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Rock   www.intraigiarun.it

Il diedro perfetto

di Francesco Pompoli

 

Ci siamo finalmente sotto.

Solo un mese fa passando ne ero rimasto affascinato, la luce della splendida giornata di sole lo rendeva ancora più netto ed elegante.

Era a poche centinaia di metri, eppure così lontano, così severo, così arcigno con quel porfido compatto.

Una foto e via, si riprendeva la discesa sulla splendida neve polverosa, sulle tracce di Michele e Marco che scendevano felici su questo pendio perfetto.

Ma l’idea ormai circolava nella mia mente.

Salire quella linea…. sarà possibile ? E con chi ?

L’unico a cui mostro il diedro perfetto è Mauri, una sera a casa sua mentre recupero le mie DIA.

Evidentemente anche lui rimane colpito dalla linea ammaliatrice, se una settimana dopo, complice la giornata di Marzo più calda degli ultimi 40 anni (dovevamo fare una cascata….), ci troviamo qui sotto dopo aver risalito 1000 metri di dislivello con sci da alpinismo e con zaini da spedizione patagonica, sotto il caldo impietoso…

Pausa. Ne abbiamo bisogno entrambi, sotto il masso strapiombante che sembra proteggere l’accesso al diedro perfetto.

Nessuna traccia di salita. Bene, gli spitattori selvaggi non sono arrivati fin qui, a 2300m … troppa fatica eh ?

Il caldo fa volare cariche di sassi e neve giù dalla parete, ma il nostro diedro, in quanto perfetto, non ne è interessato.

Un altro strapiombo lo protegge dalle scariche della cresta. Per ora è un bene, forse quando ci arriveremo ne saremo meno felici. Forse.

Le 13. In bilico sul terrazzino di neve cominciamo a prepararci. Chiodi, martello, friend, dadi, eccentrici, cordini, rinvii, staffe, corde…. La ferramenta al gran completo è pronta, Mauri si prepara per salita, saltella con le scarpette sulla neve fino a poggiare i piedi sul porfido…. Già ma dove ? E’ tutto liscio ! Il diedro a destra sembra facile, quello sopra la nostra testa meno, solo una fessura chiusa da una lunga radice nel mezzo e poi la placca… opprimente placca ! Attacca a destra, 3 metri, un chiodo, un’occhiata: sopra: liscio più totale, a sinistra, due metri più in là, comincia un bel camino stretto, decide di traversare. Per i piedi un appoggio. Per le mani un appiglio lontano. Per il resto: nulla ! Prova, gli riesce un cambio piede, si allunga a cercare un appiglio per la destra… niente. Dopo due o tre tentativi, in spaccata, le braccia aperte, appiccicato come un salamandra alla parete vedo che non se la sente di provare. Batte in ritirata.

"Non sembra impossibile" penso. Mauri non arrampica da parecchio. Io è tutto l’inverno che in palestra mi impegno per migliorare. Roccia ancora non ne ho toccata granchè, però mi sento in forma. Servirà pur a qualcosa appendersi come scimmie a pannelli strapiombanti imbellettando le prese di resina con la magnesite.

"Lascia il chiodo Mauri, provo io a passare !".

Lo calo, mi infilo le scarpette (quelle cattive, ovviamente dolorosissime !) e vado. Due passaggi e sono al chiodo.

Piede sinistro sull’appoggio. Triangolare, accoglie perfettamente la punta della scarpetta per due cm. Un lusso ! Il piede destro sta in opposizione sul diedro, la mano destra su un piccolo appiglio, la mano sinistra anche. Per passare l’unica è cambiare piede sull’appoggio triangolare. Mica facile, è già tutto occupato ! cerco di spostarne uno ma l’altro non entra, provo e riprovo, che fatica. Alla fine appoggio il destro sulla punta del sinistro e lentamente sfilo quello sotto. Non molto elegante… però ora il piede è cambiato, sono libero di spaccare con il sinistro su una piccola costola liscia, allungarmi con la mano destra ad una bella maniglia. Sono al punto di Mauri, ora, andiamo a cercare cosa offre la parete per la mano destra. Mi allungo, ruoto il busto, tasto alla cieca…niente che si possa definire un buon appiglio, anzi niente di niente. Allungo il collo, più in alto potrebbe esserci qualcosa ma non ci arrivo in modo statico. Provo, riprovo. Comincio ad essere stanco. Ho voglia di passare. Valuto il passaggio dinamico. Sicuramente sbandiererò, ma recupererò almeno 20 cm in cui cercare al volo un appiglio. Prendo la rincorsa indeciso. Dopo sembra più facile, non ho voglia di rinunciare dopo 3 metri di via ! Vado, non vado, vado, non vado.

