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Seduta composta, quieta e rassegnata ad un tavolo di sconosciuti, lancio più di qualche sguardo alla vetrata da cui riverbera la sfolgorante luce del tramonto d'una giornata che, piovosa fin a mezzogiorno, sta per virare in una sera tersa di stelle a forza di raffiche di vento che fanno correre veloci le nuvole. “Rosso di sera, bel tempo si spera”, sospirando penso alle cime e sono contenta per chi il giorno dopo ha la fortuna di godersi in montagna l'ultimo scampolo d'estate.
Le mie decoltè altissime battono su un'unghia pestata in una discesa e mi
stanno anche facendo venire una vescica, una vescica stupida, senza aver
fatto più che due passi e senza aver visto una cima di una, come vorrei
essere in montagna.
Il confronto è interessante, io sempre sulle Alpi, quasi
sempre con dei compagni più esperti e una predilezione per le ciaspole,
lui sempre in Appennino, sempre in estivo e sempre e invariabilmente da
solo.
Ormai mancano pochi chilometri e io non ci
spero quasi più, poi basta una svolta della strada ed è un altro mondo,
un altro tempo e un altro spazio. Bosco innevato, silenzio, isolamento,
tornanti che salgono decisi e sparute case di pietra. Di neve ce ne sono
dei metri, io che avevo paura di lasciar chiuse le ciaspole nella
custodia. Niente scooter, niente camion dell'immondizia, niente sirene, niente rumore di fondo del petrolchimico, niente porte che sbattono. Si-len-zio. Se si tende l'orecchio, solo lo scrosciare in sottofondo della cascata del Doccione e il rumore gocciolante e gorgogliante della neve del tetto che si sta sciogliendo. Non sarebbe poi male un tempo da lupi che non consenta di metter il muso fuori dall'uscio, ora che la casa s'è scaldata e ora che ho vinto anche un po' di diffidenza verso le stufe a gas e verso il camino, io che, con la fobia del monossido di carbonio, appena arrivata, ho costretto chi mi ospita a verificare dall'esterno la pervietà dei tubi delle stufe e a spegnere quella nella stanza dove si dorme.
Lui in compenso ha già preparato la
colazione, tenuto sveglio da me che starnutivo, tossivo e russicchiavo
per il raffreddore. Con un po' di ritardo per colpa della mia pigrizia e
della mia indolenza, partiam da casa con le ciaspole sulla forestale per
i Taburri.
Questo posto comincia a entrarmi dentro, è
perfettamente aderente alle descrizioni fattemi e sta ampiamente
mantenendo le promesse di silenzio, isolamento e solitudine. Il bosco è
meraviglioso, alberi a foglie caduche ed abeti, coi rami prostrati che
toccano terra per il peso della neve, quando passo li scrollo un po' e
si risollevano. Fra gli alberi, alle svolte del sentiero, ogni tanto intravediamo il Cimone, il Cimoncino e il Libro Aperto. Il Cimone è proprio grande, non poteva chiamarsi altrimenti. È il suo profilo che ho sempre visto da casa fin da bambina nelle giornate terse e ventose, lo riconosco, solo che non riuscivo a dargli un nome. Finisce il bosco e ci si staglia davanti Il Crinale. È grandioso. Cima Tauffi è un deserto bianco quasi surreale. C'è uno scialpinista sopra, speriamo che sia salito da un versante che gli abbia fatto vedere quel che vedo io ora se no qua finisce col rumore di un tuono e una nuvola bianca, mi vengono i brividi al solo pensiero. Il Lancino sembra a un tiro di schioppo, ma è qui che comincia il difficile: sono finite le tracce ed è iniziato il vento, prima eravamo riparati dagli alberi, ora siamo in balia dei suoi fischi e della sua furia che ci scuote. E la pendenza s'è fatta esponenziale. Ci diciamo sereni che stiamo a vedere, se la cosa si fa troppo rischiosa, siamo d'accordo di far dietro front. Vado davanti io. Mi piacerebbe ci fosse Gabriele, dal quale non ho ancora imparato a leggere i pendii. Lui mi ha spiegato e fatto vedere delle cose, ma oggi purtroppo sono io che devo osservare, valutare, decidere, senza poter confrontarmi, senza poter chieder conferme. È presto per me, ho ancora così tanto da imparare, arrivo fino a quel palo semisommerso che non può che essere il segnale e torno indietro, l'azzardo non fa parte di me, poi il vento è l'architetto delle valanghe e mi sta scuotendo troppo, fra vento e tosse non riesco quasi ad avanzare. Le cose sono sotto i miei occhi, ma ho paura, mi sento vulnerabile, è così bello avere un compagno esperto che ti fa sentire d'aver il culo al riparo, oggi quella più esperta sono io e la cosa è ridicola. Ci vorrebbe Daniele, che conosce il Crinale a menadito.
