, se il pensionato sportivo saprà fare almeno quello
che fanno le ragazze, se le ragazze sapranno fare quello che
l’istruttore si aspetta da loro, se l’istruttore non avrà sbagliato
le sue valutazioni, tutto andrà per il meglio e la giornata,
probabilmente, diventerà una di quelle da ricordare.
La
cronaca della salita
La via
comincia facilmente con un tratto di III grado. Dopo venti metri c’è il
primo passaggio impegnativo, proprio quello di V+.
L’istruttore guarda le ragazze avvicinarsi; sa che , da come sarà
superato, potrà capire se ci sono i presupposti per completare la via,
altrimenti bisognerà pensare alla discesa in corda doppia.
In effetti, il primo sguardo delle ragazze, quando arrivano alla placca è
di quelli che sembrano dire "ma che cos’è ‘sta roba?".
Poi cominciano a ragionare; un suggerimento dell’istruttore aiuta ad
impostare i giusti movimenti e il passaggio è superato da entrambe senza
troppe difficoltà. Subito dietro il giovane talentuoso non ha problemi,
anzi, non vedeva l’ora di provarci! Segue un tiro tranquillo.
Poco dopo, riuniti alla sosta si ride e si scherza, la tensione è un
po’ calata.
Segue un tiro facilino, solo alla fine c’è una traversata molto
delicata.
L’istruttore attende le ragazze al varco: ha messo il gigi per poter
avere le mani libere e scattare fotografie, in sicurezza.
"Appena fai la faccia da ma dove sono gli appigli? ti scatto
la foto, dice ridendo di gusto. Succede sempre, quando si salgono vie in
aderenza per la prima volta: le placche sembrano insalibili, poi ci si
abitua a guardare le più piccole svasature su cui la scarpetta tiene
meglio ed anche le più minute asperità diventano utili.
Si impara in fretta a gestire al meglio l’equilibrio.
E’ così che la placca di V grado al quarto tiro viene superata senza
grossi patemi. Seguono un paio di tiri "tranquilli" con
difficoltà non oltre il IV grado. Adesso ci si può vedere tutti e al
"come va?" dell’istruttore anche il pensionato sportivo
che chiude la seconda cordata risponde con un "nessun problema"
detto con voce sicura che lascia capire la soddisfazione che gli sta
crescendo dentro.
Infine arrivano alla sosta sotto alla placca, quella che la relazione dice
che si può superare in arrampicata libera, ma con difficoltà molto forti
(ottavo grado?), o in A0. "Che cosa vuol dire A0?" avevano
chiesto le pikkiatelle e il pensionato sportivo quasi ad una voce, quando
avevano parlato della via da fare al parcheggio, appena arrivati.
"Vuol dire che ci si aiuta a salire tirandosi sui chiodi" aveva
risposto l’istruttore, estraendo dal fondo dello zaino tutta la sua
dotazione di staffe tolta, per l’occasione, dai nascosti recessi
dell’armadio.
"Eeeeh … hai portato le scalette … per noi???".
Aveva esclamato, con sorpresa quasi fanciullesca, una delle due
pikkiatelle.
"In alpinismo si chiamano staffe, non scalette" aveva risposto
l’istruttore, cercando di dirlo con un’aria che apparisse la più
solenne possibile.
E adesso erano qui, a questa sosta, proprio sotto a quella placca al tempo
stesso desiderata e temuta.
"Non ci hai nemmeno spiegato come si usano" aveva detto la
solita pikkiatella più intraprendente. "Quando sarete sulla placca,
vedrete che vi verrà qualche idea!" aveva risposto sbrigativamente
l’istruttore.
Sono facilmente immaginabili le esclamazioni, gli improperi, i commenti,
gli sbuffi, provocati da quei metri lisci di placca "segnati"
dai chiodi a pressione in maniera regolare. Possiamo dire che dopo
un’oretta abbondante i tre erano alla sosta a guardare il giovane
talentuoso salire, in rigoroso A0, raccogliendo le staffe seminate dalle
due pikkiatelle. Fatto quello, l’ultima traversata liscia non poteva più
creare problemi, oramai. Ed ecco i "nostri" salire gli ultimi
due tiri facili e ritrovarsi sulla cengia d’uscita a darsi la mano e a
complimentarsi a vicenda.
Il
postfatto
Forse
quel giorno i rapporti di amicizia dell’eterogeneo gruppo si
rafforzarono.
Certo è che il giovane talentuoso ebbe la conferma dei suoi progressi
tecnici e l’ebbero anche i suoi compagni di scalata che lo videro salire
con sicurezza e abilità.
Anche il pensionato sportivo realizzò di avere fatto qualcosa che solo
pochi mesi prima gli sarebbe sembrato impossibile e capì che un mondo
nuovo gli si stava spalancando davanti. Le pikkiatelle erano al settimo
cielo. Avevano sciolto tutti i loro dubbi centrando due obbiettivi in uno:
prendere consapevolezza dei progressi tecnici fatti e non deludere
l’istruttore che aveva avuto fiducia in loro.
Il quale istruttore, a sua volta, fu contento di avere scelto la via di
quelle difficoltà e si sentì gratificato dall’avere centrato le
previsioni sulle capacità dei suoi compagni.
La
conclusione
Non
essendovi alcun libro di vetta posto lungo la via, non è possibile
identificare con certezza i personaggi di questo racconto.
Potrebbe addirittura trattarsi soltanto di uno dei tanti episodi che, a
volte, si sentono raccontare nei rifugi quando, dopo alcune grappe e
numerosi bicchieri di vino, i confini tra realtà e fantasia si fanno
sempre più labili, fino a confondersi.
L’unica cosa certa è che la via 2 Agosto esiste realmente e si trova
alle Placche Zebrate di Arco. Pare ci sia qualcuno disposto a giurare che
esiste veramente un istruttore che l’ha salita più volte, si dice
addirittura tredici, e sempre con compagni diversi. Ma, francamente, la
notizia sembra poco attendibile.
Gabriele
Villa
Ferrara,
26 giugno 2001 |