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di Gabriele Villa
Mi è piaciuto l'articolo di Fabrizio Torchio, tratto da L'Adige del 29 dicembre 2009. Mi è piaciuto l'approccio mentale e il modo di proporre il problema valanghe da parte di Lorenzo Iachelini, guida alpina e istruttore delle guide, geologo e gestore del rifugio «Dorigoni» in Val Saent. Mi è piaciuto perchè parla più allo "stomaco" che alla "testa" del lettore, come invece fanno un po' tutti i manuali tecnici che spiegano razionalmente, con ordine e logica, ma abbastanza freddamente, le varie questioni. Mi è piaciuto perchè su quanto dice della questione valanghe, colpisce l'immediatezza, la "durezza" vorrei dire, e riesce a spiegare il problema "visualizzandone" la pericolosità nella sua reale portata.
[ La neve è una bestia: soffice e appena caduta pesa 50/60 chili al metro cubo, ma quella di una valanga arriva a 400/500 chili. È come passare dal polistirolo ai mattoni. Bisogna evitare di prendersela addosso... ]
Credo che nell'immaginario dei frequentatori della montagna invernale non sia sempre presente il reale pericolo di una valanga, perchè noi tutti pensiamo sempre alla neve come ad un elemento candido, soffice, morbido, inoffensivo. Così è quando la neve cade e così è quando noi cadiamo dentro la neve scesa da poco. Probabilmente non poniamo sufficiente attenzione al fatto che poi, col tempo, per effetto degli elementi naturali, dell'azione dei raggi del sole, dello spostamento operato dal vento, dello schiacciamento prodotto da una possibile pioggia, del freddo che origina il consolidamento e può formare strati di ghiaccio e lastroni anche spessi, la stessa neve cambia completamente le sue caratteristiche iniziali e può diventare "una bestia". Ecco allora che un metro cubo di neve, quella che può essere accumulata sul tetto di una baita di montagna per esempio, da polistirolo diventa mattoni e può costituire un pericolo grave. E quanti metri cubi di neve ci possono essere in un accumulo formato dal vento sotto al quale vogliamo far passare la nostra traccia? Proviamo a darci la risposta in "quintali di peso" e poi valutiamo se è il caso di passare proprio lì sotto o se invece è meglio prendere un giro più largo.
Se si cambia approccio mentale, allora si capisce meglio ciò che vuol dire Lorenzo Iachelini: [ ... e il punto vero è come trovare lo strato debole del singolo pendio, capire se c'è pericolo o no quando sei lì davanti. Manca una cultura diffusa sulla stabilità del manto nevoso e per questo bisogna lavorare sulla prevenzione... Alla formazione mancano strumenti come le carte topografiche con le pendenze, le concavità e le convessità, ... ].
Significa che in un pendio valutato sicuro ci possono essere delle convessità e se io vado a "tagliare" il pendio proprio sulla convessità corro un rischio molto maggiore perchè vado a incidere su di un punto a minore coesione (e a diversa pendenza, pur se circoscritta a pochi metri) che può intaccare gli equilibri di una zona molto più ampia, ma anche compromettere la stabilità dell'intero pendio.
Lorenzo Iachelini segnala anche un altro elemento di valutazione spesso trascurato: [ ... sul pendio, quando devi decidere se traversare o scendere. Devi valutare l'inclinazione, con i bastoncini, e se un pendio risulta sicuro per valanghe che puoi staccare tu, le valanghe possono scendere da sopra. Devi valutare la stabilità del pendio in relazione alle superfici deboli che contiene... ].
Vuole significare che si può essere in un tratto di montagna poco inclinato e quindi teoricamente sicuro, ma ciò può non essere vero se esiste la possibilità che una valanga scenda fin lì dall'alto, partendo anche da molto lontano. La valanga può partire spontaneamente a fronte di un pericolo "FORTE", cioè grado 4, ma potrebbe succedere anche con un pericolo "MARCATO", cioè grado 3, se sui pendii superiori a quelli dove ci troviamo noi transitano altri che provocano il distacco della valanga con "debole sovraccarico". Non è casuale, quindi, che siano parecchi i travolti da valanghe originate da altri, cioè vittime di imprudenze altrui. Appare quindi evidente che i luoghi di pericolo sono molteplici e che la pericolosità la si calcola sulla base di più fattori che incidono contemporaneamente, alcuni dei quali oggettivi (cioè legati allo stato della neve e alla conformazione della montagna), altri soggettivi diretti, (cioè legati ai nostri comportamenti), altri ancora soggettivi indiretti (cioè legati ai comportamenti di altri che agiscono in un raggio d'azione che si sovrappone al nostro).
"Prevedere le valanghe è impossibile, anche per uno sciatore esperto. Quello che conta è la sensibilità, il fiuto per capire quando bisogna fermarsi."
"Ci sono cose difficilissime da insegnare alla gente di città: prudenza e istinto. Sono le doti grazie alle quali sono sempre uscito vivo dalle mie imprese."
A mio parere ci sono in queste due frasi
le parole chiave per un'attività invernale in montagna ispirata ad una
più che ragionevole sicurezza: sensibilità, fiuto, prudenza, istinto. Un'osservazione-valutazione che non sempre deve portare necessariamente ad andare avanti, ma che qualche volta può (e a volte DEVE) portare a tornare indietro, a "capire quando bisogna fermarsi". Per quella che è la mia esperienza personale posso affermare senza il minimo dubbio che solo quando la prudenza ci porta a rinunciare e a tornare indietro le possibilità di sbagliare vengono azzerate. Le cronache raccontano che ciò non sempre succede e, purtroppo, qualcuno arriva a varcare la soglia di non ritorno.
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