Una serata con Sergio
Martini, "l'essenziale"
a cura di
Gabriele Villa
Una
serata che inizia come le altre precedenti: appuntamento davanti alla
Sala Estense per le prove tecniche e la preparazione dei materiali da
proiezione.
È’ sempre Beatrice che va a ricevere l’ospite in arrivo e fa gli onori
di casa, lo accompagna all’albergo dove pernotterà e, infine, lo conduce
in auto nei pressi della sala per trasportare il materiale personale da
proiezione.
Questa volta c’è un po’ più roba del solito, perché saltano fuori due
proiettori da diapositive (quelli di “un volta”, tanto per intenderci),
i buoni e vecchi Carousel con i caricatori circolari.
“Ho lavorato con un amico per dieci giorni a preparare le immagini
digitali dell’attività più recente - si lamenta Sergio Martini - e alla
fine ho dovuto rassegnarmi a tirare fuori questa roba e le vecchie
diapositive”.
A vederlo armeggiare si capisce che la cosa lo ha innervosito e che
probabilmente ha assai più dimestichezza con la piccozza piuttosto che
con le moderne tecnologie, ma alla fine i proiettori sono allineati per
la dissolvenza e le cose cominciano ad andare a posto.
Arriva anche Tiziano che riuscirà ad utilizzare, con il computer, il CD
che Sergio Martini ha portato con sé e nel quale ci sono le immagini di
“Ritorno all’Everest” relative alla salita da lui portata a termine nel
luglio di quest’anno.
Arriva, in bicicletta da casa sua, pure Annalisa Cogo, con il suo
paccone di “Medicina e salute in montagna”, il libro che sarà presentato
all’inizio della serata.
Lei ha dimestichezza con queste occasioni “pubbliche” e come sempre
appare rilassata, sorridente e molto sciolta, l’esatto contrario di
Martini che sembra sulle spine: si capisce che è uomo di fatti e di
poche parole, un montanaro abituato all’azione e del resto la sua storia
alpinistica parla per lui.
Sergio Martini (Lizzanella
- Trento, 29 luglio 1949) è stato l'ottavo al mondo e
il terzo italiano dopo Reinhold Messner e Fausto De Stefani ad aver
scalato tutte le quattordici vette superiori agli 8000 metri s.l.m. (nel
periodo 1976-2000).
A soli 17 anni, nel 1966, sale lo spigolo nord del Monte Agner e a 19 anni sale come capo cordata il pilastro Micheluzzi della Marmolada.
Dopo l'apertura di alcune nuove vie sulle pareti dolomitiche, tra il
1971 e 1972 arriva la prima esperienza fuori dall'Europa, sul Fitz Roy
in Patagonia.
Nel 1976 incontra le prime vette Himalayane.
Nel 1983 scala il K2 dallo spigolo nord, in compagnia dell'amico Fausto
De Stefani.
Nel 1985 scala il Makalu, passando per la parete nord ovest.
L'anno seguente conquista il Nanga Parbat lungo la via Kinshofer e
l'Annapurna. Il 1987 è l'anno del Gasherbrum II, mentre nel 1988, con
soli 12 giorni di distanza tra le due scalate, raggiunge lo Shisha
Pangma e il Cho Oyu.
Nel 1989 scala il Dhaulagiri.
Dopo quattro anni raggiunge la cima del Broad Peak.
Con l'Everest, raggiunto nel 2000 passando per il versante nepalese,
Martini conclude tutti i quattordici ottomila.
Quest'anno ha festeggiato il compimento dei sessant'anni raggiungendo
l'Everest dal versante Sud, un sogno che inseguiva da anni. Sergio
Martini è Accademico del Cai, istruttore nazionale di alpinismo e
sci-alpinismo, e membro del Gruppo di Alta montagna francese.
Insegnante di Educazione Fisica, ha sempre affrontato la montagna da
dilettante: nessuna pubblicità, né telefono satellitare con cui
comunicare le imprese al mondo e la sobrietà di chi vive la montagna per
se stessa, rimanendo negli anni fedele a se stesso.
L’atmosfera si rilassa un po’ tavola, quando le chiacchiere si
intrecciano, noi raccontiamo dei piatti tipici ferraresi che
assaggeremo: cappellacci con la zucca e pasticcio alla ferrarese.
Non si parla tanto di montagna e/o di imprese (anche se c’è qualcuno fra
noi che lo farebbe volentieri), ma ci sarà tempo e modo di farlo dopo,
con l’aiuto delle sensazioni che le diapositive stimoleranno e dei
ricordi delle salite hymalaiane che Sergio Martini avrà raccontato.
C’è giusto il tempo per mangiare, poi si torna in Piazzetta Municipale e
già davanti alla Sala Estense stazionano i primi spettatori, mentre
qualche altro ha preso posto all’interno.