"Tieniti un po’ di margine".

Mauri mi richiama alla ragione. Margine ? Non ne ho. "Scendo".

Come occhio non c’è male. Dovevano essere facili i primi 40 metri. Quelli che portano alla parte veramente perfetta del diedro perfetto. Dovevamo riscaldarci su quei 40 metri.

"Mauri, saliamo a sinistra, qui è facile. 3 metri e prendiamo il camino. Placca abbastanza rotta, si fa !"

Riparte Mauri. Cioè, prova a ripartire. Non riesce ad alzare nemmeno i due piedi ! Tacche orizzontali non ce ne sono, sono tutte rientranti. Mentre lo assicuro comincio a pensare che non è giornata. Comincio a chiedermi come facciano i grandi ad aprire vie di 800 metri, se noi non riusciamo a salirne 3 ! Penso a Cassin sulla Ovest di Lavaredo. Sto leggendo un libro su di lui. Un conto e leggere, un conto sbatterci il naso. Ma come faceva ? Quanto forte era ?

Mauri intanto spacca sotto il mio naso, chioda una fessura, estrae la staffa e ci sale sopra. In un attimo il passaggio è superato, finalmente è arrivato al camino ! Vai Mauri ! Grande ! Gabri, re dell’artif, sarebbe fiero di te ! Si parte finalmente ! Lentamente lo vedo avanzare nel camino. Ogni tanto chioda, tutto storto infilato tra le due pareti. Sparisce dalla mia vista. Smartellate prolungate.

"Recupero !"

"Di già ? – penso – avrà fatto solo 20 metri !"

Schiodo la sosta, mi infilo le scarpette e parto. La staffa è ancora lì, spenzola invitante dal chiodo; provo il passaggio in libera ma non mi viene, la roccia non mostra punti deboli ed alla fine rinuncio, che artificiale sia !

Pochi metri e arrivo al camino, mi ci infilo dentro e come al solito mi ci ritrovo prigioniero, incassato tra le due pareti provo un senso di protezione e di sicurezza ma anche di sgradevole oppressione. Il problema diventa schiodare, un chiodo infilato al suo interno che battuto da sopra sarà entrato come burro ora va battuto lateralmente per estrarlo, solo che così facendo picchio continuamente la mano sulla roccia mentre l'altra mantiene l'equilibrio e il resto del corpo è incastrato ed in torsione nel camino. La roccia mi ferisce la mano ad ogni martellata ma il chiodo non voglio lasciarlo, un buon secondo recupera sempre tutto il materiale ! Dapprima sembra resistere poi dopo momenti lunghissimi finalmente cede.

Raggiungo Mauri in sosta, un bel terrazzino comodo con due chiodi entrati benissimo in una fessura. Riposo. Tiro il fiato e scruto il mio compagno. Direi che è ancora carico…. gli passo il materiale e riparte.

Alla base del nuovo diedro trova un sasso strapiombante. Chiodo, staffa, ed anche questo è passato. Procede sotto i miei occhi con sicurezza e cautela, si alza nel diedro che ora sembra facile per una decina di metri ancora poi è fermo. Sopra di lui è tutto liscio. A sinistra c'è la parete del diedro, a destra una placca priva di fessure. Si è fatto tardi e ci consultiamo. Decidiamo per la ritirata. Mauri prova a mettere due chiodi sicuri per la sosta ma rimpiange la precedente, dopo un lungo esame della parete riesce a creare la sosta che testimonierà il nostro tentativo: due chiodi ed un vecchio cordone da 11 mm arancione. Ora salgo io, rapidamente. Tento almeno di liberare il passaggio in artif., spaccando a sinistra mi riesce senza difficoltà. Raggiungo Mauri e lo sguardo corre subito verso l'alto. Studiamo insieme come procedere la prossima volta … perché sicuramente ci sarà una prossima volta. Il diedro perfetto ci sovrasta severo. Per ora deve aver solo sogghignato dei nostri sforzi. Le sue difese migliori devono ancora crollare, ma l'assedio è ormai deciso.

Ci ritiriamo in doppia, infiliamo gli sci e ritorniamo verso valle. Dalla parete il nostro cordone arancione ci osserva sconsolato. Torneremo.

Francesco Pompoli 

Aprile 2001

"Il diedro perfetto" di Maurizio Caleffi