Stai lontana dalla neve ventata. C'è la leggenda che in Appennino non ci siano valanghe, ma io le ho viste sul Corno alle Scale. Poi tutta quella neve prima o poi si scaricherà pur giù. Ce ne han parlato anche ieri i montanari delle valanghe di qui. Mi tengo a sinistra, la neve è ottima, se solo si calmasse il vento. Meglio un traverso ripido dove c'è poca neve che passar lì sotto... Vado pianino, devo guardare dove andare, devo tener d'occhio Teo, devo aspettarlo, e devo tossire.
Lo vedo girarsi indietro ogni due per tre.
Se la cava egregiamente, ma è la seconda volta che mette le ciaspole. Tutte le volte che mi han aspettato-confortato-sostenuto-insegnato... Gabriele e Alessandro però in questa situazione avrebbero individuato tranquillamente il percorso e messo il compagno al sicuro. Probabilmente anche la Rita, ma lei qui avrebbe troppo freddo per pretendere di farle anche cercar il sentiero. Dovevo imparare di più! Il mio compagno di salita si guarda indietro con un po' di ansia ma se la cava assai bene, ragiona ed è prudente, umile e riflessivo sarà sempre un ospite della montagna e mai uno di quegli spacconi che ci fanno la lotta.
Se lo vedesse Gabriele, va a finire che se
lo tira dietro al mio posto, col cambio ci guadagna. Ci sono dei sastrugi incredibili ma devo andar giù, speriamo di rivederne di fatti così un'altra volta.
Sastrugi frammisti a tratti d'erba
congelata, vorrei tanto dir di fotografarli ma ora si scende. E se anche mai lo trovassi, ho paura di non capire il pendio vedendolo dal di sopra. E poi dovrei passare sotto le cornici, neanche morta.
Ma tanto non sarei in grado di trovarlo,
già sono come Pollicino che ha bisogno delle mollichine per non
perdersi, poi non ci vedo: con gli occhiali da sole indosso ci si riesce
a riparar dal vento ma c'è troppo buio, senza ci si vede bene come
luminosità ma lacrimano gli occhi. Già faccio fatica a ritrovare dove
siamo saliti, il vento ha già cancellato le nostre tracce effimere.
L'impronta della ciaspola non si vede più ma c'è ancora il buco del
bastoncino. Il calo della tensione. Ora capisco la spossatezza di Gabriele alla fine delle giornate coi picchiatelli. E la notte insonne di Sandro prima di portarmi al Vajo dei Colori. Dei compagni meno esperti si è responsabili, abbiamo la responsabilità di portarli a casa sereni. E, come si chiacchierava tempo fa fra amici, non parlo mica di responsabilità civile e penale, di quella già si riempiono la bocca i burocrati e gli assicuratori, parlo della responsabilità morale, affettiva per il compagno.
E la sera a tavola crollo dal sonno, la
responsabilità e la concentrazione mi hanno schiantato e dormo dei pezzi
di discorsi, perdo il filo mentre parlo, meno male che domani piove e si
sta a cuccia prima di ripartire con calma. Il gattone di casa le passa vicino circospetto perchè, ci dicono, s'è preso più d'una volta delle beccate nella coda. Sul davanzale c'è un binocolo e sul divano una torcia, oggi non vedo gli scarponi in giro. Chiacchieriamo col padrone di casa del nostro giro del giorno prima, e ci va a prendere le sue ciaspole per farcele vedere. Gli scarponi ce li ha indosso!
Torna con le sue TSL 325 attacco "Escape"
e le TSL 225 attacco "Rando" del figlio. Fin ad ora la montagna per me è sempre stata a nord! Stasera posso dire che è anche a sud, e ci si parla emiliano, dialetto modenese. Posso dire tante cose, stasera, stasera che il petrolchimico non si sente perchè batte la pioggia. Che il mio senso per la neve va migliorato. Che in questi giorni ho avuto un buon compagno in montagna, e spero tanto mi porti ancora con sé, tuttavia gli auguro anche l'occasione d'andar via con dei compagni più esperti d'un'ochetta. E, infine, che, dopo settimane, m'è finalmente passata la tosse e non m'arrenderò all'aerosol. Che sia stato il vento?!
Ferrara, 13 marzo 2011
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