Pian piano la serata si anima ed è in queste occasioni che si rivedono
anche vecchi amici, ex allievi dei
corsi di alpinismo e gli immancabili appassionati che queste occasioni
proprio non se le lasciano scappare.
La sala si riempie, infine, arriva il momento di cominciare ed ognuno fa
i conti con la propria emozione: lo si sente nella voce di Beatrice che
sale sul palco e ringrazia gli sponsor che aiutano nella realizzazione
di queste serate, e nella mia che sono chiamato a fare il “bravo
presentatore” nei confronti di Annalisa che, molto spigliata, illustra
poi brevemente i contenuti del suo libro.
  
Poi ritorno per presentare e invitare sul palco Sergio Martini anche se,
in precedenza giù in sala, aveva dichiarato che “in pianura mi piace
stare alle basse quote” e il palco lo avrebbe proprio voluto evitare, da
uomo schivo qual è.
Non mi servono tante parole se non quelle essenziali per ricordarne gli
inizi nelle salite dolomitiche e il suo progressivo avvicinamento alle
alte quote e a tutte le quattordici montagne più alte del pianeta,
ultima l’Everest salito giusto solo quattro mesi prima. Un po’ si schernisce e un po’ si stupisce, sembra quasi sorpreso di
sentir parlare di lui, della sua attività, della quale si trova traccia
in internet non tanto su siti specializzati quanto su quello della
Parrocchia di Lizzanella, il suo paese di origine.
“Ricordo che una volta il parroco mi aveva fatto qualche domanda. Avevo
visto che scriveva e poi è venuta fuori questa cosa…” – mi aveva detto
prima di iniziare quando gli avevo raccontato di dove avevo trovato sue
notizie più dettagliate.
Ma non c’è da stupirsi più di tanto perché la caratteristica di Sergio
Martini non è certo quella di raccontare le sue imprese e il suo
alpinismo, quanto piuttosto di andare e fare:
“Lui non comunica tanto con le parole, ma con il suo modo di essere” –
riassumo la mia convinzione al pubblico, mentre lui si schernisce, parla
brevemente della proiezione che ha preparato, accenna qualche battuta e
va ai proiettori.
Lui è fatto così e la serata che conduce è come lui: essenziale e
concede poco allo spettacolo.
Però...
è una carrellata stupenda quella che presenta.
Tutti i 14 ottomila della Terra, raccontati a parole attraverso le vie
di salita da lui percorse e mediante immagini da togliere il fiato,
quelle
che si possono scattare da quota 8000 quando le giornate sono stupende,
le visioni nitide e il mondo sembra essere sotto i piedi.
Ogni tanto ci sono alpinisti ritratti, ne fa cenno brevemente, ne dice i
nomi e sono il fior fiore dell'alpinismo mondiale che lui ha potuto
incontrare in quasi trent'anni di alpinismo ai massimi livelli.
Parla delle montagne, dei percorsi affrontati, della eventuale
difficoltà tecnica o dei pericoli oggettivi, mai di se stesso in
rapporto a quelle difficoltà, mai ad enfatizzare le sue realizzazioni.
"Essenzialità" è veramente il suo credo, il suo modo di essere, la sua
scelta di vita legata alla normalità di un lavoro con il quale fare
convivere (spesso anche con sacrifici e rinunce) l'inesauribile
passione per la montagna, senza farsi tentare da un "professionismo" che
avrebbe tolto qualcosa alla spontaneità del suo agire.
Forse qualche spettatore potrà essere rimasto un po’ deluso, magari ricordando
la spigliatezza del Silvio Mondinelli dell’anno precedente, ma ogni
“grande” alpinista va preso per quello che è, capendone l’essenza che lo
contraddistingue e lo ha fatto diventare grande.
Anche noi
avremmo voluto che Sergio Martini si raccontasse un po' di più, magari
richiamando i suoi inizi di forte arrampicatore dolomitico, dei tempi in
cui la cordata Martini-Leoni-Tranquillini passava e lasciava la sua
traccia sulle grandi pareti del Civetta, o della Marmolada, aprendo vie
di difficoltà estreme.
Come
quella al "Gran Diedro" di Cima Ombretta (Marmolada) che, aperta nel
1974 dopo una settimana di duri tentativi, a tutt'oggi non risulta ancora ripetuta.
E' capitato di parlarne nel dopo serata, in un locale, davanti ad una
birra, e Sergio (ma senza tanto scomporsi) ci ha detto che sì "il
diedro faceva impressione a guardarlo da sotto, sembrava ti si volesse
rovesciare addosso", ma che però quando strapiombava con un lato si
riusciva ad arrampicare sull'altro dove la parete restava verticale e
quando strapiombava quest'ultima riuscivi a passare sull'altra.
Sembra di rivederlo, con le mani avvicinate ad angolo e le dita rivolte
verso l'alto a simulare la forma del diedro, mentre le gira ora verso
destra ora verso sinistra come se parlasse di un gioco e non di una
arrampicata estrema che aveva impegnato la cordata per più giorni.
Un gioco che il sessantenne Sergio Martini, continua a giocare ai
massimi livelli, badando solo... all'essenziale.
Eccone
una bella testimonianza dell'ottobre 2007 raccontata da Rolando Larcher
sul sito di PlanetMountain.
Così la presenta il sito:
La via salita è "Senza chiedere il permesso", una linea strepitosa, aperta nel ’96 da Edy Boldrin,
Giacomo Damian e Mario Peretto, sulla (grande) sud del Dain, in Valle
del Sarca.
Si tratta di una via (alpinistica) non molto frequentata ma che
merita di essere ripetuta, nonché "rivalutata anche in arrampicata
libera" - come dice Larcher che l’ha salita a vista in 6 ore.
E poi, e soprattutto, perché ci dà l’occasione di accennare a Sergio
Martini; a come la sua passione, sempre silenziosa, per l’arrampicata e
per l’alpinismo sia senza fine: oltre tutti gli schemi ma anche oltre i
suoi (grandi) 14 Ottomila.
 
Così
la racconta Rolando Larcher:
Sergio Martini è uno di quei personaggi che non ha bisogno di
presentazioni, dico solo che l’ho sempre ammirato per la sua attività,
passione e modestia. Ci siamo incrociati spesso, ma solo da quando sono
entrato nel CAAI, ho avuto l’occasione di conoscerlo personalmente.
Il valore aggiunto dei convegni organizzati dal CAAI, è proprio quello
di conoscersi e socializzare, buone opportunità per fare nuove amicizie,
d’approfondire meglio magari, con qualche bella giornata in parete.
Così
al recente appuntamento “socio-gastronomico” di Forte Bard, ho proposto
a Sergio di andare a fare qualche salita assieme, ed alla sua risposta
affermativa, abbiamo subito preso accordi per la prima occasione utile.
Il tempo favoloso di questo ottobre, a fatto sì, che nemmeno una
settimana dopo, eravamo già in Valle del Sarca, ai piedi del Dain, con
l’intenzione d’affrontare: Senza Chiedere Permesso.
Un itinerario
inedito per entrambi, che propone un’arrampicata mista in libera ed
artificiale.
Conoscendo bene la parete, intuivo che vi fosse roccia solida, inoltre
mi intrigava tentare in libera anche questa via, per proseguire la mia
ricerca sul Dain, iniziata nel lontano novembre del 1983 con la
ripetizione della storica Canna d’Organo di Bruno Detassis, proseguita
con Scirocco nel 1988 - la mia prima via d’alpinismo sportivo - continuata
poi con Rosa dei Venti 1998, la prima libera della Marampon dello scorso
anno e con una recentissima e molto severa nuova via, che prossimamente
pubblicherò.
Una giornata autunnale splendida, un compagno illustre, una bella via,
cosa chiedere di meglio dalla vita?
Scaliamo rilassati in maglietta,
godendoci quanto ci circonda.
Mi dà gioia salire in libera,
l’artificiale della via, ma ancor più veder salire Sergio con eleganza e
facilità, buon auspicio per l’avvenire, nella speranza di molte salite
ancora.
Le ore trascorrono piacevolmente, tra foto, aneddoti e qualche
sbuffata.
Faccio una pessima figura, nel posizionamento degli stopper, quei
pochi che ho messo, li ritrovo appesi alla corda.
Sergio, con tatto
sdrammatizza… mi dice che non sono l’unico e racconta di quando negli
anni 70, assieme a Renato Casarotto, andò ad uno stage d’arrampicata in
Inghilterra. Lui fece coppia con Peter Boardman e in un tiro, dove
Boardman mise solo stopper (i friends ancora non esistevano), quando gli
toccò salire da secondo, se li ritrovò tutti sul nodo dell’imbrago! Così
tra una chiacchiera e l’altra, siamo arrivati in cima, rimanendo
appagati e contenti: per l’estetica dell’itinerario, per averlo ripetuto
a vista e molto probabilmente in prima libera, ma sopratutto per aver
vissuto dei momenti, che ci hanno permesso d’approfondire la nostra
amicizia…
"Senza chiedere il permesso" è una linea strepitosa, da rivalutare dal
punto di vista dell’arrampicata libera, che cavalcando lo spigolo aereo
del Dain offre gran vuoto e roccia magnifica, con difficoltà massime
interessanti, obbligatorio “modesto” e chiodatura generosa.
Gabriele Villa
Una serata con Sergio Martini, "l'essenziale"
Le foto
della serata, scattate alla Sala Estense, sono di Leonardo Caselli
Ferrara, giovedì 29 ottobre 2009
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